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FrancoAngeli 2008

Il volume si propone l’obiettivo di rinvenire un fondamento giuridico per un principio che, dal punto di vista etico-filosofico, appare ancora controverso, in quanto esposto ad obiezioni di varia natura e non tutte facilmente confutabili: quello della responsabilità intergenerazionale. In altri termini, il diritto potrebbe sopperire all’incertezza che sinora il pensiero etico-filosofico ha evidenziato rispetto al tentativo di dimostrare l’esistenza di una responsabilità verso le generazioni future, trovando nelle esigenze ormai diffuse la motivazione per codificare, in quanto questo è per l’appunto il compito del diritto: “raccogliere”, per così dire, e regolamentare le istanze comuni.
Risulta senza dubbio importante e significativo il progetto di dare consistenza giuridica a un principio che da ormai alcuni decenni viene meccanicamente ripetuto, senza la reale consapevolezza delle difficoltà interpretative e applicative. Si pensi ad esempio alla Conferenza di Stoccolma del ’72, considerata una delle tappe fondamentali del pensiero su sviluppo e ambiente globale, che ha determinato la presa di coscienza dei problemi ambientali a livello internazionale. Da quel momento il principio della preoccupazione per le generazioni future è divenuto patrimonio comune dei movimenti ambientalisti e viene ripetuto meccanicamente il tutti i documenti ufficiali e in molti atti governativi, apparentemente senza che se ne comprendano realmente le implicazioni. La medesima cosa si è verificata del resto per il Principio di precauzione, elaborato nella Dichiarazione di Rio, la quale a sua volta contiene anche un Principio (il n. 3) il quale recita che “Il diritto allo sviluppo deve essere realizzato in modo da soddisfare equamente le esigenze relative all'ambiente ed allo sviluppo delle generazioni presenti e future.
L’A. ripercorre dunque le obiezioni ormai classiche, soprattutto di matrice contrattualistica, ma non solo, emerse negli ultimi decenni in ambito filosofico, quali la difficoltà a prospettare obbligazioni nelle quali una delle parti non esiste e quindi non può rivendicare il proprio diritto, la nostra ignoranza circa i bisogni delle generazioni future, che quindi rischia di condurci a richiedere sacrifici inutili o non necessari, l’obiezione contrattualista dell’assenza di reciprocità. Si tratta a mio avviso di obiezioni di non poco conto, a condizione che però se ne accetti la cornice, ovvero si abbracci per l’appunto la posizione contrattualista, che non è detto debba essere l’unica, sebbene di fatto essa sia a fondamento della più diffusa concezione della società e delle relazioni politico-sociali.
A tali obiezioni l’A. fornisce alcune interessanti risposte. Innanzitutto egli sostiene che le generazioni future, se non hanno sensibilità e se non possono reciprocare la responsabilità, hanno tuttavia degli “interessi” sui quali è possibile fondare l’assunzione dei responsabilità; in secondo luogo ritiene che l’esistenza di una relazione tra soggetti non sia indispensabile all’esistenza di un rapporto giuridico; e ancora rileva che il diritto internazionale tutela già diritti “di gruppo”, i quali non necessitano del riferimento agli individui e quindi al singolo essere senziente con i suoi bisogni per essere sostenuti: dunque, anche l’umanità del futuro potrebbe essere considerata in tal modo; infine, ritiene che nel principio dello sviluppo sostenibile, che possiamo considerare ormai patrimonio della cultura mondiale, sia contenuta implicitamente anche la solidarietà intergenerazionale.
Insomma, sembra possibile far riferimento ai diritti umani e concepirli in maniera estesa: come gli uomini hanno diritto alla vita, all’incolumità, ecc., così hanno un diritto a un ambiente salubre e questo si estende al futuro, poiché ciò che non si può fare alle generazioni presenti, ossia privarle di un ambiente idoneo, non si può farlo ORA neppure alle generazioni future, indipendentemente dal valutare se le loro esigenze saranno o meno le stesse o se le condizioni cambieranno.
Il tema suggerisce insomma un riavvicinamento tra morale e diritto che l’A. sembra considerare parte essenziale dell’approccio ai “nuovi diritti”, e che tuttavia non va inteso come animato da tentazioni da Stato etico, bensì quale "ascolto" di istanze nuove, che il diritto si sente chiamato a regolamentare.
Sebbene l’A. riconosca che gli strumenti giuridici atti a garantire tale diritto non sono ancora disponibili, si sforza di proporne in maniera sufficientemente convincente sia attingendo alla normativa internazionale, sia proponendo una propria prospettiva e quindi da un lato intendendo la Costituzione non solo come patto intragenerazionale ma anche come patto intergenerazionale e dall'altro mettendo da parte le istanze/incertezze etiche per rispondere piuttosto in maniera che egli definisce “strumentale”, intendendo con ciò la rinuncia a proporre giustificazioni valoriali “forti”. Se il diritto è la “tecnica o strumento per rendere possibili i rapporti umani” (p. 59), non occorre che si risponda in maniera esaustiva ai dubbi filosofici, ma è possibile accogliere le istanze che storicamente si presentano. Questa potrebbe sembrare una soluzione di “basso profilo”, per così dire, mentre è proprio ciò che al diritto va richiesto: non abbracciare una prospettiva etica, ma disciplinare nel modo più neutrale ed equo possibile le relazioni interumane.
E' infine senz'altro vero che la giurisprudenza, al fine di poter affrontare nuove sfide di questo tipo, deve “ripensare le categorie giuridiche tradizionali” (p. 86), altrimenti dovremmo ancora concludere che la tutela delle generazioni future appaia giustificabile più plausibilmente da un punto di vista etico che da uno giuridico. Per altro tale idea è forse proprio avvalorata anche dall’enfasi posta dall'A. più sui doveri delle generazioni presenti che sui diritti di quelle future, proprio per la difficoltà ad argomentare questi ultimi (p. 113).

(Maria Antonietta La Torre)

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