Eppure questo non è un fine vita imposto dallo Stato
Luisella Battaglia
(da: "Il Secolo XIX", 18 settembre 2016)
In punta di piedi…Così dovremmo avvicinarci al letto di un ragazzo che muore, anzi, che sceglie di morire. La notizia è di quelle destinate a turbare le nostre coscienze, a sollevare drammatici interrogativi sullo ‘scandalo’ della sofferenza e della morte nel mondo dell’infanzia, ma anche – temo - a suscitare toni da crociata e condanne senza appello. Ecco la notizia. “Choc in Belgio. Primo caso di eutanasia sui minori”. Ed ecco le domande. Si tratta di un gesto umanitario, di una scelta di pietà motivata dal desiderio di liberare dalla sofferenza bambini e adolescenti affetti da una malattia incurabile allo stadio terminale, o, invece, di una “eugenetica mascherata” in cui la soppressione dei minori malati nasconderebbe un cinico taglio alle spese sanitarie, una ‘fuga dalla morale’ analoga alla criminale selezione operata dai nazisti? Val la pena di richiamare i fatti.
Una legge, entrata in vigore in Belgio nel 2014 e che consente ai genitori di scegliere per i figli la ‘dolce morte’, è stata applicata su richiesta del minore e col consenso dei genitori. Si è trattato – come ha precisato il Presidente della commissione federale sul controllo e la valutazione dell’eutanasia – di un caso eccezionale. “Fortunatamente – ha commentato – esistono pochi casi di questo tipo, ma ciò non significa che abbiamo il diritto di negare loro il diritto ad una morte dignitosa”. La legge si applica a minori “capaci di intendere e di volere”, che soffrono di una malattia incurabile allo stadio terminale, cui si aggiunga “una sofferenza fisica costante e insopportabile che non può essere alleviata”. Il minore deve farne richiesta, che viene poi valutata da un’équipe medica e da uno psichiatra o psicologo e sottoposta al consenso dei genitori.
Ci piaccia o no, ci troviamo qui dinanzi alla legislazione di uno stato liberale che riconosce l’eutanasia volontaria, e quindi il diritto di tutti ad una morte dignitosa, liberamente voluta, in un quadro di garanzie che – nel caso dei minori – prevede una serie di controlli e di verifiche tese ad accertare sia la gravità della malattia sia le condizioni psicologiche del soggetto in base ad un consenso condiviso. Di grande rilievo, e certo destinato a far discutere, è il fatto che si dia pieno riconoscimento all’autonomia del minore. Tradizionalmente si parte dall’idea che il bambino (o il ragazzo) non sia in grado di comprendere gli aspetti e le implicazioni della sua condizione di malattia e, su questa base, si riconosce solo alle persone legalmente competenti il diritto di decidere in merito a trattamenti che riguardano la loro salute. Il presupposto è senz’altro giusto e condivisibile ma rischia forse di essere troppo rigido. Penso, in particolare, a un tema cruciale della bioetica pediatrica che riguarda l’importanza della comunicazione in campo medico in relazione al consenso informato. Fino a che punto possiamo considerare degli individui in crescita completamente incapaci di prendere decisioni sulla propria vita? Dovremmo riflettere maggiormente sul concetto di autonomia del minore fino a ripensare le convinzioni più diffuse sulle sue limitate capacità.
Nel nostro paese è ancora molto difficile parlare di eutanasia a causa, soprattutto, dei suoi molteplici significati. Eutanasia volontaria, cioè scelta deliberatamente dalla persona, o eutanasia involontaria, imposta da altri, senza il consenso del soggetto? E ancora: eutanasia passiva, che coincide con la sospensione delle cure o eutanasia attiva, che comporta un intervento intenzionalmente diretto a provocare la morte? Come si vede, già da queste prime sommarie definizioni emerge la complessità di un dibattito che, anziché avviare una riflessione imperniata su quella saggezza cui Aristotele assegnava tanta importanza nelle deliberazioni morali, troppo spesso rischia di ridursi al contrasto insanabile tra i ‘favorevoli’ e i ‘contrari’.
E’ fin troppo facile prevedere la divergenza irriducibile dei giudizi. Vi è chi sosterrà che il quadro di garanzie non è sufficiente, che i protocolli non sono abbastanza severi, che il minore non viene tutelato, che, in ogni caso, l’eutanasia non è e non deve mai essere giustificata. Benissimo. Non si dovrà tuttavia dimenticare che uno stato che rende legale l’eutanasia – quali che siano le nostre opinioni al riguardo – non impone per ciò stesso una eutanasia di stato subita dalle sue vittime come quella nazista.