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La Crisi della Medicina: tra declino della Scienza e ritorno della... Magia?

Lorenzo De Caprio

(Centro Inter Facoltà di Ricerca in Bioetica (CIRB), Napoli. Cattedra di Gerontologia e Geriatria, Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Ateneo “Federico II” Napoli, Napoli)

Riassunto

Dio è morto. La Scienza il suo saggio e trionfante assassino, e questo è Progresso. Ma, al tramonto del millennio, il fantasma del Dio morto riempie di nulla l’intera esistenza umana. Nelle disilluse, disincantate società a sviluppo industriale avanzato, ritornano dal passato primitive credenze e vecchie superstizioni, nuovi esotici culti e misteriose arti magiche nascono.
I limiti nelle risorse, l’ambiguità del progresso tecnologico, il fallimento dei sistemi sanitari, l’insoddisfazione dell’utenza, la disumanizzazione tecnologica dell’arte, la severa frattura nella relazione medico-paziente sono generalmente considerate le principali cause della crisi della medicina scientifica occidentale, ma il crescente successo delle pratiche mediche alternative, definite come quelle né insegnate nelle facoltà mediche, né disponibili negli ospedali, avverte di ben altro.
Così come si stanno diffondendo i nuovi movimenti religiosi, così trattamenti non ortodossi stanno avendo clamoroso successo di pubblico in tutti i paesi occidentali; e la gente si rivolge alla medicina alternativa perché la considera coerente con i propri valori e la personale visione della vita. Allo stesso modo, molti medici insodisfatti, abbandonano i trattamenti ufficiali e raccomandano terapie esotiche e/o non dimostrate terapie scientifiche, così che in pratica, molti medici stanno respingendo il metodo della Scienza.
Da un punto di vista sociologico le nuove religione sincretiste, portatrici di valori non coerenti con la tradizione culturale occidentale, s’ispirano a visioni del mondo conflittuali sia nei confronti di quella cristiana, sia, e soprattutto, nei confronti di quella della Scienza. In conclusione la crisi della medicina scientifica potrebbe essere il segnale d’un processo di trasformazione paradigmatica nella visione del mondo e della vita.

Summary

God is dead. The Science his wise and triumphant killer, and it is Progress. But as consequence, at the sunset of millennium, the ghost of dead God fills with nihil whole human existence, and in our advanced, disenchanted, disillusioned societies, primitive beliefs and old superstitions come back, new exotic cults and misterious magic arts rise.
Economic resource limits, equivocalness of bio-tecnology, failure of all heath systems, dissatisfaction of users, too tecnologically oriented treatments, severe break in the relationship between phisicians and their patients are judged the main well known causes of the crisis of scientific medicine, but the rising success of unconventional form of health care, defined as those practices neither taught in medical schools nor available in hospitals, inform us of other.
As new religious movements are spreading, so unorthodox therapies are having a large circulation all over industrialazed countries. It seems that the majority of unconventional medicine users find these health care alternatives to be more congruent with their own values, beliefs and philosophical orientations toward health and life. Several physician, dissatisfied with conventional treatments, reccomend exotic and/or not proven “scientific” therapies to their patients, so that, in practice they are rejecting the experimental method of the Science.
From a sociological standpoint, new sincretistic beliefs and religions are not in conformity with the traditional occidental culture, and clash both with christian religion, both with scientific worldview. In the same way the broad spectrum of unconventional medical cares is not in conformity with the standards of scientific community. As conclusion the crisis of the scientific medicine might be warning sign of paradigmatic change of the worlview in western countries.

Introduzione

Le ragioni dell’economia, la disumanizzazione della professione, le ambiguità del progresso non spiegano del tutto la crisi della medicina scientifica. Le novità e le difficoltà dei nostri giorni non risiedono solo nel fatto che si critichino aspramente i dottori, o che la medicina si riveli, alla prova dei fatti, molto meno onnipotente di quanto la gente immagina che sia, ma piuttosto consistono anche nel fatto che il crescente rifiuto della medicina ufficiale sembra correlarsi ad un cambiamento socio-culturale di più vasto raggio: al diffondersi di quella avversione per la Scienza che quaranta anni fa ispirò a Snow il celebre saggio: Le Due Culture[i]. Visione negativa della scienza e degli scienziati che risale all’età romantica, ma che ora, uscendo fuori dalla mente degli artisti e dei poeti, sta diventando opinione condivisa nella gente. La crescente attuale diffidenza nei confronti della scienza trapela anche da altri due fenomeni tipici negli ultimi anni del nostro secolo. L’emergere di filosofie pessimistiche tra le élites intellettuali di matrice umanistica... Il clamoroso risorgere di idee ed atteggiamenti integralisti molti dei quali avversano palesemente la scienza o fanno di tutto per limitarne il raggio d’azione [ii].
Una ricerca commissionata dal governo Olandese e dedicata all’evoluzione del mercato sanitario, delineò come plausibile in un futuro prossimo il dilagare d’un irrazionale ostile alla medicina scientifica: le emozioni controlleranno il dibattito, e tutti si convinceranno del pericolo costituito dalle medicine. La pratica medica diverrà sempre più conservativa e difensiva. Si privilegerà la cura, cercando d’evitare gli interventi ed abolendo ove possibile l’alta tecnologia. Gli ospedali stessi forniranno modelli terapeutici basati sull’empatia e la medicina comportamentale. I rimedi naturali diverranno sempre più popolari [iii] Ma il futuro è già il presente e vediamo affermarsi forme non convenzionali di cura della salute, definite come quelle né insegnate nelle scuole di medicina, né generalmente disponibili negli ospedali. Solo nel 1990, negli Stati Uniti, il 34% dei bianchi adulti della middle-class, sono ricorsi almeno una volta a trattamenti non ortodossi per un totale di 425 milioni di visite, quasi il 50% di tutte le visite, presso non meglio definiti alternative health care providers [iv]. Almeno il 25% degli Europei segue cure alternative, che, in Italia, troverebbero minore, ma pur tuttavia rilevante e crescente fiducia tra il pubblico[v].
La diffusione di terapie non ufficiali è ormai di tali dimensioni da investire le autorità politiche che dovrebbero preoccuparsi della tutela della salute pubblica. Recentemente il Parlamento Europeo ha approvato un documento che prepara il terreno all’ingresso ufficiale delle altre medicine, ma la questione è più spinosa di quanto non si pensi. Nel gran calderone del “ non convenzionale” rientrano l’omeopatia e la lunga teoria delle pratiche orientali con alle spalle le loro poderose tradizioni culturali, ma vi rientrano anche cose che sanno di magia e superstizione. Dove verrà posto il confine? E con quale metodo ? E perché?
Le nuove medicine si rifanno a paradigmi esplicativi diversi da quello riduzionista, organicista ed allopatico dominante in Occidente, e ci dobbiamo domandare se la crisi della medicina ufficiale non sia anche la conseguenza d’un cambiamento paradigmatico in atto nella postmodernità. La ricerca di Astin supporta quest’ipotesi. Il ricorso da parte degli americani alle medicine alternative si correla a : l’alto livello d’istruzione, l’ansia, l’orientamento olistico nei problemi della salute, l’ambientalismo, il femminismo, la ricerca di spiritualità ed il desiderio di crescita psicologica personale. Più che insoddisfatti verso la medicina scientifica, gli americani ricorrono all’alternativo perché più coerente con i propri valori, le convinzioni e l’orientamento filosofico nei confronti della vita [vi]. La crisi della medicina scientifica potrebbe sottendere il declino della visione scientifica del mondo ed il ritorno in vita dell’incredibile e dell’imprevisto; la Nuova Età, infatti, minaccia di presentarsi con la maschera più antica che ci sia: quella della Magia. Verso dove sembra che si diriga la società opulenta? Dove sta andando la medicina? Quali le responsabilità della Scienza in tutto questo?
La Postmodernità: Verso... non Dove.
La storia ci costringe nei suoi lacci, ci serra. Molte più cose di quanto immaginiamo dobbiamo al’68. E’ in quegli anni che gli Hare Krishna incominciano a colorare di giallo le grigie città della Ragione. In una desolata landa scozzese Findhorn. Lì vivono Peter ed Eileen Caddy, due falliti secondo i comuni criteri di giudizio. Eileen medita, entra in contatto con i Deva, folletti che vivono sotto terra. La voce dice ad Eileen d’aver fede, di ritornare alla Terra e coltivare l’arida terra di Findhorn. La landa di sabbia e ghiaia diventa un paradisiaco giardino e centro d’irradiazione d’una nuova visione del mondo. Intanto la California si trasforma in sogno, e si vivrà Dreaming California. Lì nasce la controcultura degli hippies che rifiutano l’ american way of life. Nel grande raduno di Woodstock, il rock esalta vecchi e nuovi valori alternativi: l’assoluta libertà individuale, il sesso, la droga. la pace, la fratellanza, l’amore.... Nasce il modello alternativo di sviluppo. Il club di Roma lancia il suo catastrofico vaticinio, e la cultura verde accusa Industria, Scienza e Tecnologia d’assassinare Gaia: la Terra. Sorgono nuovi movimenti religiosi e, partendo dalle sette di ieri, s’arriva oggi agli affari ed alla “politica” delle grandi multinazionali dell’alternativo: Scientology, New Age... [vii],[viii]. Guru venuti, come vennero i Magi dall’Oriente, salgono sul palcoscenico della vita e, recitando la parte dei protagonisti, insegnano agli occidentali come si fa a sopravvivere alla vita. I seguaci della Jesus Revolution, quasi a rifarsi al modello degli eremiti, fuggono il mondo e predicano le virtù d’una vita casta ed austera. Professore di psicologia, Timothy Lear inventa la chimico-mistica. Le baccanti s’univano al Dio nel di-vino, ora miseramente, pateticamente chimica industriale: acido lisergico, ectasy. Il paradiso personale è a portata di mano. La drug-culture sollecita l’Io sconfitto a cercare salvazione nel ripiegamento su se stesso, d’allucinarsi nella fantasmagoria della libertà più vuota. Più si è vuoti, recita l’equazione, più si è liberi. E la libertà interiore, ultima allucinazione della Ragione quando ogni senso è perso, diventa l’equivalente di un più grande Nulla. Il musical Hair ottenne in quegli anni un successo travolgente. Colpendo l’immaginario d’una generazione, fece emergere sommerse credenze ed aspettative. Annunciò l’avvento dell’Era dell’Acquario. In duemila e più anni, l’Era dei Pesci ha cosparso la Terra di sangue e lutti, ma il tempo dell’odio e della morte sta per finire. Nuove energie cosmiche scenderanno dall’Alto dei Cieli, e nuova sarà la Terra e rinnovati gli uomini. Il canto collettivo Acquarius traduce un ansia di pace, armonia, giustizia, solidarietà, crescita spirituale.... Tutto questo accadrà. Ma accadrà nel disimpegno, senza sacrificio, sudore e sangue umano, perché quello che lassù combinano gli astri determina il destino dell’uomo sulla Terra.
Come per una beffarda mossa a sorpresa del destino, muovendo dai luoghi simboli della razionalità scientifica, Gran Bretagna e Stati Uniti, un nuovo incanto si sta infiltrando per vie sconosciute e sotterranee nella psicologia di massa. Si sta reincantando il mondo disincantato? L’emergere prepotente tra il cristallo, l’acciaio ed il cemento di un’altra seppur confusa visione del mondo incuriosisce e sorprende. Desta speranze di apocalisse e rinnovamento in alcuni, preoccupa altri. Come sono possibili queste superstizioni e questi culti in americani apparentemente sani di mente? Perché i giovani si gingillano con concezioni del tutto avulse dalla Realtà[ix] ? E’ alle porte la guerra civile culturale [x]?. Si può escludere una regressione a tempi pre-illuministici [xi]? Altri sollevano il ritorno camuffato dei più sanguinari spettri del nostro recente passato[xii].
Un bus traversa il deserto. Si ferma. Ne discendono gli attori. Rappresenteranno la rappresentazione e Jesus Christ diventa Superstar. Danze e canti accompagnano il sacrificio del figlio dell’uomo. A morte avvenuta, a commedia finita, gli attori risalgono sul bus, anche Giuda prende posto, ma manca un volto: il volto di chi ha interpretato Cristo. Nella rappresentazione un uomo è morto sul serio e quella che è stato dichiarata come una commedia, non è commedia. Il bus si mette in moto, s’allontana. La croce resta abbandonata in un deserto ove, spenti i canti, muoiono senso e speranza.
Nel 1981 Sabino Acquaviva[xiii], sulla base del declino delle pratiche religiose tra la gente, avanzò la tesi dell’eclissi del sacro in Occidente. Ma ora? Come a dargli ragione, oggi ci si sente stretti nella prospettiva monoteistica [xiv], e nell’eclissi del Dio cristiano emerge e prende forma nell’interiorità degli uomini un qualcosa d’ambiguo e contorto. Un qualcosa che non ha nulla del sacro, ben poco del divino e molto, troppo, del magico selvaggio. Un qualcosa che sottende un bisogno, ed è bisogno che si trasforma in cultura, e diventa cultura che, quanto meno, mina alle fondamenta le basi della modernità illuminista. I cosiddetti nuovi movimenti religiosi operano audaci operazioni di sincretismo culturale, ma la somma dell’addizione di “Cristo” e “Budda” è cosa diversa da Cristo e Budda, stravolge e morti-fica l’uno e l’altro, apre le porte all’avvento di non si sa che cosa. Nel gran calderone ove si rimescola tutto con il contrario di tutto, emerge comunque chiaro il rifiuto della scienza. Le credenze della Nuova Età beffeggiano ed aggrediscono la razionalità scientifica là dove essa si ritiene blindata. Alle mutevoli verità del metodo, la Nuova Età oppone l’immutabile eterna Verità di una Fede; e la scienza, non avendo nulla da offrire sul piano del senso, si scopre nuda. Tutto questo riesce facile alle nuove religioni, esse non hanno che da riempire il vuoto che la scienza stessa ha creato e che non può, né saprebbe, anche volendo riempire. Il sogno della Ragione che ha prodotto e produce mostri, sta partorendo formicai di nani dal ventre gonfio alla ricerca dell’ axis mundi, del significato della vita. E voi non siete nati per caso (o meglio reincarnati, visto che si crede alla reincarnazione...). Voi siete incaricati di una missione che consiste nel contribuire all’avvento dei nuovi tempi, assicurare la salvezza del pianeta, purificare l’umanità, estirpare le forze del male[xv].
A ben vedere tutto ciò sa d’epocale fallimento. L’Illuminismo ha perseguito da sempre l’obbiettivo di far uscire gli uomini dallo stato di minorità, di togliere agli uomini la paura e di renderli padroni... Di liberare il mondo dalla magia... Di dissolvere i miti e di rovesciare l’immaginazione con la scienza. Ma la terra interamente illuminata risplende all’insegna di trionfale sventura [xvi]. Come ha scritto Bruno Forte, il sogno della Ragione svanisce in un tramonto; le ansie di rinnovamento della post-modernità minacciano di diventare la continuazione in negativo di ciò che essa intende abbandonare, ed il nuovo che sta prendendo forma è un negativo che abbraccia ogni cosa nel segno del rifiuto d’ogni senso. Non nasconde lo stesso nome di post-moderno questo rischio sottile, descritto mirabilmente dalla frase di Kundera: <>?[xvii]
Metodicamente la razionalità scientifica ha disincantato con metodo il mondo. Ha dimostrato all’uomo che altro non è che un niente dis-perso nel Nulla di un universo infinito e senza scopo. La rivoluzione scientifica del XX sec. ha aggiunto caos a non-senso. Principio d’indeterminazione, relatività, teorema di Godel, freccia del tempo, seconda legge della termodinamica... ed il Caos dei fisici ha sostituito quello primigenio dei cantori mitici. Il sogno determinista del divino Laplace di dominare con un’unica legge il Tempo s’è dissolto, perché la grandiosa programmazione del grande balletto stellare s’è trasformata in un fuggi fuggi generale. Una grande esplosione e la luce fu. Nato da una catastrofe, l’universo s’avvia alla catastrofe. Non possediamo più in universo ragionevole... ma qualcosa che sembra essere ancora negli spasimi della Genesi, e già nelle convulsioni dell’Apocalisse[xviii]. Sulla terra ci ritroviamo tutti schiavi di un Dio biologico e ferocemente determinista: ADN come Acido DesossiriboNucleico, ADN come Adonai, il Signore. Signore il gene egoista non ha pietà degli uomini[xix]. Cos’è una gallina se non il mezzo con cui l’uovo perpetua se stesso? Questo non ha senso neanche per i biologi molecolari che cercano di venire a patti con il loro Dio. Intanto a differenza della scienza, ridotta ormai ad un cantiere in disfacimento, la New Age da risposte e soprattutto certezze[xx].
La secolarizzazione ha generato l’inaudito isolamento dell’individuo perso nella massa. Nella società opulenta, l’avventura umana è vissuta come un continuo sfibrante conflitto con il non-senso dell’Essere nel mondo, il che è quanto sostenuto da filosofi che descrissero l’uomo d’oggi come gettato nell’Assurdo di un mondo senza ragione, e credettero, senza troppa filosofica coerenza, che l’assurdità dell’esistenza potesse poi fondare un’esistenza sensata[xxi],[xxii]. Tutto sfuma, svanisce. Tutto si sovrappone, si confonde, svapora. Il post-moderno è grigio, opaco, greve. Il tracotante e colossale Io moderno s’è rattrappito, è diventato minimo e tenta di sopravvivere alla vita[xxiii]; di resistere ai colpi di Tyche la Fortuna, di Eirmamene il Destino, cupa somma di quel Caso e Necessità che tanto entusiasma il biologo Monod. Come l’astrologia cadde sulla mente ellenistica come una nuova epidemia, così essa è tra noi. Come nell’età della decadenza così oggi prolificano culti salvifici. Ognuno fugge e sale sul primo autobus che gli capita davanti. Ognuno cerca assicurazioni dove può e rassicurazioni con quello che trova: maghi, astrologhi, fattucchiere ....medici. Ognuno si cura come vuole, e trova il mago ed il dottore miracoloso con i rimedi che vuole. Basta che paghi.
Il clamoroso fallimento dell’istruzione di massa aggiunge benzina al fuoco delle nuove religioni. Tutto si riduce a fotoni, noi stessi siamo fotoni. Ora il fotone se viene guardato al microscopio esiste, se non viene guardato non esiste... L’elemento costante nei seguaci delle conventicole di quartiere, delle cosmogonie di pianerottolo, dei cenacoli di condominio... era l’assenza della cultura classica. Non era la laurea l’antidoto alle scempiaggini degli esoterici. Era il Liceo! [xxiv]
Tutti d’accordo sulle cause del fenomeno. I nuovi movimenti religiosi o mistico-esoterici presentano un’alternativa alla dispersione urbana, all’isolamento, alla neutralità affettiva, alla confusione dei valori fondanti, alla crisi della famiglia e delle istituzioni. Il crollo non tanto dei valori (che per loro definizione sono relativi, storicamente e culturalmente determinati) quanto di una gerarchia di valori, di un sistema etico coerente, è il vero dramma della coscienza moderna. Alla gente comune... le religioni alternative offrono una reale e affascinante via di salvezza [xxv]. Di un’attualità senza pari le osservazioni di Karl Jaspers, che negli anni cinquanta, aveva diagnosticato il male oscuro d’una società e della sua medicina: tutte le difficoltà devono essere superate mediante il fare tecnico basato sulla scienza. Questa realtà... si è però risolta in attività frenetica, fretta, consumo e cambiamento, portando quindi a infinite delusioni. La coscienza della solitudine, dell’inutilità, ha generato un’infelicità così radicale, che sempre più uomini vanno in cerca di salvatori [xxvi].
Rassicurando i semplici, la ricetta delle nuove religioni è di quelle destinate a sicuro successo: rassicurante e semplice. La New Age ha presente la situazione di sofferenza, frustrazione e solitudine nella quale versa la maggior parte delle persone. Non bisogna mai perdere di vista questa condizione umana, a cui s’aggiunge una sfiducia crescente nei confronti della medicina tradizionale allopatica, considerata riduttiva, e della psichiatria tradizionale. Esiste dunque una forte richiesta di terapie alternative e di nuove psicoterapie. La New Age può offrire tutto ciò. Essa sostiene la causa della medicina alternativa ed olistica e ribadisce l’idea dell’autoguarigione, che l’organismo umano è in grado d’ottenere grazie ai poteri della psiche[xxvii]. Curate l’anima se volete guarire il corpo. Tutto è Uno ed Uno è il Tutto. Olismo è parola chiave nel linguaggio delle nuove credenze e delle medicine alternative, e con essa trova pace quello che è stato diviso in Occidente. E seguendo le orme di una parola, vediamo l’Olismo assumere valore etico nella pratica della medicina e diventare concetto complesso nelle scienze. La fisica matematica deve essere riduzionista? si domanda Penrose[xxviii]. E’ necessario un nuovo approccio alla Realtà, la scienza oggi è afflitta da una Megalomania riduttiva risponde con energia Mary Midgley[xxix]. La Medicina; tra Scienza ed Arte della Guarigione.
Dal trattato “Harrison” di Medicina Interna[xxx]: La pratica medica combina scienza ed arte. Il ruolo della scienza è evidente: la tecnologia che da essa deriva, è il fondamento per la risoluzione di molti problemi clinici. Ma la sola abilità tecnica non è la sola caratteristica del buon medico. La capacità d’estrarre da una massa di reperti ... contraddittori, o da una pagina stampata da un computer zeppa di dati, quegli elementi che assumono importanza cruciale, la capacità di determinare quando un dato clinico va approfondito, la capacità di stimare in ogni paziente se un trattamento crea un rischio maggiore della stessa malattia, sono tutti aspetti che ogni medico, in quanto esperto della clinica, deve analizzare molte volte al giorno. Questa combinazione di conoscenza, intuizione e giudizio è nota come Arte della Medicina.
La scienza, aggiunge il trattato “Oxford”[xxxi], delinea i metodi e le tecniche di cura, ma il medico si trova davanti degli esseri umani... Il paziente non dovrà essere considerato come un “caso”, ma come un essere umano bisognoso d’aiuto. E la gente, parola di clinico all’antica, ritiene ancora che gli scopi della medicina debbano essere quelli racchiusi nella vecchia frase: << guarire talvolta, dare sollievo spesso, confortare sempre>>. La maggior parte dei medici, pur dicendo di accettare tutto ciò, con il loro comportamento nega che questi possano essere gli scopi del medico contemporaneo[xxxii].
Non ci possono essere dubbi, sostiene il Trattato “Cecil”[xxxiii]: Il medico ... deve essere formato come uno scienziato... ma studiando medicina, bisogna imparare sia la generosità che l’interessamento umano...Kahil Gilbran ci ha insegnato come si impari a dimostrare generosità: << Voi date poco quando date del vostro- è quando date voi stessi che realmente donate>>.
In queste parole, così spesso tradite, traspare l’importanza ed il primato che i medici di razza attribuiscono al “giudizio clinico” su quello meramente scientifico, ma in queste stesse parole, come nell’antico detto “ non esistono le malattie, esistono i malati” [xxxiv] si cela molto di più del timore che l’eccesso di scienza polverizzi i contenuti sapienziali della pratica medica. In esse risuona l’eco d’una prima remota esperienza: lo scontro originario dell’uomo con la sofferenza e la morte. Quando il Male sempre nuovo e violento era vissuto come catastrofe inspiegabile, ed era interpretato come opera di un aggressore maligno che trovava coalizzati in difesa, nell’aura del reciproco investimento affettivo, l’uomo terrorizzato ed il “suo” guaritore, il guaritore ed il “suo” paziente. Le culture primitive al potere del Male oppongono un contropotere personificato da un uomo “diverso” dai comuni mortali perché armato di poteri eccezionali [xxxv]: un guaritore efficace perché lui stesso è, di per se stesso, una medicina. Terapeuta carismatico, il diverso soffre con “il paziente”, e si fa carico simbolicamente, dunque concretamente, di quella stessa sua sofferenza. Conoscente degli spiriti, esperto di ciò che possono e di come operano gli spiriti, l’uomo-medicina guarisce interferendo nella catena magica, immateriale e determinista che come spiega e regge tutto il mondo, così scatena contro l’uomo il Male. Il diverso amministra in piena autonomia un sapere-potere che è legittimato da un paradigma esplicativo su cui c’è consenso generale e, muovendosi nell’ universo mentale delle credenze socialmente accettate perché credute vere, solo lui può ciò che vuole, e può ciò che vuole perché sa. E sapendo, egli da una risposta al bisogno più umano dell’uomo: guarire, sconfiggere la sofferenza, la Morte. Scopo immutabile dell’Arte vecchia quanto l’uomo è produrre l’unico fatto che conta per il medico ed il suo paziente: la guarigione. Ma se questo non è possibile, almeno alleviare il dolore, almeno confortare allontanando lo spettro della Morte, almeno dare quella speranza che si può chiamare con ragionevoli e meno nobili espressioni: crudeltà della falsa speranza, truffa sulla pelle della gente. I guaritori “miracolosi”, presenti in tutte le società umane dalla notte dei tempi, funzionano benissimo, e condizione necessaria e sufficiente per loro successo è che gli uomini “comuni” credano in poteri che discendono dalla rappresentazione magica del mondo.
Il potere degli stregoni, dei guaritori arcaici è il potere dei conoscenti. Il potere sacerdotale delle antiche civiltà è il potere dei superconoscenti, che si chiudono in regimi di monopolio per difendere il potere di casta che deriva dal possesso esclusivo della conoscenza. Grandi sacerdoti, pitagorici, universitari, esperti, accademici, grandi medici, più grandi scienziati. E’ legge sociale immutabile quella che conferisce potere ai sapienti, così la Conoscenza non rende gli uomini uguali, scava tra loro abissi; produce e moltiplica disuguaglianze. E qui sta il problema della Conoscenza [xxxvi].
Le corporazioni dei superconoscenti non sono tutte uguali, tra loro ci sono ben precise gerarchie sociali, ed i conflitti sempre in agguato scoppiano sempre e solo per il potere da incrementare o difendere ad ogni costo. Tuttavia questi conflitti non si conducono come quelli cui s’abbandonano gli uomini comuni: si combattono sul piano del Sapere e della Morale. L’avversario, sconfessato sul piano della conoscenza, viene delegittimato sul piano dei valori.
Da Vico, per giungere nel XX sec. ad un’agguerrita e folta schiera di polemici pensatori , è andata crescendo “l’evidenza” che le verità scientifiche siano descrizioni della Realtà, e che nelle rappresentazioni della Realtà si riflettano paradigmi socio-culturali. Secondo Thomas Kuhn, le grandi rivoluzioni scientifiche del passato non sarebbero il frutto della marcia trionfale di una Ragione libera dagli idola, quanto piuttosto l’esito coerente della sostituzione di un condiviso paradigma esplicativo con un altro[xxxvii]. Il progresso della Conoscenza, non più storia dell’affermarsi della Verità su Menzogna e Superstizione, sarebbe piuttosto storia di lotte tra gruppi di conoscenti che sostengono , gli uni contro gli altri, certe idee e non altre. Il cammino della Conoscenza procederebbe per le vie piane della Scienza Normale, dominata dal pensiero conformista , per inerpicarsi poi tra i rovi, lungo gli aspri sentieri delle Rotture Rivoluzionarie. Il sommarsi, infatti, di anomalie e rompicapo, irrisolvibili nella prospettiva totalizzante dei paradigmi tradizionali, costringerebbe gli scienziati ad abbandonare, come topi da una nave che affonda, i vecchi schemi di pensiero e ad re-interpretare e ri-descrivere la realtà sulla base di un nuovo paradigma. E quando questo muta, il mondo stesso cambia con esso, e gli scienziati, giunti in un altro mondo, vedono cose nuove, cose che non hanno mai visto prima.
I paradigmi, intesi come costellazione di credenze condivise di un gruppo sociale, si sottraggono ad ogni definizione teorica e si presentano con i caratteri dell’incommensurabile. Non sorprende che gli illuministi abbiano accusato questa irritante epistemologia d’irrazionalismo, ed il filosofo d’aver trasformato il progresso della scienza in una questione di psicologia di massa[xxxviii]. Ma quando David Bloor fa d’ogni conoscenza, vera o falsa che sia, il prodotto, hic et nunc, dei determinismi sociali toglie al sapere scientifico ogni privilegio sovra-sociale, ogni aureola di Verità[xxxix]. E gli incommensurabili paradigmi kuhniani sembrano diventare delle sovrastrutture, espressioni e proiezioni della visione del mondo di un gruppo sociale, assunti a difesa degli interessi concreti di quel gruppo.
E’ senz’altro possibile che la sociologia della conoscenza non renda pienamente conto dei progressi delle scienze fisiche e matematiche; ma al contrario di queste, il percorso storico della medicina appare kuhniano in senso forte, e pesantemente soggetto alle leggi non scritte del determinismo sociale. I valori, i mezzi ed i fini della Medicina clamorosamente interagiscono con la psicologia di massa e la visione del mondo d’una società nel suo complesso, in quanto, nell’esercizio della professione, s’intrecciano le preoccupazioni di conoscere in modo veritiero, e d’intervenire in modo efficace. In tal senso, poiché solo dalla conoscenza della verità scaturisce l’intervento efficace, la realtà della medicina è il risultato d’una complessa interazione, di interessi descrittivi, valutativi, esplicativi e di catalogazione sociale [xl].
Quando in una società, il sapere della Scienza della medicina è creduto vero, e quando i mezzi, i valori ed i fini dell’Arte sono coerenti con le attese ed i valori dei pazienti, i dottori si trovano nelle condizioni ottimali per soddisfare i bisogni che uomini concreti avanzano nei loro confronti. La categoria dei medici è così sopravvissuta a tutte le trasformazioni socioculturali, “semplicemente” adeguando l’arte e la scienza alla società, e nel modo e nella misura in cui, cambiando la visione del mondo, cambiavano i bisogni, e le attese, e i valori degli uomini. Quando gli scienziati, ed ora anche gli economisti, accusano i medici di curare i pazienti non secondo Conoscenza, ma come essi vogliono, o come i pazienti desiderano essere curati, dicono una verità, che in realtà sottende un’antropologia. Ma quello che per gli scienziati, che ragionano secondo Scienza, è una colpa, non lo è per i medici, il cui scopo non è la scienza, ma l’aiuto ai malati,[xli] che, come i dottori, sono uomini determinati dalla società e dalla sua cultura.
Durante quel lungo periodo di cambiamento che portò le società occidentali dal mondo pre-moderno alla Modernità, la visione profana del mondo entrò in competizione alternativa con quella sacra della tradizione. Questa grande rivoluzione paradigmatica non rimase confinata nei cieli copernicani, ma cambiò il ruolo ed il destino dell’uomo sulla terra. Dalla rivoluzione anatomica di Vesalio in poi, il paradigma d’una medicina meccanicista e quantitativa, crebbe e fu portato avanti grazie all’opera di una piccola elite di medici-scienziati in conflitto politico con l’accademia tenacemente legata al finalismo qualitativo della medicina tradizionale. Nel XIX sec. trionfa la borghesia positiva e s’afferma dominante la visione scientifica e profana del mondo. La rivoluzione pasteuriana seppellisce più antiche credenze ed i medici, per sopravvivere, abbandonano la nave che affonda e si convertono al paradigma scientifico del tempo[xlii]. Modello creduto vero dalla colta, razionale, igienista, e danarosa classe dominante[xliii].
Contrariamente a quanto amano narrare gli illuministi, il rapporto tra Scienza ed Arte non fu pacifico, ma conflittuale. L’Arte della Guarigione può fare a meno della Scienza e funzionare benissimo. Basta un caso esemplare: le dure polemiche provocate dalla scoperta della circolazione del sangue. Il modello di Harvey nega i movimenti del sangue come sostenuti dal paradigma umoralistico, che giusti-ficava il salasso. L’efficacia, in realtà simbolica, di questa antichissima panacea per tutti i mali, si fonda su una verità di Conoscenza: il sangue, continuamente prodotto dal fegato trasporta umori, ed il medico fa il bene del paziente, quando salassando ne corregge gli eccessi. La dimostrazione di Harvey nasce da un teoria: che il sangue sia presente nel corpo in quantità costante, e da un metodo quantitativo; ed anche se mai, nella lunga storia della scienza, nessuna serie di misurazioni ha mai avuto, da sola, un effetto più grande... più notevole della polemica... è il fatto che la nuova teoria ebbe scarso effetto sulla pratica della medicina del tempo[xliv]. Se il sangue, infatti, è presente nel corpo in quantità costante ne consegue la sconfessione implicita del salasso, che sul piano morale si rivela un pericoloso inganno. C’è da sorprendersi dell’ira di Riolano? I salassatori si sentirono minacciati, erano in discussione cultura e valori; vale a dire prestigio e guadagni. Non è un caso che la teoria circolatoria venne tanto apprezzata dai profeti della nuova visione del mondo: Molière, Descartes, Hobbs. Tuttavia il salasso, pratica molto apprezzata e richiesta ai medici dalla gente[xlv], lambisce i nostri giorni. Nulla di sorprendente. Il sapere veritiero della medicina scientifica solo da poco ha fornito ai terapeuti strumenti oggettivamente capaci di guarire, di modificare la storia naturale delle malattie.
La nostra medicina s’è dedicata con scrupolo ed impegno alla cura efficace del disease: della malattia come oggetto della scienza; ma è scivolata su una buccia di banana. Ha opposto il fisiologico al patologico, ha equiparato il normale al fisiologico, e l’anormale al patologico. La scienza ha dimenticato che pato-logia altro non significa che logos sul pathos: discorso sulla sofferenza. Il medico antico equiparava la sofferenza alla malattia, ed i sintomi erano le malattie; dalla nascita della clinica in poi i medici hanno incominciato a combattere la sofferenza agendo sulla malattia come nascosta causa dei sintomi e quindi della sofferenza. Ma ora hanno completamente perso di vista l’illness: lo star male del paziente. La patologia, correlandosi esclusivamente a ciò che è anormalità, ha fatto sì che la sofferenza rientri nel discorso medico solo se essa è riconducibile, dunque riconosciuta e legittimata, come vera anormalità secondo scienza. Tutto bene se la cura del disease consegue la risoluzione dell’illness, ma. guai per il medico quando il trattamento pur efficace del disease, non allevia, o peggiora, o provoca lo star male del paziente. Una autentica catastrofe s’abbatte sul dottore, quando, davanti al disease incurabile, l’obbligo morale che scaturisce dalla conoscenza veriteria, lo costringe a confessare la sua totale impotenza, a dire all’uomo di accettare il dolore, di guardare in faccia la propria morte. Cosa fa il medico dove la scienza naturale vien meno?[xlvi]
L’antico obbligo di fare qualcosa da un lato e dall’altro l’umano disperato bisogno di aggrapparsi a una cosa qualsiasi per sperare ancora nella vita, fanno riemergere prepotentemente l’ancestrale simpatia, che qui si assume nel significato originario di soffrire insieme, e che contrassegna ancora oggi medici e pazienti, quando non sia addirittura invocata come vera e propria condizione irrinunciabile per il successo delle cure...; ma si solleva un’altra condizione che, contraddittoria alla prima, è tuttavia riguardata come altrettanto necessaria: l’oggettività e la razionalità scientifica da parte del dottore, e l’obbligo, da parte del malato, di seguire scrupolosamente tutte le prescrizioni...e con ciò viene meno il soffrire insieme. La razionalità trasforma il malato da soggetto co-protagonista, in oggetto posto al di fuori del cerchio protettivo della com-passione; anzi lo minimizza in un caso particolare di un oggetto di studio e d’intervento qual’è la malattia nella sua generalità e ripetibilità scientifica... Come conciliare il rigore con l’umanità? Come evitare che dai mali della troppa scienza si scivoli in quelli della troppa umanità? La compresenza di queste due condizioni contraddittorie, che il dottore generalmente risolve, in un ragionevole compromesso tra “umanità e rigore”...pone comunque in luce il timore che la “simpatia” possa diventare dominante e conferisce al requisito della “oggettività” natura di norma prescrittiva, di vero e proprio divieto[xlvii].
I guaritori, diventati per metà scienziati, hanno smesso di curare i loro pazienti come volevano e/o come questi volevano essere curati, e sono obbligati moralmente a rispettare le norme dettate dalla Conoscenza. L’autonomia di decidere che cosa è bene per il malato, che le società hanno storicamente concesso ai guaritori, è stata sopravanzata dalla cambiale in bianco che la Modernità ha concesso agli scienziati. E questo ha granitiche fondamenta nella nostra cultura, in quanto il sapere è conoscenza del vero, ed il Vero è Bene. A partire da Platone la questione della legittimazione della scienza è indissolubilmente legata alla legittimazione del legislatore... Il diritto di decidere ciò che è vero non è indipendente dal diritto di decidere ciò che è giusto, anche se la natura degli enunciati sottoposti alle due autorità sono di natura differente. Il fatto è che esiste un rapporto di gemellaggio tra il tipo di linguaggio che noi chiamiamo Scienza, e l’altro che chiamiamo Etica e Politica: derivano entrambi da una stessa prospettiva... da una scelta che si chiama Occidente[xlviii]. Il legame tra conoscenza veritiera, la morale e quindi la politica è in medicina stringente. Lo scienziato dimostra che un nuovo farmaco guarisce, ed è dunque vero bene. Il medico ha l’obbligo di imporlo al paziente in vista del conseguimento del vero bene di quest’ultimo: la guarigione. Ne deriva che la società ha l’obbligo morale di pagare il conto. Il potere della dimostrazione, che è saldamente nelle mani degli scienziati, decide su quello che c’è da decidere. Infatti, l’asimmetria politica tra chi sa, il medico, e chi non sa, il paziente, si riproduce allo stesso modo tra il medico, precluso al logos tecnico-scientifico, e lo scienziato che sa come dimostrare e può dimostrare; e tra la compagine sociale e l’impresa scientifico-industriale. Tutto questo pone un’irrisolta ma ormai fondamentale questione politica. Come la società ritiene giusto che il medico debba proporre terapie efficaci per il bene del paziente, a maggior ragione essa dovrebbe porre l’obbligo morale per l’impresa scientifica che la conoscenza che essa dimostra come veritiera, sia, al di là d’ogni ragionevole dubbio, Vero Bene per la società nel suo complesso. Grandi sono le responsabilità dei medici nei confronti dei pazienti, ma più grandi, temibili e terribili quelle che gli scienziati s’assumono nei confronti dell’umanità. Ma oggi chi decide cos’è il sapere, e che cosa conviene decidere? La questione del sapere nell’età dell’informatica è più che mai la questione del governo [xlix].
Fino a quando la Scienza è stata in grado di fornire terapie efficaci ai guaritori, tutto bene. Fino a quando la società ha corrisposto piena fiducia nella scienza e nei medici-scienziati, tutto bene. Fino a quando l’economia ha pagato senza fiatare il crescente salatissimo conto della medicina scientifica, tutto bene. Ma che succede se tutto questo, e tutt’insieme traballa, e rischia di venir meno? Che succede se l’impresa tecnico-scientifica perde consenso e viene percepita negativamente? Che succede se la psicologia di massa s’orienta verso una visione del mondo alternativa a quella geometrica ufficiale? E cosa fanno i dottori, per metà guaritori e per l’altra metà scienziati, quando si scoprono poco potenti sul piano curativo, e vedono deteriorarsi il rapporto con i pazienti, ed assistono al crollo verticale del ruolo e del prestigio sociale, mentre la gente rincorre e paga profumatamente tutto quello che ha l’odore dell’alternativo?
Dobbiamo chiederci: cos’è successo? Molte cose, in realtà, sono accadute in poco tempo, ed è come se la nostra storia avesse deciso di serrare tutti i nodi, di saldare i conti. Tra l’altro è successo che la medicina minaccia di ritrovare buona parte della sua antica impotenza. L’arte perduta di guarire [l] contrasta le malattie connesse all’invecchiamento demografico con poco, nulla, o con terapie palliative, o con interventi che spesso aggiungono sofferenza a sofferenza. Anche per questo, ammonisce il clinico all’antica[li], si è creata ed approfondita una discrepanza tra ciò che la gente richiede e ciò che essa è in grado di dare, e ciò sta facendo mutare il modo di considerare medici e medicina. In tutto il mondo occidentale infatti, sta nascendo una sorta di opposizione alla medicina moderna. Opposizione dalle mille gradazioni che verosimilmente affonda nel vissuto del paziente, le cui attese e valori, molto spesso contrastano con le pretese della scienza medica. S’è venuto a creare un senso di disagio tra medicina e scienza, disagio che negli anni cinquanta, ancora studente di medicina, avrei creduto inverosimile; in quell’età dell’oro pochi potevano seriamente contestare il valore della medicina scientifica. Le malattie infettive erano state sconfitte, e tutti erano più che certi che la ricerca avrebbe portato ad altre vittorie. Più lirico d’un poeta cortigiano, Steven Spencer[lii] inneggiava ai medici riparatori del cuore, e sentinelle delle montagne rocciose, esaltava l’ormone polivalente e annunciava prossima, certa, immediata la vittoria sull’epidemia emergente: cancro. In questo delirio d’onnipotenza, colossali risorse vennero investite, ma avvenne qualcosa d’imprevisto, ed il successo che era legittimo attendersi da queste premesse, in pratica, non si realizzò. La medicina moderna, chiamata scientifica, sia dai suoi sostenitori che dai suoi detrattori, non è riuscita a ridurre di molto il tasso di morbidità e mortalità per le persone al di sopra di quaranta anni. Di certo essa ha fatto in modo che vivere la malattia e morire in condizioni di disagio uguali o anche maggiori, costi oggi, qualunque sia il parametro considerato, assai più di quanto costasse 25 anni fa. Certo, oggi i decessi sono ben documentati ed assistiti tecnologicamente, ma di certo, i pazienti muoiono allo stesso modo ed alla stessa età del 1960. Il denaro investito nella ricerca, dagli anni 60 in poi, non ha prodotto niente di simile a quello che si conquistò con somme molto più esigue nei venticinque anni precedenti, ed in perfetta simmetria, l’aumento altrettanto sorprendente dei costi e dell’organizzazione dell’assistenza medica non ha prodotto né un equivalente ed oggettivo successo terapeutico, né maggiore soddisfazione da parte del paziente. Parola di clinico all’antica. I medici tra Scienza scientista ed arte della guarigione
L’attacco più vistoso, rumoroso ed eclatante alla medicina dominante proviene da ampi e crescenti settori di pazienti, dalle élite culturali, dall’opinione pubblica ma tutto questo pone in ombra quello che avviene tra gli insospettabili..
La sfiducia nei riguardi della Scienza si fa largo anche tra i dottori, ed assume aspetti anche inverosimili. A riprova degli errori d’una didattica scientista, che ha ritenuto orpelli fuori moda i valori etici ed umanistici d’una professione che pure nacque dalla filosofia, sono più numerosi di quanto non si pensi i medici, per lo più giovani, che abbandonano le verità ufficiali. C’è chi lo fa per mera sopravvivenza andando là dove tira il mercato, ma altri lo fanno per fede, per interesse e scelta culturale convertendosi alle filosofie su cui si basano le medicine alternative, e ritornando a con-dividere sim-paticamente gli orientamenti dei pazienti.
Sempre più numerosi sono i dottori che ragionano, e si comportano, né più né meno, come gli audaci (e sprovveduti) “teologi” sincretisti. Ma la somma dell’addizione: medicina occidentale + medicina orientale è cosa diversa dall’una e dalle altra, stravolge l’una e l’altra, ed è in questo varco che l’efficacia simbolica del pensiero magico spontaneo trova spazio. Sembra opinione ampiamente condivisa tra i medici, come tra la gente, che i diversi metodi di trattamento od i diversi approcci alla salute ed alla malattia non si escludano reciprocamente, ma che possano essere invece utilizzati in modo complementare. Ricerche condotte tra i medici di tutte le specialità hanno mostrato che più del 60% dei dottori intervistati ha raccomandato terapie non convenzionali almeno una volta in un anno. Il 47% dei medici ricorre a terapie alternative per la cura della propria salute, ed il 23 % le ha stabilmente incorporate nel armamentario terapeutico[liii],[liv],[lv]. Ma come si possa, col metodo riduzionista della medicina scientifica, dimostrare quantitativamente l’efficacia di trattamenti olistici e qualitativi, è cosa che non turba nessuno. La scienza, si dice, detesta l’opinione almeno quanto la religione i miracoli; infatti il metodo fonda la conoscenza sull’eliminazione dell’opinione e funziona. S’applica e funziona in un universo geometrico ove ciò che avviene, avviene secondo immutabili e conoscibili rapporti quantitativi tra causa ed effetto. Aprendosi a terapie che si rifanno ad un’altra visione del mondo, i terapeuti stanno restaurando il primato del giudizio personale. La valutazione, necessariamente soggettiva e qualitativa dell’efficacia delle cure alternative, simmetricamente elimina dalla prospettiva culturale dei dottori, quelli fondati sulla misura impersonale oggettiva e quantitativa. E con ciò, si può dire, che i medici allontanandosi dolcemente dal metodo, stanno, essi stessi, scavando la fossa entro cui minaccia di cadere la medicina scientifica.
Caso esemplare del disagio tra società e medicina scientifica, e spia significativa del rinnovato conflitto tra terapeuti e scienziati, dunque tra opinione e metodo, l’italica storia del dottore miracoloso è esplosa perché nella società s’erano create le condizioni necessarie e sufficienti perché essa esplodesse. Indocile professore universitario, il clinico ha manifestato aperto disprezzo per i medici scienziati abbronzati, eleganti, sorridenti, giovanili e tirati a lucido come top-model dell’ortodossia[lvi]. Nelle arene mass-mediali s’è presentato umano ed umile; e la chioma nivea, la schiena curva, le rughe sono diventate una bandiera. Alla scienza degli scienziati ha opposto la semplicità e la profondità dell’Arte: anamnesi, ispezione, percussione , palpazione, auscultazione... il colloquio e l’opinione rassicurante del saggio e buon clinico all’antica. Ha offerto al pubblico la figura del medico come la gente crede ed immagina, vorrebbe e spera debba essere un medico. Dichiarando implicitamente che il medico dal volto umano è ormai figura fiabesca, un giornalista l’ha paragonato a mastro Geppetto: l’amabile papà del mondo delle fate. Destando scandalo, il nostro professore ha sfiduciato il metodo e con questa mossa a sorpresa s’è posto in una posizione inattaccabile per chi ha fede in Lui. Verrà sempre creduto quando dirà, come ha detto, che gli scienziati vedono, in senso non proprio kantiano, quello che vogliono vedere portando la statistica là dove fa loro comodo. Ma il professore ha fatto molto di più; ha riaffermato energicamente il primato del giudizio soggettivo sul metodo scientifico; ha sostenuto con raro, aspro cipiglio i diritti dell’ancestrale simpatia sui doveri della moderna oggettività.
E’ l’ultimo d’una razza di guaritori che credevamo estinta? Od il primo d’una genia di taumaturghi che risorge a furor di popolo? Risposta impossibile. Certo è che nella storia infinita, s’è visto di tutto ed il contrario di tutto. La reazione della scienza istituzionalizzata è stata tanto cieca quanto rabbiosa. Portavoce della ortodossia, la rivista “Le Scienze” ha dedicato al dottore quantità eccessive d’articoli, editoriali, lettere, commenti, chiose e note a margine[lvii]. L’effetto finale? L’elezione del professore al rango dell’eroe. Con poco senso del ridicolo, è stata inventata l’improbabile ed improponibile categoria dell’ Imitatio Docti. Tal dottor Folkman è assunto ai vertici della gloria mass-mediale, il malcapitato scienziato, costretto al ruolo dell’asino in mezzo ai suoni, è stato presentato come uomo ligio alle leggi, come... ricercatore paziente[lviii], appunto come è bene che sia l’asino in mezzo ai suoni. Quando messer Annibale, ormai canuto, s’è presentato con la sua disgraziata, sciancata armata alla porte della città d’avorio, alcuni scienziati sono piombati nella rovinosa sindrome della Patria in pericolo. Hanno richiamato gli italici cancerosi ai doveri loro imposti dal Prestigio Nazionale. E’ stato detto e ridetto, scritto e riscritto, che la multiterapia faceva ridere l’Internazionale degli scienziati. I cancerosi sono stati confortati. Hanno rallegrato medici-scienziati che, anche all’estero, hanno ben poco su cui ridere. Ma chi oserà mai ridurre al silenzio il malato cronico? Chi oserà mai criticare un convegno di malati di cancro?[lix]. Affermazioni di questo genere sono poco furbe, sono un errore. Quelli che così hanno parlato, hanno pubblicamente dimostrato cinismo e indifferenza verso quelli che soffrono sapendo di morire. Che valore, che senso può avere in un convegno di malati di cancro il parere dell’Internazionale degli scienziati? Sono i cancerosi quelli che stanno morendo e moriranno, non gli scienziati. La risposta è venuta da una piazza satura d’odio: I baroni della medicina ci vogliono morti. La cura Di Bella ci vuole vivi. Come a dire: i baroni della medicina sono buoni solo quando, esattamente come gli indiani, saranno solo morti.
Il tifo che il professore ha scatenato tra la gente comune, i magistrati, i politici e gli opinion makers, avrebbe dovuto far riflettere gli scienziati leaders della professione, ma ha allietato molti più cuori medici di quanto non si pensi. Il vero problema sollevato dal caso Di Bella è ciò che significa e rivela il sostegno sociale che s’è coagulato intorno al medico miracoloso, e bisognerà riflettere sulle implicazioni politiche di questo sostegno.
Raffaele Prodomo[lx] ha sostenuto che il caso Di Bella è stata un’occasione clamorosamente persa per avviare anche nel nostro paese il dibattito sulla questione fondamentale: quali i valori, i mezzi ed i fini d’una medicina che voglia rimanere scientifica e ritornare ad essere umana, in una prospettiva[lxi] dominata da limiti delle risorse, consumismo sanitario, invecchiamento demografico, progresso delle biotecnologie e visione alternativa del mondo. Tutti fattori che cooperano tra di loro e rendono la crisi della medicina scientifica irrisolvibile, tutti fattori che, in un futuro per la medicina più chiaro di quello che tu possa pensare, minacciano per i medici-scienziati un mix di quelli tossici [lxii]. Ma sembra che ci sia poca attenzione al problema di come cavalcare la tigre del cambiamento epocale. Le responsabilità della scienza medica

Il caso Di Bella non ha fatto onore alla medicina italiana, ma per motivi opposti a quelli avanzati dall’ortodossia. Nel resto del mondo il male oscuro della medicina viene affrontato con ben diverso impegno e tutto quello che non funziona viene spietatamente denunciato. Mentre da noi vige il dogma che recita: l’impresa scientifica è sempre incorruttibile, veritiera, buona ed onesta, proprio questo viene messo in dubbio nel resto del mondo da medici che combattono per evitare che con l’acqua sporca vada via anche il bambino.
Nella malaugurante confusione culturale di fine millennio sta emergendo nella società, un benaugurante bisogno d’eticità e di senso. In questa prospettiva d’ordine morale, sono scese in campo i trattati e le riviste che fanno l’opinione dei dottori: The Lancet, JAMA. British Medical Journal... Una rassegna, anche a volo d’uccello, su quanto viene regolarmente pubblicato dimostra quanto sia mutato il rapporto tra Scienza ed Arte; il disagio, infatti, s’è trasformato in diffidenza, se non in dichiarata sfiducia. Riprende vigore un criticismo, fondato sui valori dell’uomo e della professione medica, che semina dubbi sugli scopi dell’impresa tecnico scientifica contemporanea. In pochi anni, seguendo l’ammaestramento di uno scienziato fuori dal coro [lxiii], una pattuglia di dottori è diventata un piccolo esercito di polemici giudici intransigenti, e questi, mettendo in discussione la veridicità della conoscenza prodotta dall’impresa tecnico scientifica, la stanno delegittimando sul piano dei valori.
Negli anni ‘70, Ivan Illich denuncia la medicalizzazione e la iatrogenesi sociale provocata dalla tecnocrazia medica, e la paradossale nocività d’un sistema che, superando ogni limite, s’è ritorto contro l’uomo [lxiv]. Il libro, diffuso in tutto il mondo, conosce una serie di fortunate ristampe e continua a far breccia nella testa della gente. Non deve sfuggire una simmetria che non è casuale. In quegli anni Cochrane sottopone al giudizio del metodo quelle che vengono presentate come grandi vittorie della scienza, e dimostra che la medicina ufficiale non merita tutta la fiducia di cui gode[lxv]. Thomas McKneown[lxvi] pubblica un saggio destinato a far breccia nella testa dei medici; dimostra che la vittoria contro la tubercolosi è molto più merito delle migliorate condizioni sociali, che non dei miracoli della medicina, e lancia la sua profezia: il riduzionismo scientista, che equipara il corpo alla macchina, ha reso il medico un tecnico dalla vista corta e dalle mani lunghe, stando così le cose, la società richiederà nuovi curanti, e questi si faranno avanti.
Nel resto del mondo i dottori sollevano l’interrogativo capitale: cos’è che non funziona in medicina? Una facile risposta, parola di clinico[lxvii], è... l’introduzione della scienza della medicina. I medici, i politici, i giornalisti, i mezzi di comunicazione di massa parlano dei trionfi d’una medicina diventata sempre più scientifica negli ultimi 25 anni. Una delle più orgogliose affermazioni di certi docenti universitari è che la medicina non è più un arte, ma una scienza razionale, e ciò che la gente comincia a sospettare è che sia proprio quest’eccesso di scienza ciò che la rende fredda, insensibile, indifferente, che si attiene rigidamente ai fatti, che considera il paziente un caso e non una persona nella sua completezza... Si potrebbe tollerare la freddezza e l’impersonalità della medicina scientifica se essa avesse successo. Ma comincia a farsi strada la convinzione che i progressi sensazionali della medicina, riportati in termini terapeutici, sono nella migliore delle ipotesi, bugie, nella peggiore, inganni. Per la gente è intollerabile che l’arte perduta della guarigione si sommi all’incubo tecnologico che si avverte negli ospedali moderni. La colpa di tutto questo è di noi medici che abbiamo dimenticato che se la medicina è davvero scienza, essa è scienza applicata con un chiaro obbiettivo: l’uomo. Sotto molti aspetti la medicina ha cessato d’essere una scienza applicata, governata dal principio per cui ogni scoperta debba essere valutata alla luce del suo valore per il paziente, ed ha finito con l’assumere il carattere della scienza pura, un gioco accademico di perline di vetro, in cui il sapere è fine a se stesso. Abbiamo generato conoscenza senza saggezza. Tutta questa ridondante tecnologia ha distrutto il ragionamento clinico[lxviii],[lxix]. Tutte queste apparecchiature costituiscono ottimi aiuti, ma si rivelano cattivi maestri e pessimi padroni. Il medico d’oggi ha un atteggiamento religioso nei confronti delle macchine, e ne dipende a tal punto che senza di queste è semplicemente perso. S’assiste sempre più alla tendenza ad usare apparecchiature nuove e costose, semplicemente perché sono disponibili, ma l’effetto finale è una devastante involuzione cerebrale e culturale. Il diffondersi di tecnologie in cardiologia, nel vuoto del ragionamento, non ha migliorato le diagnosi, ma solo aumentato i costi. Venti anni di sonography, scintigraphy, and computed tomography non hanno ridotto la frequenza degli errori diagnostici [lxx].
Possiamo dimostrare che l’innovazione tecnologica è effettivamente migliore per il paziente in termini di guarigione, sollievo o consolazione? Se non possiamo dimostrare ciò, non dovrebbe essere introdotto in medicina nessun nuovo controllo diagnostico, nessun nuovo farmaco,... nessuna cosa scientificamente ingegnosa e tecnologicamente eccitante. Con questa scienza, noi clinici, non siamo stati abbastanza intransigenti... Lungi dall’essere scientifica, questa medicina molto spesso non è assolutamente. Così vediamo il proliferare ed il diffondersi di farmaci, tecniche e procedure che la Conoscenza istituzionalizzata dimostra essere efficaci, ma che in pratica non lo sono, o lo sono molto meno di quanto non si dica in giro[lxxi].
Tra 2000 farmaci solo il 5% sono importanti, il 15% è moderatamente utile e l’80% ha poco o nessun valore terapeutico [lxxii]. Andando oltre le precise indicazioni cliniche, l’intervento di by-pass aorto-coronarico non s’è rivelato migliore della terapia farmacologica; non è dimostrato in modo convincente che le unità coronariche possano ridurre il danno conseguente ad infarto del miocardio[lxxiii]. I grandi trials sulla prevenzione secondaria non hanno evidenziato un definitivo sostanziale riduzione della mortalità globale[lxxiv]. In certi trials clinici si sono introdotti criteri così selettivi nel reclutamento della popolazione che questa è poco rappresentativa della generalità dei pazienti, così come essi si presentano nella realtà della professione. Le casistiche sono in certi casi prossime alla realtà virtuale e le implicazioni terapeutiche delle ricerche modeste se non fuorvianti [lxxv]. Curb è dell’opinione che alcuni trials condotti negli anziani non abbiano alcun valore pratico, poiché la casistica non rappresentava alcuna più ampia popolazione[lxxvi]. Nanette Wegner[lxxvii], e Cattorini e Marchionni [lxxviii] hanno investito della questione morale l’attuale evoluzione della ricerca. I pochi e contraddittori studi sugli effetti dei trattamenti chirurgici e medici in anziani in situazioni di rischio di morte cardiovascolare trasformano la scelta tra trattare o non trattare in un dilemma. Inoltre, parola di medico e scienziato, i regimi tossici chemioterapeutici in corso di patologia neoplastica, evidenziano un beneficio se viene utilizzata una particolare terminologia del tipo:” sopravvivenza senza malattia”. Ma, dal punto di vista del paziente essi non indicano alcun reale beneficio in termini di effettiva sopravvivenza e spesso riducono la qualità della vita. Nonostante ciò gli esperti in chemioterapia non ridimensionano le loro convinzioni [lxxix]. Come conseguenza nelle piazze s’è gridato: Nell’oncologia c’è troppa chemioterapia.
Mortale appare agli occhi di questi dottori l’intreccio tra il Sapere della Conoscenza ed il Bene industriale, così che il Vero Bene oggi ha un solo nome: Utile. Quando un determinato regime terapeutico è costoso e da lavoro ad un intero complesso medico-industriale esso viene tranquillamente continuato [lxxx]. Abbiamo trascinato la medicina nella più piena follia tecnologica. I medici americani..accettano le nuove tecnologie senza un approccio critico... Questi “new gadgets” risolvono un problema fondamentale.. .essere pagati[lxxxi]. David Blumenthal valuta sbigottito l’estensione e le conseguenze della relazione tra mondo universitario ed apparato industriale nelle scienze della vita, e, chiedendo alle volpi di farsi custodi dei polli, invoca maggiore vigilanza per evitare che i rischi di queste sinergie s’abbattano sui pazienti e la società[lxxxii]. Michael Pitt denuncia le collaborazioni tra ricercatori delle istituzioni non-profit con quelle for-profit: Queste relazioni inficiano l’obiettività della scienza. l’integrità degli scienziati e la sicurezza dei prodotti medici [lxxxiii]. The Lancet scende in campo in difesa dell’ US Food and Drug administration, che viene attaccata in quanto istituzione stalinista. la verità è che l’impresa scientifica-industriale chiede mani libere per utili crescenti. L’allarme lanciato dalla rivista diventa programma politico: bisogna strenuamente opporsi all’assurda proposta di privare lo FDA delle sue funzioni di controllo.[lxxxiv] .
Intanto la British American Tobacco offre contributi all’accademia, ma se l’università di Cambridge accetta…, da alla compagnia non soltanto rispettabilità… ma l’opportunità di influenzare studenti, accademici e policy-makers [lxxxv]. I contributi della compagnia del tabacco stanno condizionando la politica di controllo del fumo in California ed i programmi di ricerca, che vengono finanziati secondo criteri che prescindono dal merito scientifico [lxxxvi].
Bacchettate sui colleghi, il cui comportamento è condizionato dalla loro interazione con l’industria farmaceutica. In USA, solo in USA, l’associazione tra le scelte del medico che richiede che un certo farmaco venga inserito nel prontuario ospedaliero, e la relazione dottore/industria è forte, consistente, specifica, ed è indipendente da variabili confondenti, come per esempio, i meriti del prodotto industriale [lxxxvii]. Kay Dickersin ammette il proprio imbarazzo; non sono chiari i fattori che influenzano la pubblicazione dei risultati delle ricerche. Rileva un bias che, in analogia con quanto rilevato da altri, appare un po’ troppo pesante nelle sistematiche rassegne che sovrastimano gli effetti positivi e sottostimano gli effetti negativi dei farmaci[lxxxviii]. Potremmo riempire pagine e pagine di questa tardiva furia moralizzatrice; non c’è, infatti, aspetto della medicina che sfugga a questi giudici intransigenti che considerano il livello della attuale ricerca incredibilmente povero… uno scandalo; ai dottori serve meno ricerca, migliore ricerca e… per giuste ragioni… I leaders della professione sembrano solo minimamente preoccupati da tutto ciò, allora, se il sistema è incapace di ritrovare senso ed incoraggia la povera ricerca, allora è il sistema che va cambiato [lxxxix]. Come?
Il caso del Prozac, “ pillola della felicità”, e del Viagra avvertono che il punto del non-ritorno è stato ampiamente oltrepassato, e da un bel pezzo. La ricerca va solo dove c’è mercato, ed alimentando generosamente l’istintiva paura delle malattie e della morte, suscita bisogni sanitari che la società ha l’obbligo morale di soddisfare, perché la scienza dimostra che anche le difficoltà della vita, l’infelicità esistenziale e l’insoddisfazione personale sono terribili malattie. Il sistema sanitario inglese fornirà il Viagra nei casi di “necessità clinica”. Il Guardian commenta: <> [xc]. Ci troviamo in una situazione paradossale. Non abbiamo armi contro le ormai dominanti patologie cronico-degenerative; ma in compenso, la scienza ci propone pillole “miracolose” per ogni genere di problema.
E’ da un bel pezzo che abbiamo smesso d’essere uomini per diventare ostaggi d’una medicina del terrore che promette indulgenze, benessere e salvazione. Siamo solo macchine corporee che trovano rassicurazione e consolazione nella chimica industriale. E con ciò il magico ritorna e la fa da padrone. Ci dobbiamo domandare in che cosa sia differente dalla sciamanesimo istituzionalizzato, una medicina scientifica che propone tecnologie, procedure e farmaci di dubbia o nulla efficacia. Se per caso questa medicina scientifica non sia diventata essa stessa una colossale magia. Troppo spesso solo l’etichetta “scientificamente dimostrato” rende differenti i prodigi del medico-scienziato dai miracoli del taumaturgo.
Intanto strane domande stanno prendendo pericolosamente forma nelle teste dei dottori. Le linee guida terapeutiche, dettate e “consigliate” ai medici da teorici della medicina, più celebri per le loro frequentazioni con cavie e sorci che non con i malati[xci], che cosa sono? Che cosa si prefiggono? Sono una spinta a migliorare l’assistenza, od uno strumento, preparato dagli scienziati e messo in mano ai controllori dei comportamenti medici? I medici dovrebbero essere disposti ad adottarle… ma accettando il concetto che la libertà clinica… non ha più diritto d’esistere. Qualcuno ha scritto che la libertà clinica è un bene così prezioso ( e pericoloso) che va razionato… I medici tengano gli occhi ben aperti, le linee guida potrebbero essere usate per attuare illecite intrusioni, o per esercitare indebite pressioni nei confronti dei medici [xcii]. Conclusioni

Limiti nelle risorse costringono e costringeranno sempre di più la medicina. Non ci possiamo e meno che mai ci potremo permettere la pletora delle tecnologie e dei farmaci tanto costosi quanto inefficaci ed inutili. In questo scenario lo spreco delle risorse è immorale oltre che socialmente pericoloso, e gli scienziati dunque dovrebbero porsi quella domanda di senso che l’imperativo della modernità: <> ha cancellato dalla coscienza di tutti gli uomini. Se, infatti, la scienza deve, come è bene che sia, guidare l’arte, è necessario, per la sua stessa sopravvivenza, che trovi senso e torni ad essere cosa fatta dall’uomo per il bene dell’uomo. Ma il pessimismo della ragione sconfigge l’ottimismo della volontà.
Ciò che si produce alla fine del XVIII sec. è la scoperta della reciprocità tra tecnica e ricchezza. Niente tecnica senza ricchezza, ma niente ricchezza senza tecnica. E' in questo preciso momento che la Scienza diventa forza produttiva, vale a dire un momento della circolazione del capitale. Muore la figura del Sapiente e con lui la ricerca disinteressata della Conoscenza. Il Sapere verrà prodotto per essere venduto come se fosse Vero Bene; avendo l’impresa come fine non l’uomo, non la sofferenza, non i bisogni sociali, ma la Potenza. A rischio di scandalizzare possiamo annoverare tra i vantaggi del sistema la sua durezza. Nel quadro di un criterio di potenza, una domanda non riceve alcuna legittimità per il fatto di nascere dalla sofferenza…Il diritto non viene dalla sofferenza…i bisogni più sfavoriti non devono servire da principio regolatore del sistema… Piuttosto l’impresa suscita nuove domande, che, si ritiene, debbano dar luogo alla ridefinizioni delle “norme” di vita. In questo senso il sistema si presenta come la macchina avanguardista, che si tira dietro l’umanità, disumanizzandola per riumanizzarla ad un altro livello di capacità normativa. I tecnocrati dichiarano di non poter far affidamento su ciò che la società designa come propri bisogni, essi “sanno” che lei stessa non è in grado di conoscerli, perché non si tratta di variabili indipendenti dalle nuove tecnologie. Tale è l’orgoglio dei decisori, e la loro cecità [xciii].

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