MEDICINA DELLA SCELTA E
RAZIONALITA’ SCIENTIFICO-MATEMATICA
Ivan Cavicchi
(lezione tenuta nell’ambito del VII Corso di Formazione in Bioetica dell’Istituto Italiano di Bioetica Campania - “Le forme del sapere medico. Riflessioni epistemologiche sulla Medicina”)
La posta in gioco
Se dovessi immaginare l’attuale posizione della medicina, la collocherei tra una vecchia scientificità, quella che ancora oggi la caratterizza, e una nuova possibile scientificità, quella che potrebbe caratterizzarla da oggi per il futuro.
Sono convinto che i problemi della medicina oggi, alla fine, si possono sintetizzare in termini di crisi della e nella sua scientificità.
Quando parliamo di scientificità, parliamo implicitamente di razionalità, intendendo per razionalità quella prevalentemente positivista e scientista.
Oggi la medicina, suo malgrado, è traversata da grandi processi che la spingono a ridiscutersi, ma nello stesso tempo, paga la difficoltà a farlo, quasi come se in ragione di una forte inerzialità concettuale, tendesse più a conservarsi che a rinnovarsi. Per cui, proprio rispetto alla sua scientificità, sorgono i problemi di congruità con una sempre nuova società, una nuova domanda, un nuovo malato, ecc.
C’è da chiedersi quante cose riescono a stare dentro questa scientificità e quante cose restano fuori, sapendo che quello che resta fuori alla fine va altrove e gestisce i propri bisogni in modo delegittimante nei confronti della medicina stessa.
Nella vecchia scientificità sembra non trovare posto la complessità del malato, le cosiddette esigenze di umanizzazione, ma anche le nuove sfide della razionalità legate a nuove visioni epistemologiche, oltre che ontologiche, a nuove modalità logiche, a nuove metodologie, a nuove forme del fare e dell’agire.
Di fronte a ciò, il malato vive sulla pelle le insufficienze della medicina e cerca soluzioni altrove, o si organizza attraverso un numero incredibile di associazioni, o dà corso a migliaia di contenziosi giuridici contro medici e istituzioni sanitarie e, comunque, registra il suo personale scontento.
Inizia così una sorta di convivenza difficile tra necessità e possibilità, tra il bisogno rispetto alla scientificità che c’è e la scientificità che ci dovrebbe essere, tra soddisfazione e insoddisfazione, delineando un rapporto tra medicina e società sempre più difficile.
Crisi “della” Medicina
In genere si pensa in termini di crisi della medicina, cioè considerando la medicina come qualcosa che inevitabilmente subisce dei guasti o delle avarie, proprio come un qualsiasi impianto idraulico.
L’approccio, in questi casi, è quello classico del problem solving. Ognuno di noi ha la sua lista preferita di guasti da riparare e ognuno di noi ha la sua lista di soluzioni.
E’ questa la ragione per la quale si parla di pletora medica, o di rapporto con il malato, o di comunicazione, o di formazione, ecc..
In realtà, questo approccio non porta lontano perché rimane dentro la razionalità dell’impianto. Cioè alla fine è conservativo. Sostituisco il pezzo da cambiare, ma conservo il sistema nel quale il pezzo si colloca.
Solo quando l’impianto sarà completamente compromesso, allora si potrà porre il problema eventualmente di una sua sostituzione. Ma questa eventualità per la medicina non può essere data, sia per le implicazioni nei confronti dei malati, sia per le implicazioni sociali e politiche che innesca.
In verità, la medicina è come la famosa barca concettuale di Otto Neurath, dalla quale medici e malati non possono sbarcare e che può essere riparata solo durante la navigazione e quindi in mare aperto. E guai se così non fosse.
Vedere la crisi della medicina come riparazione dei guasti è senz’altro utile, perché è innegabile che di guasti ce ne sono tanti, ma non è esaustivo, perché i problemi della medicina oggi, almeno quelli più importanti, sono relativi al suo impianto concettuale, cioè riguardano l’intero apparato che definisce la sua scientificità.
Crisi “nella” Medicina
Conviene, a questo punto, tentare un altro approccio e vedere alla crisi come a un processo dentro la medicina e che riguarda proprio il suo impianto concettuale.
Per quanto la medicina tenda sostanzialmente a conservarsi ed a autoriprodursi come razionalità, essa è investita, suo malgrado, da spinte e da sollecitazioni che non può evitare.
Saltando l’idea di paradigma di Khun, che in medicina è poco adattabile (la medicina sicuramente non è una scienza, ma un insieme di saperi e per giunta non è un sapere “normale”) conviene articolare l’intero suo apparato concettuale in almeno tre ambiti o pertinenze.
Il primo è quello che decide gli scopi della medicina, i suoi limiti operativi ma anche le sue possibilità e che indichiamo come statuto. Non c’è dubbio che i progressi scientifici allargano gli scopi, superano certi limiti e offrono nuove possibilità (si pensi alla fecondazione assistita, alla genomica, alle biotecnologie, ecc.).
Tale allargamento ha una portata tale da suscitare giganteschi problemi bioetici, ma anche da indurre parecchi medici a ritenere di aver bisogno di affrontare in modo nuovo inediti problemi filosofici, ancor prima di quelli bioetici.
E quello che è stato sollevato anche da due fisici, entrambi premi Nobel, Stephen Hawking e Steven Weimberg, che addirittura criticano apertamente i filosofi perché non si occupano a sufficienza di questioni metafisiche.
Oggi vi è una crisi nello statuto della medicina che è generata da una domanda sociale completamente diversa dal passato e che, molto in sintesi, va ben oltre l’idea di tutela, cioè l’idea di una medicina che media tra il bene e il male dentro un ordine naturale incontrovertibile. Oggi si sa che l’ordine naturale è un risultato storico, che è provvisorio e che non è per niente incontrovertibile.
Il secondo è quello che decide i criteri per conoscere la malattia e il malato e che definiamo canone. Non c’è dubbio che tutto il 900 ha maturato cambiamenti fondamentali di tipo epistemologico sui criteri della conoscenza.
Questi criteri, in medicina, appartengono ancora al positivismo ottocentesco e ormai fanno acqua da tutte le parti. Cioè sono sempre più inattendibili. Se dovessimo in estrema sintesi, condensare la crisi nel canone in una asimmetria, dovremmo dire che i criteri che vedono al malato in modo sostanziale, fisicistico, monistico e quindi scientistico, oggi devono essere ridefiniti sul piano dell’integrazione tra fatti sostanziali, teorie di riferimento, valori condivisi. Una medicina che conosce solo la sostanza è una medicina che si limita a conoscere solo una parte della realtà del malato.
Il terzo ambito è quello metodologico, cioè le regole procedimentali per garantirci la scientificità e che indichiamo come procedimento.
Non c’è dubbio che in ragione della complessità del malato, delle sue tante peculiarità, il metodo generale deve confrontarsi ad personam con il malato, fino ad accettare l’idea di diventare un metodo ad hoc, definito sul malato ad hoc.
L’esempio è il procedimento clinico che resta sul piano generale un ragionamento fondamentalmente ipotetico-deduttivo e sul piano personale un ragionamento ad hoc eminentemente idiografico e quasi per nulla nomotetico.
Oggi, insomma, la famosa questione delle decidibilità, in medicina, si pone in termini certamente di necessità metodologica, ma sapendo bene che il metodo in sé non è una garanzia di verità, di esattezza e di attendibilità.
Oggi la verità in medicina deve affrontare la questione degli scarti tra metodo e realtà, questi scarti sono all’ordine del giorno.
Evidenza
La crisi nello statuto, nel canone, nel procedimento della medicina, come si vede riguarda un intero impianto concettuale, quello che in un modo o nell’altro, attraverso norme, regole, criteri, definisce in fin dei conti la base assiomatica della medicina.
Ma se in ballo c’è la base assiomatica della medicina, in ballo c’è la nozione di scientificità e più precisamente tutto quello che in medicina riguarda ciò che è vero e ciò che è evidente.
Anche se un po’ rozzo, il ragionamento conclusivo che si può fare è che la crisi nella medicina è essenzialmente una crisi della sua nozione positivistica di evidenza e di verità.
Questa è la ragione per cui acquista particolare interesse il fenomeno (perché di fenomeno di tratta) della evidence based medicine. Che altro non è se non il tentativo di riparare i guasti ad un concetto positivistico di evidenza, al fine di riconfermare un concetto comunque positivistico di evidenza, non già di rinnovarlo come impianto concettuale.
Discuterò di EBM come “fenomeno”, non già come tecnica procedimentale, cioè dal punto di vista della filosofia della scienza, dell’epistemologia e da un punto di vista gnoseologico, alla stregua di una metodologia della conoscenza.
L’obiettivo della discussione va chiarito chiarendo la sua posta in gioco: non si tratta di essere favorevoli o contrari all’EBM perché sarebbe uno schierarsi senza senso, si tratta di comprendere che la posta in gioco è la credibilità della medicina, la sua, oserei dire, “onorabilita” sociale (non si tratta solo di legittimazione), ma soprattutto il suo futuro come impresa non solo sociale, ma scientifica intendendo per scientificità non solo quella cartesiana di matematizzazione del mondo (per altro fallita a partire dalle pretese della matematica stessa di garantirsi delle verità assolute (1)), ma una scientificità di tipo nuovo, ma non per questo meno scientifica.
I miei ragionamenti sull’EBM si basano (“based”) su quanto scritto dai suoi fondatori a partire da Sackett. Una precisazione obbligatoria se si pensa che vi sono molte interpretazioni dell’EBM (basti ricordare il n. 1 della rivista EBM in versione italiana e i due editoriali di Sackett e di Gensini), che vi sono molte (forse troppe) interpretazioni sul suo uso possibile e del suo uso impossibile (campi di applicazione), che vi sono anche molte distorsioni ideologiche su chi vede l’EBM addirittura come una “rivoluzione paradigmatica” della medicina (una tecnica procedimentale al massimo è una quota di un paradigma), o peggio su chi vede all’EBM come alla “salvezza” della medicina stessa.
In questo caso il problema non è la “campana”, ma il “campanaro”. E, infine, che vi sono ripensamenti e correzioni in corso d’opera in tutto il mondo. Basti pensare al gruppo di lavoro organizzato stabilmente a Mastreecht, costituito da numerosi paesi europei per studiare i problemi bioetici riconducibili all’EBM.
Infine è utile richiamarsi al contesto in cui nasce l’EBM, perché è noto che qualsiasi significato di base, anche quello dell’EBM è condizionato dai suoi significati contestuali. Non è un caso che l’EBM nasce sia rispetto ad una crisi della scientificità medica, sia rispetto ad una forte preoccupazione economicistica sui costi dei sistemi di welfare. Sono due fattori che hanno spinto la ricerca di soluzioni razionali nella medicina pubblica verso quelle teorie sulla razionalità delle scelte in economia (teoria della scelta razionale, alberi della decisione, teoria dei giochi, ecc.) di cui Sackett sembra imbevuto, ma sulle quali l’economia per prima ha messo mano a dei ripensamenti (già qua e la si vede la stessa cosa nel dibattito internazionale sulla scelta in medicina). Non è neanche un caso che l’EBM nasca dall’ambiente epidemiologico, quasi a proporre un nuovo rapporto tra epidemiologia e clinica, quello che per altri versi abbiamo interpretato come rapporto tra “verità di ragione” o “verità di fatto” (2), e che in un’ottica eccessivamente tecnocratica rispetto ai sistemi gestionali, rischia in qualche caso di degenerare in una vera e propria “medicina amministrata” (basti rammentare il DL 229 che poneva, in modo amministrativo, dal “centro” questioni come l’evidenza, l’appropriatezza, l’economicità, sapendo noi bene che sono tutte questioni “modali” che, come tali, non possono che essere decise caso per caso, sul posto anche tenendo conto di tutto ciò che rientra nella famosa evidenza statistica, ma non solo).
Alcuni caratteri del “fenomeno” EBM
Vorrei mettere in fila in modo schematico alcune caratteristiche epistemologiche del fenomeno EBM:
1. tutta la letteratura di base è come se tradisse un’opposizione antifilosofica, al fine di esaltare una forte tecnicalità. L’EBM, in ragione di ciò, è come proposta quale pacchetto di tecniche razionali. Niente di male, tuttavia si ripropone una dicotomia largamente superata dal pensiero moderno tra tecnica e teoria, o meglio tra ciò che è considerato pratico e ciò che è considerato speculativo. Ma il conflitto tra teorico/pratico riproposto dall’EBM mi sembra un po’ paradossale dal momento che essa altro non è se non una teoria per la pratica.
2. L’EBM ricerca le sue evidenze attraverso il dato statistico, che è indiscutibilmente uno strumento di conoscenza straordinariamente importante. Ma i dati statistici, insieme alle bugie, diceva Israel, sono i due modi più efficaci per mentire. Cioè i dati sono come i fucili carichi, bisogna usarli con accortezza e con abilità. Altrimenti il rischio è “spararsi”, cioè scadere in una sorta di metafisica del dato, nel senso di adoperarlo quale base indiscutibile della dimostrazione, fino a considerare i “dati” come l’unica (o la vera) garanzia di verità.
Se oggi c’è una cosa in discussione, addirittura in matematica, è proprio la perentorietà del dato. La cosa davvero curiosa è che nel mentre l’EBM dà al dato quasi un carattere metafisico e nel mentre avversa in nome dei dati le speculazioni, i soggettivismi, le astrazioni dei medici, non si accorge di costruire la perentorietà del dato proprio sull’astrazione.
E’ un fatto che nell’EBM il dato statistico è scelto esattamente come un’astrazione, cioè si organizzano isolando dati da altri dati. Questa operazione è quella che Peirce chiamava prescissione, un’operazione che per sua natura ha comunque ed inevitabilmente una forte valenza teorica. In ragione di ciò, ribadiamo che l’EBM non è pratica contro teoria, ma più semplicemente una teoria statistica della pratica.
3. In medicina la difficoltà ad usare dei dati è la stessa che si incontra rispetto alle cosiddette “verità a priori”. Qual è il ragionamento di base? Tutti gli ammalati x sono y, quindi, tutti gli ammalati x sono necessariamente y. E questo in medicina è un modo di ragionare molto problematico.
Ma qual è il significato di questo ragionamento ? E’ come se l’EBM prescrivesse le necessità, mentre si sa che necessità, possibilità, concepibilità sono modalità che è difficile prescrivere a priori dal momento che variano in medicina, come altrove, fortemente con le contingenze.
4. Per quanto possa sembrare strano, l’EBM ragiona molto in una logica dell’analogia e della verosimiglianza. Per far in modo che statisticamente x sia considerato necessariamente y è inevitabile considerare x identico, o analogo, o somigliante a y. E’ il ragionamento che faceva Leibniz: se x è identico a y allora tutto ciò che vale per x vale per y.
E’ il classico ragionamento categoriale “se ……… allora”, che in medicina è tutt’altro che lineare.
5. L’ultimo aspetto importante che vorrei ricordare è quello relativo alla traduzione di “evidenza” con il concetto di “prova”.
Nel mentre l’EBM tende ad usare i dati statistici come “prove” apodittiche, quindi ad organizzarli dentro un vero e proprio procedimento indiziario, proprio dai tribunali nasce la riforma del procedimento probatorio, che altro non è se non la riforma del concetto di prova. Per farla corta, la tendenza è sostituire le verità apodittiche con verità per accordo, cioè che nascono dalla discussione, dal confronto, dalla dialettica tra tutte le parti veritiere di un giudizio. Proprio perché nella cultura moderna prevale più un’idea di verità convenzionale che non un’idea di verità apodittica. In medicina poi è inutile rammentare il carattere davvero di provvisorietà delle verità scientifiche.
In conclusione
Non ho nessuna difficoltà a riconoscere all’EBM un’indubbia utilità, ma non possiamo nascondere che essa, suo malgrado, è un modo di garantire un vecchio modo di intendere la scientificità. Essa, a mio parere, rappresenta il tentativo tecnico di difendere una scientificità attraverso la conoscenza statistica. Niente di male, per carità. Se c’è tuttavia una cosa da rimarcare nel pensiero moderno è la grande problematicità di ridurre la realtà a rispecchiamento statistico. Il che non vuol dire che non si debba usare la statistica.
Con l’idea di “rispecchiamento” si rischia di far regredire la riflessione al più vecchio positivismo per il quale valevano le coppie di opposizione oggettivo/soggettivo; teoria/pratica; vero/falso; razionale/irrazionale. Coppie che da Quine in poi sono state messe seriamente in discussione.
Non c’è dubbio che alla crisi del concetto di evidenza, l’EBM risponde riproponendo un concetto di evidenza, quindi riproponendo una forma di scientificità cartesiana e per questo tradizionale.
C’è da chiedersi, se non sia possibile andare oltre ed esplorare una nuova forma di scientificità. Personalmente non solo penso che questo sia possibile, ma addirittura auspicabile e proprio per amore della scientificità.
Il rispecchiamento del malato mentale, attraverso la statistica, risponde ad un criterio logico, quello della corrispondenza, che è palesemente insufficiente da un punto di vista epistemologico. La clinica può usare la statistica, ma in nessun caso ne può essere vicariata.
Oggi, nei campi più disparati del sapere al criterio di corrispondenza se ne affiancano altri, come quello della coerenza logica, quello di compossibilità, quello che va oltre la teoria per fondare il potere predittivo di un giudizio sull’intero apparato concettuale del medico, sul sistema delle sue credenze e delle sue conoscenze.
Oggi, nella discussione epistemologica moderna si discute di ottimalità epistemica di un più vario sistema concettuale, nel quale l’esperienza ha un ruolo importante; si discute di attendibilità epistemica di una spiegazione (può essere attendibile anche una cosa che sembra non razionale); si preferisce parlare di spiegazioni convenienti anziché di spiegazioni vere; di accettabilità logica di una qualsiasi inferenza, aprendo i mondi a molti mondi del ragionamento ad una maggiore flessibilità del rapporto teoria/fatti.
Il presupposto di questa nuova scientificità è uno solo: l’ineliminabilità di un criterio soggettivo dell’operatore, criterio che per l’EBM, nelle sue rappresentazioni più estremistiche, rappresenta invece il problema per antonomasia. Spesso non si tratta solo di trovare l’accordo tra un’ipotesi terapeutica e un fatto patologico, ma anche di scegliere tra più ipotesi e più fatti. Particolarmente, il grande problema non è solo cosa fare quando le ipotesi sui trattamenti sono in conflitto con le patologie, ma anche quello, a fronte di una notevole complessità clinica, di cosa fare quando le ipotesi terapeutiche e le loro teorie di riferimento sono tra loro in conflitto.
In tutto questo, l’EBM resta una tecnica epidemiologica utile, come qualsiasi altro tipo di dato di conoscenza. Essa aiuta a decidere, a combattere gli sprechi, le inutilità e tutto quello che si vuole, ma in nessun caso può pretendere di sostituirsi ad un criterio soggettivo dell’operatore. L’EBM è uno strumento dentro una cassetta di attrezzi fatta da tanti altri strumenti. Tutti utili a seconda delle circostanze. Ma tutti in qualche modo funzionali ad un’abilità che resta clinica.
Il tema dell’abilità rappresenta in un certo senso il punto dal quale si articolano due strategie: quella dell’EBM che punta a definire “cosa fare” rispetto a certi dati e quello della “medicina delle scelte” (3) che punta a formare “chi fa”, a scegliere i dati della conoscenza nel modo più conveniente, cioè venendo a patti con le situazioni e con gli stessi dati disponibili.
Non è detto che le due strategie debbano contrapporsi. Anzi è auspicabile il contrario. Ma se non si vuole rischiare di scadere in una sorta di medicina tecnocratica non si può permettere che il “cosa fare” amministri il “chi fa”. Cioè che siano i dati ad amministrare le scelte e non il contrario.
Roma, 14 febbraio 2002
(1) si veda, a questo proposito, il libro di C. Cellucci “Le ragioni della logica”, Laterza, Roma-Bari 2000
(2) I. Cavicchi, “Salute e Federalismo”, Bollati Boringhieri, Torino 2001
(3) I. Cavicchi, “La medicina della scelta”, Bollati Boringhieri, Torino 2000.