Teologia degli animali
Gianfranco Nicora
(Centro di zoo antropologia didattica G.Borghi e Fondazione Aletti Beccalli Mosca - Castronno - VA)
Introduzione
1. Teologia degli animali
1.1 Teologia e cultura
1.2 Il libro di Tobia
1.3 Il viaggio cosmico: visione teocentrica e modello della fraternità
1.4 Il Diluvio: primo disastro ecologico
1.5 Noè e la nuova alleanza nel segno dell’arcobaleno: antropocentrismo e modello del dominio
1.6 Cristo riporta armonia nel Creato: visione teocentrica e modello della fraternità
1.7 Resurrezione di Cristo:visione cristocentrica e modello della Fraternità
Bibliografia
Introduzione
Ho constatato in questi ultimi anni, durante le attività assistite con piccoli animali, che a volte dagli ambienti ecclesiastici queste pratiche sono considerate con indifferenza. Ad esempio recentemente mi sono recato con una collega in una casa di riposo, accompagnato dai miei due cani: Tobia e Belle. I cani non hanno potuto mettere zampa dentro il perimetro della struttura per anziani gestita da religiose. Ho la sensazione che ciò sia frutto di superficialità; la religiosa, con quale ho interloquito scherzosamente in quella casa di riposo, ignorava ad esempio l’esistenza di un Libro della Bibbia, che ha come protagonista Tobia e come compagni di viaggio un cane ed un angelo.
Del resto a volte anche gli stessi genitori dei piccoli pazienti ricoverati nei reparti di Pediatria vedono con timore la presenza di animali o al più li considerano come giocattoli o peluche.
Ho pensato quindi che le tante occasioni che il lavoro mi offre di incontrare persone anziane nelle RSA, bambini e genitori nelle Pediatrie o nelle Fattorie Didattiche, potrebbero diventare una grossa opportunità per parlare di teologia degli animali.
Ho elaborato quindi dei possibili percorsi didattici con l’obiettivo principale di trasmettere le nozioni che questa ricerca ha evidenziato e con lo scopo di sviluppare una nuova metodologia di insegnamento: la zoo antropologia didattica, per promuovere nei giovani empatia e disponibilità all’osservazione e all’ascolto di chi è diverso da loro.
1. Teologia degli Animali
1.1 Teologia e cultura
Secondo la Teologia Dio si manifesta attraverso la Natura e attraverso la Parola. La ricerca teologica pertanto ricorre alla Natura indagata mediante i vari tipi di conoscenza umana e alla Parola di Dio, presente nella Bibbia e trasmessa dalla tradizione cristiana .
L’analisi della natura
L’analisi razionale della “natura” è un principio al quale il pensiero cristiano ama riferirsi e si sa quanto frequente è stato il ricorso alla cosiddetta “legge naturale” nelle questioni etiche: vedi l’etica tradizionale, che condanna come “contrari alla natura” alcuni comportamenti.
Questo principio va sottoposto ad un’attenta riflessione critica, perché l’utilizzazione di questo criterio è talora avvenuta con accentuatissime forme di assolutismo, quasi che le leggi naturali consistano in un prontuario preciso di precetti specifici e immutabili, deducibili dalla “natura” stessa. Si tratta, invece, di un criterio complesso, che tiene conto di tutta la realtà del creato nella varietà e complementarietà dei suoi elementi strutturali e si tratta soprattutto di un criterio dinamico, quanto evolutiva e dinamica è la realtà del creato. La natura cioè non è una realtà compiuta e finita (entelechia), ma è soggetta a fondamentali processi di sviluppo e di evoluzione. Ciò vale non solo nel senso che si evolve la conoscenza che l’uomo ha della natura e dell’universo, ma nel senso più profondo che la natura stessa viene evolvendosi secondo processi di perdita e assunzione di dati, che la conoscenza e la scienza di volta in volta colgono, scevrano e propongono.
Entro questi processi dinamici è possibile attribuire qualche significato permanente alla natura? Senza dubbio, ed è quanto anche il pensiero teologico cerca di fare, ma non già riflettendo su un “ordine naturale” sentito e difeso come immutabile, ma partendo dall’autocomprensione, che gli uomini hanno della natura in quel momento e luogo e confrontandola, quanto è possibile, con quella di altri tempi e luoghi. È questo il solo modo di riferirci alla natura e alle sue leggi; dobbiamo affidarci criticamente alla cultura in cui hic et nunc siamo immersi, utilizzando ad esempio i risultati a cui pervengono nel nostro caso l’insieme delle discipline biologiche (come la sociobiologia, la fisiologia, l’anatomia comparata, le neuroscienze, l’etologia, la zooantropologia).
Anche il ricorso alla Parola di Dio, contenuta nella Bibbia, non è un criterio immutabile.
Senza dubbio la teologia cristiana fornisce una concezione dell’uomo, secondo la quale l’uomo è la creatura chiamata ad aderire liberamente al disegno di Dio con un esercizio fondamentale della sua libertà, risolutivo del suo destino. Questo atto supremamente salvifico è l’atto di fede, col quale l’uomo si abbandona a Dio liberamente e, poiché Dio è amore, aderire liberamente a Dio e al suo disegno significa decidersi per una vita ispirata non all’etica del dominio, ma a quella dell’amore.
Secondo la Bibbia l’uomo è la creatura chiamata a decidersi per una vita di amore; qui sta la sua massima responsabilità e la sua altissima dignità morale nei confronti di tutti gli esseri viventi (umani e non).
Ogni scelta etica, nel suo nascere intenzionale come nel suo gesto concreto, è ordinata ad essere una mediazione dell’ amore.
Nella Bibbia le norme riguardanti la condotta dell’uomo sono frequenti e anche precise: non resterebbe che raccoglierle e riproporle come punti fermi a chi vuol ascoltare l’insegnamento della fede.
In realtà, il problema è molto più complesso. Se la condizione dell’uomo più sopra esposta scaturisce certamente della rivelazione (è la più sintetica parola sull’uomo che Dio ci abbia comunicato), non si può dire altrettanto delle molteplici norme che la Bibbia propone: per ciascuna di esse ci si può chiedere se rappresenta una permanente parola di Dio o non sia invece una proposta umana, mutuata da un discorso culturale del momento e quindi mutevole e di cui la parola di Dio si serve per chiedere hic et nunc all’uomo una positiva risposta alla sua vocazione. Non è questo un discorso insolito, dopo che alcuni decenni di ermeneutica biblica l’hanno proposto e sviluppato più volte, a proposito di quasi tutti i contenuti della parola rivelata. È un discorso ancor più doveroso per i contenuti etici, rispetto ai quali le pagine bibliche appaiono esposte, più facilmente che altrove, ai più vari condizionamenti storico-culturali.
Ma c’è un secondo motivo ermeneutico di fondamentale rilevanza, ossia il confronto tra il discorso biblico e quello delle varie culture con cui viene in contatto e da cui spesso nasce: solo su questa base sarà possibile un doveroso e necessario decondizionamento.
Ogni ricerca teologica deve pertanto tenere conto dei dati della scienza per una corretta lettura della Bibbia e dei dati della fede “decodificata”, per una riflessione intelligente.
Anche per una corretta teologia degli animali e del creato occorre utilizzare a fondo, in tutti i suoi elementi e apporti positivi, la “cultura” nella quale siamo immersi oggi e nel nostro ambiente. Se parliamo di “cultura”, non la identifichiamo però assolutamente né, per un verso, con il costume concreto di una data epoca o di un determinato ambiente, né, per un altro, con una specifica ideologia. Prendiamo la cultura nel senso che viene indicato dall’attuale riflessione socio-antropologica e cioè “come lo sforzo dinamico, mai esauriente né mai compiuto di strutturare gli elementi della convivenza umana attorno a esigenze umane fondamentali che ciascun gruppo va cogliendo e gerarchizzando in un modo suo proprio”. (A. Valsecchi, Nuove vie dell’etica sessuale, Queriniana, Brescia)
Alla luce di queste premesse nella mia ricerca biblica sulla Teologia degli animali mi piace partire dal Libro di Tobia.
1.2 Il Libro di Tobia
E’ un grande affresco che descrive il viaggio come simbolo della vita. L'immagine biblica di Tobia, che parte per un lungo viaggio accompagnato da un angelo e dal suo cane “Il giovane partì insieme con l’angelo e anche il cane li seguì e s’avviò con loro” (Tobia 6,1), è la parabola del nostro cammino sulla terra, durante il quale animali e angeli ci sono compagni.
ll libro di Tobia nulla ha a che vedere con la storia, si tratta infatti di un racconto popolare a lieto fine il cui scopo è sapienziale-didattico.
Lo scopo principale dell'autore è quello di esaltare la fedeltà alla Legge di un ebreo della diaspora, costretto a vivere in mezzo a popoli pagani. Questo scopo è delineato con uno stile che si può definire “romanzesco”, fatto com'è di colpi di scena, di trovate geniali e di irruzioni del Soprannaturale nella vita quotidiana, che lasciano il lettore con il fiato sospeso fino al lieto fine.
La parte centrale del testo è dedicata alle vicende di un uomo non vedente, chiamato Tobi e di suo figlio Tobia, che viene inviato dal padre a ritirare del denaro, che un parente gli doveva.
Tobia si mette in cammino accompagnato dal suo cane e da Azaria, che si offre di proteggerlo durante il viaggio.
Il giovane non immagina certo che Azaria sia un Angelo, che si cela sotto le spoglie del viandante, anche se questi dimostra subito una sapienza sovrumana, consigliando al suo protetto di conservare il fiele, il cuore e il fegato di un pesce da lui pescato nel grande fiume Tigri. È sempre lo stesso Azaria ad informare Tobia della triste vicenda di sua cugina Sara, condannata dal demonio ad essere perennemente vedova. Tobia si innamora di lei e la chiede in sposa.
Asmodeo, lo spirito maligno, è però in agguato e progetta l’uccisione di Tobia. Azaria/Raffaele è pronto però con un esorcismo: brucia il cuore e il fegato del pesce, (seguendo probabilmente un rituale ebraico antichissimo per allontanare il Maligno), ed Asmodeo fugge per sempre.
Infine Tobia, Sara ed Azaria fanno rientro a Ninive.
Si arriva così alla parte conclusiva del viaggio: il padre Tobi guarisce dalla cecità non appena il figlio gli applica sugli occhi il fiele del pesce. A questo punto il padre vorrebbe ricompensare Azaria, che invece manifesta la sua natura angelica ritornando in Cielo tra lo spavento dei protagonisti.
Il capitolo 13 contiene un brano di alta poesia, il cosiddetto Cantico di Tobia, un vero e proprio inno a Sion, che testimonia l'appassionata nostalgia dell'Ebreo della diaspora nei confronti della Città Santa, attraverso immagini di beatitudine che preannunciano l'Apocalisse di Giovanni.
Oltre a tutti i personaggi presenti in questa storia compaiono altri esseri viventi non umani:
Il cane domestico, che accompagna Tobia: “Il giovane partì insieme con l’angelo e anche il cane li seguì e s’avviò con loro”( Tobia 6,1)
Nel VI secolo a. c. la cultura considerava il cane come essere immondo. Qui il cane viene presentato per la prima volta come amico e compagno, assieme all’angelo e in contrapposizione al demonio Asmodeo.
Il pesce: “si fermarono a passare la notte sul fiume Tigri. Il giovane scese nel fiume per lavarsi i piedi, quand'ecco un grosso pesce balzò dall'acqua e tentò di divorare il piede del ragazzo, che si mise a gridare. Ma l'angelo gli disse: -Afferra il pesce e non lasciarlo fuggire-. Il ragazzo riuscì ad afferrare il pesce e a tirarlo a riva. Gli disse allora l'angelo: - Aprilo e togline il fiele, il cuore e il fegato; mettili in disparte e getta via invece gli intestini. Il fiele, il cuore e il fegato possono essere utili” (Tobia 6,3-10).
I passeri, accusati di aver causato la cecità di Tobi “ Per il caldo che c'era tenevo la faccia scoperta, ignorando che sopra di me, nel muro, stavano dei passeri. Caddero sui miei occhi i loro escrementi ancora caldi, che mi produssero macchie bianche, finché divenni cieco del tutto”.
Il capretto che entra in casa belando “…fecero dono di un capretto per il desinare. Quando il capretto entrò in casa mia, si mise a belare” (Tobia 2,12-13).
L’angelo: Il nome Raffaele significa “Il Signore guarisce”. Nel libro di Tobia viene ampiamente sviluppato il tema dell'angelologia ebraica, ripresa anche dal libro di Daniele e da molti apocrifi. Questa è una prova della composizione assai tardiva del libro, perchè l'angelologia e la demonologia si svilupparono principalmente sotto l'influsso ellenistico.
Raffaele, che si è sempre comportato come un'entità personale dotato di propria volontà e non come un alter ego di JHWH, dice di sé stesso: “Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore” (Tobia 12,15 ).
Quanto alla parola "angelo", essa deriva dal greco "messaggero"; agli angeli vengono contrapposti i demoni, visti dall'ebraismo e poi dal cristianesimo come angeli caduti, nemici di Dio e degli uomini. La parola greca "daimones" indicava i "geni", esseri intermedi fra gli déi e gli uomini. Solo in epoca ellenistica demone diventa sinonimo di spirito maligno, in precedenza tale parola non possedeva alcuna connotazione negativa.
Gli angeli nella cultura teologica vengono scarsamente considerati, forse perché della loro esistenza non siamo molto convinti e soprattutto perché non ci accorgiamo della loro presenza.
Lo studio su questa categoria di esseri viventi riparte oggi dalla fede induttiva, come la definisce il teologo Peter L. Berger nel suo libro “Il brusio degli Angeli”.
Infatti la teologia ha sempre sostenuto l’esistenza degli Angeli per fede deduttiva, basti ricordare la trattazione di Tommaso d’Aquino nella Summa Teologica (S.T., I, q.53, a3, ad 3).
Il formarsi della convinzione dell’esistenza degli angeli partendo per così dire dal basso, dall’esperienza, è recente. Ad esempio, il 20 dicembre 2008 “The Economist” in un articolo di ben tre fitte pagine raccontava di apparizioni di angeli, che “sono come uomini e donne ordinari; l’uomo è seduto al caffè, la donna attraversa la strada, il giovane è in coda alla fermata dell’autobus. Essi non sono per nulla in un altro mondo. Fanno il loro lavoro e portano con sé abbastanza denaro per aiutare uno straniero ad uscire dai guai. Poi spariscono.” (come tre mila anni fa nella vicenda di Tobia).
Anche Paolo nella sua Lettera scritta agli Ebrei parla di Angeli in carne ed ossa “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni praticandola ospitarono angeli senza saperlo” (Lettera agli Ebrei 13,2 ).
Il diavolo: in Tobia 3,8 compare uno dei pochi demoni chiamati dalla Bibbia con il suo nome: Asmodeo. Il suo nome deriva dal persiano "Aeshma Deva", cioè "colui che fa morire” anche in contrapposizione a Raffaele, che significa "Dio guarisce". Certamente Asmodeo era un personaggio preesistente al libro di Tobia e ben noto alle leggende ebraiche; compare ad esempio nell'apocrifo "Testamento di Salomone" dove è presentato proprio come nemico dell'unione coniugale. La descrizione della cacciata di Asmodeo da parte di Raffaele in Tobia (6, 17-18) è legata proprio ad antichissime pratiche esorcistiche: nell'Oriente antico si era convinti che il fumo nauseabondo fosse indigesto a spiriti e demoni e che quindi li facesse fuggire. Si noti però che questo rito, un po' ingenuo e quasi sciamanico, non basterebbe da solo a salvare Tobia se lo stesso Raffaele non intervenisse ad incatenare il demonio.
Che dire, in conclusione, di un libro come quello di Tobia? Le parole più adeguate a descriverlo sembrano quelle usate da Martin Lutero: “Se si tratta di storia, è storia sacra; se si tratta di poesia, è un poema davvero bello, salutare e proficuo, opera di un poeta geniale, commedia fine e amabile”.
In questa storia sacra tutti i personaggi, umani e non umani, con le loro vicende ci rimandano ai più noti testi di Genesi, in cui l’affresco diventa cosmico e il viaggio ha inizio dalle profondità dei millenni quando tutto il creato (cielo, terra, acqua, fuoco, sole, luna, piante, animali, uomo, angeli) nasce dal soffio dello spirito di Dio.
1.3 Il viaggio cosmico: visione teocentrica e modello della fraternità
L’Universo ha inizio quando: “In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: "Sia la luce!". E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno. Dio disse: "Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle acque". Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che son sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno. Dio disse: "Le acque che sono sotto il cielo, si raccolgano in un solo luogo e appaia l'asciutto". E così avvenne. Dio chiamò l'asciutto terra e la massa delle acque mare. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: "La terra produca germogli, erbe che producono seme e alberi da frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua specie". E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie. Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: terzo giorno. Dio disse: "Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci nel firmamento del cielo per illuminare la terra". E così avvenne: Dio fece le due luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno. Dio disse: "Le acque brulichino di esseri viventi e uccelli volino sopra la terra, davanti al firmamento del cielo". Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli esseri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. Dio li benedisse: "Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari; gli uccelli si moltiplichino sulla terra". E fu sera e fu mattina: quinto giorno. Dio disse: "La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame, rettili e bestie selvatiche secondo la loro specie". E così avvenne: Dio fece le bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la propria specie e tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona. E Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra". Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina lo creò. Dio li benedisse e disse loro. "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra".
Poi Dio disse: "Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo. A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde". E così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno (Gen 1,1-31).
1.3.1 Il primo racconto della creazione
E’ il primo testo di ecoteologia (οἶκος, "casa", "ambiente").
La struttura del racconto vede in Dio un architetto, che prepara gli ambienti, le stanze e poi vi colloca gli abitanti, che vivono tutti sotto lo stesso tetto nei diversi piani della casa.
Il testo è poetico e il suo genere letterario è didattico; in un contesto culturale politeista e manicheo insegna che:
· l’universo è opera di Dio;
· tutte le creature (anche l’ erba verde) sono opera della Sua Bontà e della Sua Bellezza;
· ogni creatura è immagine di Dio, che vi si rispecchia (Gen 1,31 “vide che era cosa molto buona”, in ebraico tov significa sia buono che bello);
l’uomo (maschio e femmina) [“lo”, nel testo ebraico: אֹתֹו (otò)], creato a immagine di Dio, deve amministrare-prendersi cura del creato, esattamente come fa Dio nei confronti di tutte le sue creature. Il senso del verbo kavash non è tanto “soggiogare”, quanto piuttosto prendersi cura della terra in un rapporto amoroso, armonioso e ordinato. Quanto al verbo tradotto usualmente con “dominare”, radah, indica reggere, guidare, pascolare, con un’azione che è quella del pastore, che ama il suo gregge .
· In questi testi la visione è teocentrica perché tutte le creature riflettono la bellezza e la bontà di Dio e il rapporto uomo/animali si può ricondurre al modello della fraternità che ritroviamo anche ne:
1.3.2 Il secondo racconto della creazione
dove si ha l’immagine di Dio come di un Vasaio. Il Creatore prende del fango e lo modella a corpo umano, cui dà poi vita con il suo alito vitale “Tu mandi il tuo spirito, ed essi sono creati” (Sal. 104,30).
Il racconto prosegue con tre quadri, in cui non avviene nessun cambiamento di scena se non l’ingresso o l’uscita di un personaggio. Nel terzo quadro fa la sua apparizione la donna.
Primo quadro. Appare Dio che delibera: “Non è bene che l'uomo sia solo; io gli farò un aiuto conveniente a lui” (Gn 2:18). La scena è suggestiva: Tutto appare perfetto, ma Dio si ferma per riflettere su un vuoto che ha notato nella sua creazione. “Il terroso” (הָאָדָם, haadam, “Adamo”) che Dio “pose nel giardino dell'Eden” (v. 15), ovvero ἐν τῷ παραδείσῳ , “nel paradiso”, non poteva essere felice stando da solo: “Non è bene che l’uomo stia solo” (Gn 2:18, ). Il maschio non è un essere umano completo. E Dio dice: “Gli farò un sostegno come una che gli sta di fronte [עֵזֶר כְּנֶגְדֹּו]” .
Secondo quadro. Adamo passa in rassegna gli animali, “ma per l'uomo non si trovò un sostegno come una che gli sta di fronte”. L’unico risultato è che Adamo dà il nome a tutti gli animali: “In qualunque modo l'uomo avesse chiamato ogni essere vivente, quello doveva essere il suo nome. E l'uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi” (Gen. 19,20). Nel linguaggio biblico, imporre il nome significa riconoscere la propria paternità su chi riceve il nome.
Terzo quadro. Dio dà una compagna femmina tratta dalla sua metà (Gn 2:21,22). “Questa finalmente è ossa delle mie ossa e carne della mia carne” (v. 23). La chiama “uoma אִשָּׁה (ishà); femminile di אִישׁ (ysh), “uomo”] perché è stata tratta dall'uomo [אִישׁ(ìsh)]” (v. 23). Ora Adamo non è più semplicemente un “terroso” (אָדָם, adàm): ora lui è אִישׁ (ysh), “uomo”, e lei è אִשָּׁה (ishà), “donna”.
.Anche questo racconto appartiene al genere letterario didattico e in un contesto culturale maschilista in cui la donna è sottoposta all’uomo e quasi considerata allo stesso piano della farina di frumento che impasta, della macina, che frantuma i chicchi di grano e dell’asino, che fa girare la pietra, insegna che:
· femmina e maschio hanno pari dignità e sono complementari l’una all’altro;
· l’uomo è animato dallo stesso alito di vita che lo accomuna a tutti gli altri esseri viventi;
Ritroviamo anche qui il modello della fraternità.
Il rapporto tra l’uomo e gli altri esseri viventi è un rapporto padre-figlio, come Dio è Padre per noi così gli altri esseri viventi sono nostri fratelli, anzi nostri figli. Come non ricordare a tal proposito la pecorella di 2 Sam 12,3 cresciuta nella casa del povero “insieme con i figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno… come una figlia”.
Il primo atto compiuto dall’uomo dopo la creazione è quello di dare il nome ad ogni animale introducendolo così nella sfera dei viventi; nella tradizione ebraica dare il nome ad un individuo significava riconoscerlo come figlio.
Ricordiamo Matteo 1,18-21: Giuseppe dà il nome a Gesù, che verrà a tutti gli effetti considerato il figlio del carpentiere.
“Ed ecco come Gesù Cristo fu generato: essendo stata sua madre fidanzata a Giuseppe, prima che essi abitassero insieme, si trovò incinta per virtù dello Spirito Santo. Ora, Giuseppe suo sposo, essendo giusto e non volendo esporla al pubblico discredito, pensò di ripudiarla in segreto. Mentre egli meditava queste cose, ecco che un angelo del Signore gli apparve in sogno dicendogli: "Giuseppe, figlio di Davide. non temere di prendere con te Maria tua sposa, perché è vero che quel che in lei è generato è opera dello Spirito Santo; essa partorirà un figlio, ma sarai tu a dargli il nome di Gesù”.
Gli animali che popolano la terra non solo sono esseri viventi, ma in un certo senso, ricevendo il nome dall’uomo, ne ricevono lo stesso soffio di vita e ne sono figli. Possiamo sicuramente dire che esiste un rapporto di fratellanza interspecifica e universale.
Coltivare e custodire il giardino dell’Eden e il Creato pullulante di energia e vita sono verbi che indicano non solo il prendersi cura (custodire), ma anche lo sviluppare, il far crescere, il far evolvere l’Universo.
Anche i vegetali nascono crescono e si sviluppano come tutti i viventi e offrono abbondante nutrimento all’uomo e agli animali.
A questo punto della storia-mito e del viaggio l’uomo (femmina e maschio) incontra sul suo cammino l’astutissimo serpente.
1.3.3 Il serpente
era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio. Egli disse alla donna: "È vero che Dio ha detto: Non dovete mangiare di nessun albero del giardino?". Rispose la donna al serpente: "Dei frutti degli alberi del giardino noi possiamo mangiare, ma del frutto dell'albero che sta in mezzo al giardino Dio ha detto: Non ne dovete mangiare e non lo dovete toccare, altrimenti morirete". Ma il serpente disse alla donna: "Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male. Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza; prese del suo frutto e ne mangiò, poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch'egli ne mangiò. Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.”( Gen 4,1-7).
Semplificando l’intricatissima questione sul significato del serpente, la tradizione ritiene che nella cultura biblica sotto le spoglie del serpente si celi satana, il demonio.
Il Capitolo (Gen. 3,1a) inizia con: “Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio”.
Nel serpente, che è un animale come gli altri, sta agendo una energia particolare. E’ suggestivo constatare che l’autore di Genesi pone una particolare attenzione alla parola "selvatica", cioè "del campo", che in ebraico è . All’interno di quella parola c’è e queste due lettere sono quelle che formano la parola "demonio".
Come nel libro di Tobia l’angelo Raffaele si presenta sotto mentite spoglie e il demonio si cela sotto le sembianze di Asmodeo, così in Genesi Satana, mentitore sin dall’inizio, si nasconde nel serpente e sfrutta l’ingenuità di Eva e di Adamo, che non si meravigliano affatto che il serpente parli, perché all’inizio la comunicazione interspecifica era un fatto normale: anche Dio scende nel giardino a parlare con l’uomo e passeggia con lui. La Bibbia ci presenta il serpente come un nemico astuto, causa della tentazione che provocò all’uomo la perdita della iniziale innocenza, che gli permetteva senza ombra di malizia di rapportarsi direttamente con Dio. Anche nel libro di Giobbe appare il nome d’un nemico dell’uomo che mette in dubbio il buon esito del Progetto Divino; questi è chiamato satana (Gb. 1,6) : S’TN shatan.
Nella tradizione ebraica "satana” è considerato il re dei demoni, che si era ribellato a Dio ed era stato espulso dal Paradiso. Nel suo esilio egli portò con sé una schiera di angeli ribelli e divenne il loro capo. La ribellione ebbe inizio quando Satana si rifiutò di accettare il progetto di Dio, che prevedeva nel creato la presenza di altri esseri viventi.
Il libro della Sapienza, il N.T. e la tradizione cristiana hanno riconosciuto nel serpente la personificazione dell’avversario: il diavolo. I Padri della Chiesa ritengono che in origine Lucifero fosse l'Arcangelo più bello, più splendente e più vicino a Dio, chiamato quindi Lucifero ("portatore di luce"), che credette d'essere come Dio, peccando cosi di superbia e ribellandosi al Suo volere ("Sarò simile all'Altissimo", Isaia, 14,14).
La dettagliata e straordinaria storia di Lucifero/Satana è narrata dal poeta inglese John Milton nel poema epico “Paradiso Perduto" ("Paradise Lost", 1667), che racconta esattamente della ribellione e della guerra in Cielo, della caduta, della Creazione del mondo (posteriore alla caduta di Lucifero) e dell'uomo e infine della tentazione e della caduta di Adamo ed Eva.
Anche nella “Divina Commedia” Dante Alighieri, insieme a Virgilio, incontra Lucifero di persona.
La teologia cristiana ritiene il demonio non solo un'allegoria del male, ma un reale spirito angelico che opera contro il bene, avendo scelto liberamente di non servire Dio e di usare contro di lui i suoi doni.
Dio, secondo il Cristianesimo, è una potenza infinitamente superiore al demonio in quanto suo creatore ed essere onnipotente, perciò fondamento del suo essere e della sua essenza (come per tutte le altre sue creature). La concezione cristiana di Satana non deve essere confusa, ad esempio, con lo Zoroastrismo o con qualsiasi altra concezione che opponga due principi equipotenti: il bene e il male (vedi il primo racconto della creazione).
Con il Cristianesimo l'attenzione verso il male si sposta dai mali terreni, quali cataclismi, terremoti e malattie, ai mali dell'anima, all'azione del demonio, che non mira tanto a peggiorare l'esistenza terrena dell'uomo, quanto a farlo dannare in eterno, provocando la cosiddetta "morte secunda", com'è chiamata da San Francesco.
Anche l’uomo, come in precedenza Lucifero, ha rotto l’equilibrio cosmico e non ha più accesso al giardino dell’Eden e all’albero della vita custodito dagli angeli cherubini: “Scacciò l'uomo e pose ad oriente del giardino di Eden i cherubini e la fiamma della spada folgorante, per custodire la via all'albero della vita.” (Gen. 3,24) L’uomo trascina in questo percorso rovinoso anche gli altri esseri viventi; gli animali non peccano, ma sono travolti inconsapevolmente dal peccato dell’uomo.
1.4 Il Diluvio: primo disastro ecologico
Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male, si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: "Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti" (Gen 6 5-7).
Allora Dio disse a Noè: "Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell'arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell'arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano maschio e femmina. Degli uccelli secondo la loro specie, del bestiame secondo la propria specie e di tutti i rettili della terra secondo la loro specie, due d'ognuna verranno con te, per essere conservati in vita. Quanto a te, prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e raccoglilo presso di te: sarà di nutrimento per te e per loro. Noè eseguì tutto, come Dio gli aveva comandato, così egli fece”. (Gen 6,8-22 )
“Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra, uccelli, bestiame e fiere e tutti gli esseri che brulicano sulla terra e tutti gli uomini. Ogni essere che ha un alito di vita nelle narici, cioè quanto era sulla terra asciutta morì. Così fu sterminato ogni essere che era sulla terra: con gli uomini, gli animali domestici, i rettili e gli uccelli del cielo; essi furono sterminati dalla terra e rimase solo Noè e chi stava con lui nell'arca”. (Gen 7,21-23 ) “Dio si ricordò di Noè, di tutte le fiere e di tutti gli animali domestici che erano con lui nell'arca. Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si abbassarono. Nel secondo mese, il ventisette del mese, tutta la terra fu asciutta.” (Gen 8, 1 e 8,14). Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra.”( Gen 9,1)
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: "Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall'arca. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra.
Dio disse: "Questo è il segno dell'alleanza, che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi per le generazioni eterne. Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell'alleanza tra me e la terra. Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l'arco sulle nubi ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e tra ogni essere che vive in ogni carne e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. L'arco sarà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l'alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra". (Gen 9, 8-16 ).
1.5 Noè e l’alleanza eterna nel segno dell’arcobaleno
La teologia degli animali qui raggiunge il culmine, perché Dio stringe un patto indelebile con ogni essere che vive sulla terra, e quindi anche con tutti gli animali, e anzi poiché il testo parla di essere vivente dobbiamo certamente estendere l’alleanza anche al mondo vegetale. Dopo il diluvio rinasce una nuova terra, un nuovo ambiente popolato da tutti gli abitanti dell’Arca-Casa, si riaccende la speranza di un nuovo ecos.
Di nuovo la storia dell’umanità vede al centro l’uomo, che con la sua spregiudicatezza e superbia si ritiene il padrone di tutto ciò che lo circonda.
Passiamo, da qui in avanti, da una visione teocentrica ad una visione antropocentrica e nel rapporto uomo/animale si passa dal modello della fraternità al modello specularmene antitetico del dominio.
L’uomo si ritiene il signore, il padrone della terra e di tutti gli esseri viventi; la sua signoria non è più il prendersi cura, ma è la padronanza assoluta e indiscussa su tutta la terra.
Dopo la tragedia del Diluvio Noè è autorizzato a mangiare tutto ciò che si muove e ha vita (Gen 9,2) e da quel momento comincia la rottura tra coloro che erano riuniti nella stessa Arca (Gen 9,3) e quindi gli animali sono sottoposti alla malvagità e alla dittatura dell’uomo.
Gli animali, che non hanno preteso di essere come Dio, come invece hanno fatto le altre creature (alcuni angeli e gli uomini), iniziano un cammino di sofferenza, che non è ancora terminato ai nostri giorni.
L’uomo ha presto dimenticato la solidarietà tra uomini e esseri viventi e di conseguenza anche l’alleanza con Dio.
Gli Ebrei non hanno però dimenticato che questi viventi, innocenti e privi di malizia, sono a loro così prossimi da essere utilizzati nel sacrificio a Dio.
L’uso dell’animale per il sacrificio è sicuramente una forma arcaica di culto, legata alle culture dell’epoca, ma sottolinea il valore di questo essere vivente offerto a Dio, la cui vita è sullo stesso piano della vita umana.
Da questa convinzione scaturisce anche la proibizione di mangiare il sangue degli animali sacrificati o uccisi perché il sangue è la vita di ogni essere vivente, che è fratello dell’uomo. “Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue. Del sangue vostro anzi, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ogni suo fratello.” (Gen. 9,4-5 )
Nella Bibbia e nella tradizione rabbinica si introduce poi gradualmente, ma costantemente, la convinzione etica che la compassione è il primo criterio, che deve guidare il nostro comportamento verso gli animali. Possiamo quindi ritenere che la visione antropocentrica iniziale si vada moderando gradualmente con tutta una serie di precetti etici.
In essa numerose sono le norme che tendono a limitare la sofferenza negli animali: gli animali ad esempio hanno diritto al riposo sabbatico, così pure non bisogna arare un campo con un bue legato con il giogo ad un asino per evitare la sofferenza che ne deriverebbe dalla disparità di forza, e’ vietato mettere la museruola al bue mentre trebbia, perché ha diritto di nutrirsi del prodotto del suo lavoro.
Possiamo quindi ben sostenere che nella Scrittura troviamo anche un antropocentrismo moderato.
1.6 Cristo riporta armonia nel creato: visione ecocentrica e modello della fraternita’
Il cielo e la terra generano il Salvatore “ Rorate cæli desuper et nubes pluant Iustum
aperiatur terra, et germinet Salvatorem” (Isaia 45,8 ).
Alla sua nascita a Betlemme sono presenti lo splendore degli astri, le armonie degli angeli, la semplicità dei pastori e l’innocenza degli animali, che pascolano.
Nella sua predicazione Gesù spesso ricorda la mitezza dei greggi, delle pecore, degli agnelli, degli asini, la dolce compassione del cane, che lenisce le piaghe del povero, la semplicità della colomba e l’astuzia del serpente. Particolarmente significativo è l’invito di Cristo a vedere negli uccelli del cielo e nei fiori del campo la bontà e la bellezza del Padre, che li nutre e li riveste di splendore.
Nel messaggio evangelico Cristo si riferisce a Dio come Padre: il Creatore è Padre e il Creato è figlio e tutti gli esseri viventi sono fratelli.
Cristo poi abolisce, proprio durante la Pasqua, alla vigilia della sua morte, ogni rituale sacrificale per sostituirlo con il pane e il vino, frutti della terra e del lavoro dell’uomo, che sono gli alimenti del banchetto del Regno dei Cieli.
1.7 Resurrezione di Cristo: visione cristocentrica e modello della fraternita’
Paolo di Tarso, sopra a tutti, capì la portata e la conseguenza della Resurrezione di Cristo su tutta la creazione, destinata a rinascere (nuovi cieli e nuova terra).
La Resurrezione è il fondamento di una nuova etica nei confronti degli esseri viventi e “… anche nei confronti delle creature vegetali. Ma dico di più: se tutto ciò che ha avuto l’essere, l’esistenza, dal creatore e l’ha persa nella morte non l’avesse di nuovo, bisognerebbe concludere che la morte è più potente di Dio, perché vince sull’esistenza. Questo è stato realmente un pericolo per Dio, che ha voluto perciò scegliere la propria morte per annunciare la resurrezione. Se, non solo un filo d’erba, ma un sassolino non avesse di nuovo l’esistenza, sarebbe falsa la domanda di Paolo: “O morte, dov’è la tua vittoria? (1 Cor 15,55 )” (Paolo De Benedetti in “ Il Filo d’erba ” pagg. 36-37 Morcelliana.)
Dopo la resurrezione di Cristo la rinascita di tutta la creazione è in gestazione, infatti «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8,19-22).
Dal punto di vista esegetico l’opinione, oggi quasi unanime, è che il termine paolino “ktisis” designi la creazione nel suo complesso, cioè l’universo con tutte le sue creature viventi.
Questa sofferenza è dovuta al fatto che la creazione, senza sua colpa, è stata trascinata dall’uomo nello stato di vanità e corruzione; questo stato però non è definitivo, c’è una speranza per il creato legata direttamente a Cristo.
Con Paolo di Tarso si arriva così ad una Visione Cristocentrica di tutto il creato.
Nella concezione teologica di Paolo infatti per mezzo di Cristo sono state create tutte le cose: "Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di tutta la creazione, perchè per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili... Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e per lui. Egli è la prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui". (Colossesi 1,15-17).
Questa visione profetica dell’Apostolo offre l’occasione per toccare il problema, oggi così dibattuto, della presenza o meno di un senso e di un progetto divino interno al creato, senza con ciò voler sovraccaricare il testo paolino di significati scientifici o filosofici, che evidentemente non ha.
La ricorrenza del bicentenario della nascita di Darwin (12 febbraio 1809) rende ancora più attuale una riflessione in tal senso.
Nella visione di Paolo, Cristo è all’inizio e al termine della storia del mondo. Il tema della liberazione finale della creazione e della sua partecipazione alla gloria dei figli di Dio trova una conferma nel tema dei “cieli nuovi e terra nuova” della Seconda Lettera di Pietro (3,13) e dell’Apocalisse (21,1).
La prima grande novità di questa visione è che essa ci parla di liberazione della materia, non di liberazione dalla materia, come invece avveniva in quasi tutte le concezioni antiche della salvezza: platonismo, gnosticismo, docetismo, manicheismo, catarismo.
Sant’Ireneo ha combattuto tutta la vita contro l’affermazione gnostica secondo cui “la materia è incapace di salvezza” (Cf. S. Ireneo, Adv. haer. V, 1,2; V,3,3.).
Nel dialogo attuale tra scienza e fede, il problema si presenta in termini diversi, ma la sostanza è la stessa. Si tratta di sapere se il cosmo è stato pensato e voluto da qualcuno, o se è frutto del caso e della necessità, se il suo cammino mostra i segni di un’intelligenza e avanza verso un traguardo preciso, o se si evolve per così dire alla cieca, obbedendo solo a leggi proprie e a meccanismi biologici.
La tesi dei credenti a questo riguardo ha finito per cristallizzarsi nella formula che in inglese suona “Intelligent design”.
Chi ha aperto il discorso sull’evoluzione a una dimensione nuova è stato Pierre Teilhard de Chardin.
L’apporto di questo studioso nella discussione sull’evoluzione è consistito essenzialmente nell’aver introdotto in essa la persona di Cristo, di averne fatto un “problema cristologico” (F. Mooney, Teilhard de Chardin et le mystère du Christ, Aubier, Paris 1966).
Il suo punto di partenza biblico è l’affermazione di Paolo, secondo cui “tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16). Cristo appare in questa visione come il Punto Omega, cioè come senso e approdo finale dell’evoluzione cosmica, che è in costante tensione di adattamento tra la volontà divina e la libertà umana.
Si possono discutere il modo e gli argomenti con cui lo studioso gesuita giunge a questa conclusione, ma non la conclusione stessa. Ne spiega bene il motivo Maurice Blondel in una nota scritta in difesa del pensiero di Teilhard de Chardin: “Davanti agli orizzonti ingranditi della scienza della natura e dell’umanità, non si può, senza tradire il cristianesimo, rimanere su spiegazioni mediocri e a modi di vedere limitati che fanno del Cristo un incidente storico, che lo isolano nel Cosmo come un episodio posticcio, e sembrano fare di lui un intruso o uno spaesato nella schiacciante e ostile immensità dell’Universo” (M. Blondel et A. Valensin, Correspondance, Aubier, Parigi 1965).
Nel versetto finale l’Apostolo fissa questa visione di fede in una immagine ardita e piena di vita: l’intera creazione è paragonata a una donna che soffre e geme nei dolori del parto. Nell’esperienza umana, questo è un dolore sempre misto a gioia, ben diverso dal pianto silenzioso del mondo, che Virgilio ha racchiuso nel noto verso dell’Eneide: “sunt lacrimae rerum”, piangono le cose (Virgilio, Eneide, I, 462.)
L’accenno al travaglio da parto della creazione è fatto però nel contesto del discorso di Paolo sulle diverse operazioni dello Spirito. Egli vede una continuità tra il gemito della creazione e quello del credente, che è messo apertamente in rapporto con lo Spirito: “Essa (la creazione) non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente”.
Lo Spirito è la forza misteriosa, l’energia potente che spinge la creazione verso il suo compimento e lo Spirito, che aleggiava agli albori della Creazione, è uno e unico per le stelle, il mare, gli alberi, le gazzelle, gli uomini e gli angeli e questo essere uno e unico, che il teologo Vito Mancuso, chiama energia, è lo Spirito (Vito Mancuso L’anima e il suo destino Cortina Editore pagg. 55-57).
“La parola greca che viene tradotta con spirito significa letteralmente soffio unito al fuoco e indicava nell’ antichità quella nozione che la scienza odierna indica con la parola energia” (Simone Weil, La prima radice, tr di Franco Fortini, Leonardo, Milano p. 218)
Con un accenno velatamente autobiografico, l’Apostolo scriveva ai Corinzi: “Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,16). L’evoluzione dello spirito non si svolge nell’essere vivente parallelamente a quello del corpo, ma in senso contrario. Si è parlato molto di un film intitolato” Il caso curioso di Benjamin Button”, tratto da un racconto dello scrittore Francis Scott Key Fitzgerald. È la storia di un uomo che nasce vecchio e, crescendo, ringiovanisce fino a morire da vero bambino. La storia è naturalmente paradossale, ma può avere un’applicazione quanto mai vera se trasferita sul piano umano. Noi nasciamo “uomini vecchi” e dobbiamo diventare “uomini nuovi”. Tutta la vita, non solo l’adolescenza, è una “età evolutiva”!
Secondo il Vangelo, bambini non si nasce ma si diventa; san Massimo di Torino, Padre della Chiesa, definisce la vita come un passaggio dalla vecchiaia alla gioventù. Eravamo infatti decrepiti per la vecchiaia dei peccati, ma per la risurrezione di Cristo siamo stati tutti (animali, vegetali, minerali…) rinnovati nell’innocenza dei bambini.
In Cristo Pantocratore tutto il creato risorge e il segno di questo rinnovamento lo troveremo proprio nella ricomposta armonia intraspecifica e infraspecifica tra uomini e animali: il lupo pascolerà con l’agnello e i bimbi giocheranno con i cuccioli dei serpenti.
Da questa visione biblica sgorga impellente per i cristiani una nuova etica nei confronti di animali e vegetali, basata sul rispetto e la salvaguardia del creato, perché la natura è sottoposta, ancora una volta, a una corruzione, che deriva dall’egoismo dell’uomo.
Anche la pet therapy si inserisce in questo sforzo etico di armonizzazione e si fonda sul principio che gli animali non sono strumenti, ma individui unici e irripetibili, il cui benessere sta nel recupero della loro dignità.
L’assoluta non violenza nei confronti degli animali e il vegetarianismo sono aspetti fondamentali e profetici di una nuova etica, che si sta sviluppando nello spirito del Cantico delle Creature di Francesco, che riscopre, per innocenza e grazia, qualcosa del lessico che in qualche modo ci fu alle origini nel primo mattino del mondo fra Adamo e tutte le creature.
In Francesco emerge quella teologia ecologica e cosmica, che fu di Paolo di Tarso alle origini del Cristianesimo, di Humphry Primatt nel settecento e di Teilhard de Chardin nel novecento e infine di Nazareno Fabbretti, di Luisella Battaglia e di Paolo De Benedetti ai nostri giorni.
Concludo questa ricerca ricordando il Cantico delle Creature perché è il più semplice e il più profondo inno cristologico: chi loda il Signore per bocca di Francesco è il Cristo Risorto.
Il poverello di Assisi si era così immedesimato con Gesù morto e risorto da riceverne le stimmate e da essere così l’immagine vivente del Cristo risorto, che si presenta ai suoi discepoli con i segni dei chiodi e la ferita del costato e eleva la voce di lode al Padre da parte di tutto il creato.
Si è osservato che, stranamente, nel Cantico non sono citati gli animali, ma Francesco quando parla di “quelli che perdonano per lo Tuo amore et sostengono infirmitate et tribulatione”, pensa a tutti gli esseri viventi (animali compresi), che ancora oggi soffrono a causa nostra, ma che nonostante tutto continuano ad amarci e a perdonarci.
Dalla teologia degli animali deriva impellente per i cristiani l’impegno per una nuova etica della cura nei confronti di tutti gli esseri viventi, etica della cura amorevole e fraterna verso tutte le creature anche le più piccole.
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