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Luisella Battaglia

Vegetarismo nel pensiero di Gandhi

L'etica del rispetto per il mondo vivente

(testo di una conferenza)

Stasera vi parlerò, come ha detto Marco Francone, di vegetarianesimo dal punto di vista etico-filosofico in una prospettiva che e' quella di un grande testimone della nostra epoca, io mi sono sforzata di mettere in evidenza quegli aspetti del pensiero gandhiano che mi appaiono piu' utilizzabili per un'etica di rispetto nei confronti del mondo vivente come vedrete e come mi auguro di mostrare nel mio discorso. Verranno fuori tanti elementi di un'etica che io chiamo della responsabilita', che noi troviamo sparsa anche in tanti autori contemporanei.
Ora e' singolare trovare in Gandhi tutti questi elementi: l'idea di una giustizia tra le specie, l'idea di una custodia nei confronti della creazione, l'idea di una creaturalita' degli animali, gli animali sono creature come noi, sono nostri parenti. Noi dobbiamo amarli e trattarli come trattiamo il nostro prossimo umano. Tutti questi elementi pero' si riconducono ad una filosofia, che e' la filosofia della nonviolenza e allora io vorrei partire proprio da qua, perche' come ha detto Marco e' molto importante sgombrare il campo da tutti quegli stereotipi che per tanto tempo ci hanno impedito di capire il senso profondo della nonviolenza gandhiana.
Uno di questi stereotipi per esempio e' che noi quando pensiamo alla nonviolenza in genere, pensiamo ad una forma di resistenza passiva, ad una forma d'attitudine rinunciataria, ad una mistica se volete di rassegnazione, porgere l'altra guancia e cosi' via. Ora questo e' particolarmente falso proprio per quanto riguarda Gandhi, perche' Gandhi distingue tre tipi di non violenza: la nonviolenza del forte, la nonviolenza del debole e la nonviolenza del codardo.
La nonviolenza del forte e' la vera nonviolenza, e' la nonviolenza positiva, e' la nonviolenza di chi ha in grado supremo le virtu' del guerriero, il coraggio, l'abnegazione, l'ardimento. Dico in grado supremo perche' mentre il guerriero porta le armi, il non violento, per scelta e per definizione, non porta le armi, deve quindi essere tanto piu' coraggioso, avere un ardimento di misura di livello piu' elevato.
La nonviolenza del debole e' la nonviolenza che possiamo definire la resistenza passiva, cioe' l'atteggiamento di chi per tattica, per calcolo, decide di non usare la violenza, perche' il momento politico non e' opportuno, perche' non si sente abbastanza forte, perche' ritiene che sia funzionale l'impiego della violenza in una determinata situazione, in un determinato contesto.
Infine la non violenza del codardo e' la non violenza del vigliacco, cioe' la non violenza di chi rifiuta di portare le armi perche' ha paura, quindi rifiuta per vilta', rifiuta per motivi egoistici. Gandhi nei confronti della nonviolenza del codardo arriva ha dire che preferisce la violenza, lui non violento, alla nonviolenza del codardo, quindi dobbiamo pensare cosa significa per Gandhi nonviolenza. Significa impegno attivo, significa dedizione ad una causa, significa anche soprattutto un legame forte tra etica e politica.
La nonviolenza non e' solamente una scelta etica, la nonviolenza e' un modo di fare politica, pero' particolare cioe' un modo di fare politica ispirato a principi etici. Questo a noi sembra particolarmente difficile, probabilmente perche' noi proveniamo da una tradizione che e' la tradizione di Machiavelli, quindi l'insegnamento di Machiavelli e' stato quello della autonomia del politico. Machiavelli e' un grande scienziato della politica, distingue la politica rispetto alla morale, la politica ha una sua dimensione propria, ha sue leggi, la morale e' un'altra cosa. Questa dualita', che addirittura e' dicotomia tra l'agire etico e l'agire politico, credo che ci abbia condizionato fortemente, tant'e' che noi pensiamo che quando ci comportiamo politicamente ci comportiamo in un modo amorale o immorale per essere efficaci, e invece quando ci comportiamo eticamente allora dobbiamo seguire determinati principi.
Gandhi sostiene esattamente il contrario, ritiene che l'agire politico non possa in ogni caso dimenticare i principi etici, mi direte come e' possibile questo? Se noi vogliamo essere efficaci nella dimensione politica come possiamo anche contemporaneamente comportarci bene, dire la verita', essere leali, essere onesti, pensiamo che in genere l'azione politica sia legata ad una serie di sotterfugi, di marchingegni, di meccanismi, di strategie e di bugie. Gandhi anche in questo e' estremamente anticonvenzionale, disegna una strategia della lotta nonviolenta che sarebbe proprio da studiare, io credo che soprattutto per noi che facciamo parte di movimenti come i movimenti animalisti e ambientalisti sia fondamentale capire bene la strategia gandhiana, capirla proprio nella sua positivita', non semplicemente la resistenza di chi si ferma incrocia le braccia si astiene, no, che cosa fare per essere effettivamente non violenti ed efficaci?
Questa sera non c'e' il tempo per parlarne diffusamente, pero' basti dire che la strategia della lotta satyagraha che significa forza della verita', e' proprio ispirata all'idea che noi dobbiamo avere nei confronti del nostro antagonista un atteggiamento di grande onesta' e di grande lealta', il che significa che noi non dobbiamo minimamente nascondergli quelli che sono i nostri obbiettivi, dobbiamo esporgli con estrema chiarezza che cosa noi ci proponiamo, che sembra sconcertante perche' in genere sappiamo che si fa il contrario. Poi dobbiamo essere imparziali, imparziali significa che non dobbiamo semplicemente vedere le cose dal nostro punto di vista, ma cercare anche di capire il punto di vista dell'altro, di chi mi sta di fronte del mio antagonista, di colui che sostiene cose diverse dalle mie.
Quindi direte questa paradossale inversione delle regole del gioco che senso ha? Secondo me ha un profondo senso anche del punto di vista psicologico, non c'e' soltanto una tensione etica straordinaria in questi consigli, c'e' anche una sapienza psicologica perche' Gandhi si rende conto che alle radici della violenza e della aggressivita' c'e' quasi sempre la paura, e la paura nasce dalla insicurezza, chi si sente minacciato, chi non si sente capito, chi si sente demonizzato, tende ad agire in modo violento, in modo aggressivo. Allora vedete che Gandhi cercando invece di guardare al suo antagonista, e voi sapete che Gandhi e' stato protagonista di una delle piu' straordinarie campagne di lotta contro un avversario che non era certo un avversario facile, come appunto l'Impero inglese, e' riuscito in qualche modo ha destrutturare la situazione, a imporre le condizioni della sua lotta, instaurando un clima di dialogo e di collaborazione, ma con questa persuasione che l'altro e' una persona come me, che io non posso mai neanche nei momenti peggiori della lotta, dell'antagonismo e del conflitto, non posso mai considerarlo meno che persona.
Questa e' una cosa che molto spesso mi capita di constatare e' difficilissima, perche' spesso quando io partecipo a lotte, dibattiti su temi lancilanti, dolorosi come la vivisezione e' cosi' frequente sentire una polemica cosi' dura, una demonizzazione assoluta, il vivisettore e' per definizione il demonio, non ha assolutamente argomenti, non puo' averne, si rifiuta persino l'idea di parlargli, questa e' la cosa, secondo me, meno sensata e dal punto di vista gandhiano e' la meno produttiva che esista, perche' occorre che noi ci sforziamo di entrare in comunicazione con chi la pensa diversamente da noi. Non possiamo mai presumere che le nostre ragioni, per quanto noi crediamo fermamente in esse, siano le uniche siano assolute, quindi vedete che da questa strategia della lotta nonviolenta emerge gia' una idea molta importante molto preziosa di tolleranza.
Un'altra idea gandhiana del rapporto etica politica, e' un rapporto tra fini e mezzi, anche a questo noi non siamo abituati, i fini e i mezzi sono profondamente dipendenti, nel senso che non potremo mai affermare che il fine giustifica i mezzi, affermazione che noi facciamo comunemente, se una azione e' buona allora posso usare anche mezzi che non sono onesti, in fondo questi mezzi possono essere giustificati dal fine.
Perche' se io impiego un mezzo negativo, questo mezzo negativo inquina, perverte anche il fine migliore, allora ecco l'impegno deve essere la massima onesta', il massimo impegno etico, non soltanto nella scelta dei fini, ma anche nella scelta dei mezzi. Queste cose dovrebbero consentirci di entrare un po' nella visione gandhiana, in questo complesso mondo della nonviolenza, che vede il vegetarianesimo come una opzione conseguente e in certo modo doverosa.
Perche' il vegetarianesimo non puo' che conseguire da questa scelta di non violenza? Il vegetarianesimo, secondo me e' proprio una filosofia della nonviolenza integrale, intendo dire che una filosofia della nonviolenza che riguarda non soltanto l'uomo, ma che si estende anche al non umano. Nella visione di Gandhi noi dobbiamo essere non violenti nei confronti del prossimo umano, ma anche nei confronti del prossimo non umano.
Gandhi era aiutato in questo da una sua filosofia, da una sua religione che e' l'induismo. Gandhi in particolare era giainista, quindi apparteneva ad un tipo di religiosita' estremamente esigente. Voi sapete che i giainisti sono scrupolosissimi, addirittura usano mettersi una garza davanti alla bocca proprio per evitare di ingoiare involontariamente anche un piccolo insetto, quindi c'e' una osservanza scrupolosa del precetto di non usare violenza contro anche il piu' piccolo degli esseri viventi.
Pero' la cosa singolare e' che l'induismo, e questo e' un po' il paradosso della storia di Gandhi non e' direttamente alle origini della sua scelta vegetariana, Gandhi e' certo un vegetariano per tradizione, pero' come confessa nella sua autobiografia, Gandhi ragazzo e' fortemente tentato dall'alimentazione carnea, e racconta che proprio con un suo amico aveva compiuto delle trasgressioni a questo precetto rigido della sua fede giainista nella persuasione che l'alimentazione carnea fosse importante per diventare piu' forti, per diventare piu' vigorosi.
Gandhi aveva l'esempio dell'Inghilterra ed era convinto che il potere e la forza degli inglesi risiedesse anche nel tipo di alimentazione che loro usavano. Quando Gandhi va in Inghilterra vedrete un Gandhi particolarissimo, non il Gandhi che siano abituati a vedere, tipo fachiro con una tunica bianca, ma un Gandhi in bombetta, tipo gentleman della city, estremamente convinto del suo ruolo. Studia per diventare avvocato, e' un Gandhi anglicizzato, pero' la cosa singolare e' che questo Gandhi anglicizzato comincia a frequentare a Londra quasi senza volerlo una serie di circoli, che sono circoli di teosofi, di vegetariani, di innamorati della cultura indiana. E' attraverso di loro lo riconosce egli stesso, che ricomincia ad essere vegetariano, questa volta per convinzione.
Questo e' molto bello perche' vi spiega questa circolarita' che vi e' in tutta la storia di Gandhi, tra oriente ed occidente. Quindi e' vero che Gandhi e' un induista e quindi e' facile per lui avere questi sentimenti di fraternita' nei confronti di tutte le creature, pero' e' anche vero che Gandhi stava per essere convertito dall'occidente e allora sono proprio i suoi amici inglesi filoindiani, uno di questi lo voglio ricordare, si chiama Henry Salt. Henry Salt, filosofo e fondatore della lega umanitaria, che e' l'ispiratore di Gandhi, e' anche quello che scrive la prima dichiarazione dei diritti degli animali, nel 1892.
Quindi vegetarianesimo, animalismo, cominciano a saldarsi e quindi vedete che anche l'etica e la politica cominciano a convergere sempre piu' fortemente. Ora vegetariano per convinzione, va bene, ma quali sono gli elementi forti del credo vegetariano di Gandhi? Io credo che noi possiamo almeno individuare tre forti elementi, che caratterizzano la sua concezione etica: un elemento morale etico in senso proprio, un elemento antropologico, e un elemento politico.
L'elemento etico e' rappresentato da quella che io chiamerei una morale cosmica, una morale che si estende fino ai confini del senziente. Gandhi ritiene che i nostri doveri morali non riguardino soltanto il nostro prossimo umano, ma riguardino tutti gli essere capaci di soffrire, tutti gli esseri che condividono con noi la Terra. Il principio della ahimsa che Gandhi traduce spesso con amore, e' lo stesso amore che poi viene predicato nel cristianesimo, l'amore di cui parla Paolo, questo deve essere amore per tutti gli esseri indistintamente, indipendentemente dalla specie a cui appartengono, quindi se io ho questa attitudine non posso che essere vegetariano, sarebbe inconcepibile il cibarmi del mio fratello.
L'elemento antropologico. Gandhi ritiene che ci sia una sostanziale parentela fra l'uomo e l'animale, quindi ci sia una continuita' tra il mondo umano e il mondo animale e quindi questo rafforza la sua visione che noi apparteniamo alla specie animale e non possiamo quindi isolarci orgogliosamente, in senso antropocentrico rispetto alle altre creature. Io direi che Gandhi va anche oltre a questa visione. Ritiene che la visione caratterizzante la sua etica non e' certo, una visione antropocentrica, ma e' una visione teocentrica, cioe' e' Dio il centro di tutto l'universo. Gandhi e' un pensatore profondamente religioso e quindi ritiene che e' a Dio che si deve riconoscere la suprema obbedienza, l'uomo non puo' essere che il ministro di Dio, e quindi non puo' arrogarsi un potere, non puo' assumere un atteggiamento dispotico nei confronti delle altre creature, l'uomo deve custodire saggiamente le altre creature, perche' tutte le creature sono nate da Dio.
Infine l'elemento politico e' rappresentato da una visione della societa' del futuro come la chiama Gandhi, in cui sara' abolito lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo e anche lo sfruttamento dell'uomo sull'animale. E' la visione di una societa' integralmente nonviolenta e' una sorta di palingenesi, in cui vi sara' l'uomo nuovo che ricupera pienamente la sua dignita' e non teme di abbassare la sua dignita' in questo riconoscimento di fraternita' con tutti gli esseri che condividono con lui il pianeta.
Quindi vedete che questi aspetti contribuiscono a caratterizzare una visione peculiare del vegetarianesimo, peculiare perche' e' per molti aspetti religiosa, ma ecco adesso c'e' un aspetto che e' importante sottolineare, perche' io finora ho parlato di ahimsa, come nonviolenza, ma questa nonviolenza e' ancora definita in termini troppo generici. Che cosa vuol dire nonviolenza? Vuol dire soltanto non uccidere? Per Gandhi la nonviolenza non significa sempre e comunque non uccidere, la sua e' un'etica della responsabilita', non e' un'etica dell'intenzione. Dico velocemente che cosa significano l'una e l'altra.
L'etica delle intenzioni e' l'etica deontologica, e' l'etica dei principi. Secondo un'etica deontologica io affermo una regola morale di valore assoluto, la regola del non uccidere, e a questa regola io mi devo attenere rigidamente in modo assoluto, non posso infrangere questa regola in qualunque circostanza io mi trovi, se anche fossi minacciato di morte, io dovrei per restare fedele al principio supremo della nonviolenza, preferire la mia morte piuttosto che infliggere violenza a chi mi minaccia.
Un'altra etica che e' quella della responsabilita' che invece pur affermando l'esistenza di principi morali, ritiene che questi principi morali non abbiano un valore assoluto, ma abbiano un valore, che i filosofi chiamano prima face, che e' un'espressione che sembra difficile, ma che in realta' si puo' spiegare molto semplicemente, cioe' quel principio deve essere obbedito finche' non interviene un principio superiore di fronte al quale questo principio cede.
Per fare un esempio, per un seguace dell'etica della responsabilita' che pero' crede nella nonviolenza e' ammissibile che se mi trovo in una condizione estrema, in una condizione di emergenza, in una condizione di minaccia assoluta in cui non mi resta altro che reagire con la violenza, perche' la mia vita e' minacciata, e' minacciata la vita della mia famiglia, allora io sono autorizzato a reagire con la violenza, in questo caso c'e' un principio piu' alto che mi autorizza a questo comportamento.
Diciamo subito che la posizione di Gandhi e' la seconda, questo puo' in qualche modo sorprenderci, perche' noi pensiamo a Gandhi come un teorico di un'etica assolutistica, di un'etica della sacralita' della vita. In realta' non e' cosi', Gandhi ha un'etica estremamente realistica, ritiene che ci siano condizioni di estrema drammaticita', io sottolineo sempre il carattere di emergenza, intendo dire una situazione in cui io ho espletato tutte le vie possibili, per convincere il mio antagonista: cerco di disarmarlo, di parlargli, di fargli capire, ma ove non ci siano altre possibilita' ecco allora che la nonviolenza trova un limite.
Diciamo subito che la posizione di Gandhi si differenzia da quella di una altro grandissimo pacifista, nonviolento, che voi tutti conoscete che e' Tolstoj. Tolstoj appartiene proprio alla prima di queste etiche, l'etica delle intenzioni, Tolstoj ritiene che non ci puo' essere alcuna ragione perche' noi infliggiamo violenza, neanche per la nostra difesa o la difesa di altri. Questo tra l'altro sara' anche l'occasione di uno scambio molto interessante di lettere tra Gandhi e Tolstoj. L'uno e l'altro cercano di trovare buoni argomenti per sostenere la propria posizione e Tolstoj ribadisce che e' fondamentale il principio evangelico "ama il tuo prossimo..." e poi soprattutto il principio del porgere l'altra guancia, ma questa vedete che non e' l'attitudine gandhiana, Gandhi non predica il porgere l'altra guancia, predica un altro principio, che e': riduci nella misura del possibile la sofferenza e la violenza che tu vedi intorno a te. Questo riduci nella misura del possibile significa che tu devi adottare un atteggiamento di responsabilita', cioe' devi valutare bene quali sono le tue azioni, e le conseguenze delle tue azioni, allora scegliere il corso d'azione che e' piu' adatto per ridurre la violenza che tu ti trovi davanti.
Gandhi e' perfettamente persuaso che violenza c'e' comunque, che anche un po' di violenza c'e' anche nello spirito piu' pacifico che esista. Il fatto stesso di esistere comporta una certa violenza. Noi non posiamo, anche se ci cibiamo di vegetali, non esercitare violenza. Pero' detto questo, resta a noi questa violenza ridurla il piu' possibile in noi e negli altri.
Per ritornare al discorso dell'etica della responsabilita', quali sono le situazioni in cui Gandhi ritiene che sia lecito infrangere questa norma fondamentale della nonviolenza? Intanto una condizione, l'esempio di un pazzo armato che invade un villaggio, un pazzo che minaccia degli innocenti, a questo punto Gandhi dice che sarebbe estremamente codardo non opporsi a questo pazzo, accettare che delle vite innocenti vengano messe in pericolo. Il forte nonviolento deve suo malgrado, nonostante quello che cerca di mettere in opera per persuadere il pazzo, deve se proprio non ne può fare a meno, usare una certa dose di violenza nei confronti di questo individuo.
L'altro esempio riguarda direttamente un animale, e' un esempio che concerne l'uccisione pietosa, l'eutanasia. Gandhi si trova nella sua comunita' alle prese con un vitello azzoppato. Ora voi sapete il culto dei bovini in India e' estremamente profondo, davanti al vitello azzoppato l'atteggiamento di tutti e' aspettiamo che muoia, lasciamo che muoia, ma il vitello soffre tremendamente e Gandhi si rende conto che questa agonia, questo atteggiamento fatalistico e' assolutamente irresponsabile, non si sente affatto di sottostare a questo ritualismo fanatico che impone di aspettare la morte di qualcuno uomo o animale che sia, che soffre atrocemente. A questo punto Gandhi fa qualche cosa di assolutamente anticonformista, cioè decide di sopprimere il vitello, il che provoca un grosso scandalo, perché l'uccisione del vitello viene avvertita come un qualche cosa di grave che rompe una regola tacita, una regola forte, ma Gandhi sostiene che anche qui il nonviolento deve accettare questo tipo di violenza come male minore, perché la sofferenza dell'innocente, una sofferenza che non porta a nulla perché in questo caso il vitello e' condannato, anche qui si cerca in tutti i modi di curarlo, ma visti inutili tutti i tentativi, allora Gandhi provvede a sopprimere il vitello; e dice badate bene lo farei anche con un uomo, lo farei anche con un mio amico.
Questo e' estremamente interessante, perché ci apre un grosso spiraglio su un grande dibattito bioetico su cui continuiamo a discutere cioè il discorso dell'eutanasia. Voi sapete che nell'eutanasia si fronteggiano due posizioni: coloro che sostengono la sacralità della vita e coloro che sostengono la qualità della vita. Chi sostiene la sacralità della vita afferma che noi non possiamo minimamente intervenire e quindi aiutare qualcuno a morire, perché la vita e' qualcosa di sacro, qualche cosa che a noi non appartiene e quindi noi dobbiamo semplicemente attendere. Chi invece afferma la teoria della qualita' della vita, ritiene che il valore forte sia il tipo di vita che io ho davanti. Se io ho davanti a me una vita di grande sofferenza, una vita di tribolazioni, priva di ogni scopo, di ogni senso e poiche' io sono colui che la vita ha, sta a me la possibilita' di interrompere, e quindi io ho il diritto di morire. Il diritto di morire che posso anche delegare ad un altro, il diritto di essere aiutato a morire. Questo in termini estremamente schematici e' il dibattito infinito che si trascina.
Ora la cosa strana che Gandhi in questo dibattito sosterrebbe non chi afferma la tesi della sacralità della vita, come noi saremo portati a pensare, ma viceversa sostiene fino in fondo la tesi della qualità della vita, pur non parlando della qualità della vita. Afferma il principio fondamentale che noi abbiamo la responsabilità di ridurre la sofferenza, perché capire che cos'e' la nonviolenza significa capire fondamentalmente che e' anche per usare la sua espressione "un oceano di compassione". E' una bellissima frase questa, significa che io devo capire il tuo dramma, devo entrare in sintonia con te, mettermi nei tuoi panni, e quindi non ti posso chiedere di agonizzare in base ad un astratto criterio. Io mi sono limitata a segnalare due casi perché mi paiono interessanti.
Poi in Gandhi troviamo un rifiuto dell'assolutismo etico, questo rifiuto lo spinge ad una grande tolleranza, ora quando noi parliamo di tolleranza dobbiamo sempre stare molto attenti e precisare perché tolleranza viene intesa come indifferenza, io sono tollerante perché di fatto non credo che esista una verità, io professo una specie di relativismo etico, per cui una verità vale l'altra, una posizione vale l'altra, questo devo dire che molto spesso e' falso, il vero tollerante non e' questo, il vero tollerante deve essere qualcuno che ha dei valori molto forti, della credenze per cui e' anche pronto a morire, pensiamo ad un grande tollerante Voltaire e' proprio uno dei campioni estremi della tolleranza, pensiamo al suo grande libro "Trattato della tolleranza"; ebbene però Voltaire e' anche quello che dice: io non la penso come te, però sono disposto a dare la mia vita perché tu possa sostenere la tua idea.
Gandhi si avvicina molto a questa posizione, e' sconcertante, perché noi pensiamo che chi ha una idea forte della verità debba essere un dogmatico, ma questo non e' affatto vero, Gandhi ritiene che la verità sia qualche cosa cui noi dobbiamo incessantemente tendere, la verita' e' soprattutto un ideale, per arrivare alla verità ci sono tante strade, ci sono tante religioni e ogni religione e' una via legittima per arrivare a quella verità che per Gandhi e' Dio stesso. Allora da qui la sua idea che tutte le religioni fondamentalmente abbiano intanto una base comune, e la base comune e' l'amore, la nonviolenza, e che tutte le religioni siano legittimate proprio in questa tensione, questa aspirazione continua verso la verità, allora noi non possiamo che essere tolleranti, perché la tolleranza significa proprio la comprensione di questo.
Ciascuno di noi non possiede la verità, però e' un grande cercatore di verità. Questo significa che Gandhi, che non a caso poi e' stato ucciso, quindi poi esempio estremo di tolleranza, e' stato ucciso da un fanatico indù, predica fino alla fine della sua vita la tolleranza. Tolleranza ad esempio nei confronti di quei mussulmani che uccidono i bovini, grandi problemi, grandi controversie. Gandhi viene accusato dai suoi amici induisti perché viene ritenuto troppo tollerante, che cosa risponde Gandhi? Risponde innanzi tutto che primo dovere della tolleranza e' quello di rispettare il fratello mussulmano. Il fratello mussulmano vede le cose da un altro punto di vista, il fratello mussulmano uccide il bue, l'induista ritiene che questo sia il piu' grave peccato. Bene, che cosa si può fare? Parlare, spiegarsi, convincere il fratello mussulmano a cambiare le sue idee, ma se questo non e' possibile non si può certo ucciderlo, non si può tormentarlo.
Dice Gandhi se proprio non tollerate questo fatevi uccidere, ma non potete perseguitare chi non la pensa come voi. Questo mi sembra una lezione di importanza estrema, perché Gandhi e' fortemente convinto della giustezza della sua idea, però non lo porta affatto a perseguitare chi non la pensa come lui. Gandhi che e' un vegetariano arriva a dire che se vede qualcuno che mangia carne o pesce senza avere la consapevolezza di quello che fa, bene e' suo compito spiegargli perché ritiene che non sia giusto farlo, però non fa più di questo, non si sente di condannarlo, ritiene che sia molto peggio imporre a questo qualcuno di non mangiare carne o pesce, perché questo sarebbe violenza. Allora tra la violenza di chi mangia carne inconsapevolmente e la violenza di chi vuole indottrinare da fanatico il mangiatore di carne, Gandhi non ha dubbi e' molto peggiore quest'ultimo.
Io mi rendo conto che questo può essere sconcertante, ma e' assolutamente importante che noi prendiamo atto di queste cose, cioè di che cosa significhi la tolleranza, il rispetto dell'altro, la consapevolezza di avere delle idee, una verità di cui si e' portatori che però non si può imporre agli altri, ma soltanto proporla. Allora il paradigma etico della visione gandhiana, io direi che e' il paradigma della cura. La cura nel senso che l'uomo deve prendersi cura, degli altri uomini, di tutte le altre creature, deve quindi avere un atteggiamento di grande responsabilita' nei confronti dei viventi.
Con questo atteggiamento della cura, si puo' collocare uno degli aspetti che a noi appare piu' strano, piu' singolare, in genere della concezione induista e anche della concezione gandhiana, intendo parlare del culto della vacca. Quando noi pensiamo al culto della vacca, pensiamo a qualche cosa di estremamente superstizioso, la vacca e' una sorta di animale totemico, quindi ci sembra molto strano, molto bizzarro che un autore come Gandhi possa pensare nei termini di una profonda pieta' di tipo religioso nei confronti della vacca. Qui bisognerebbe dire che l'atteggiamento gandhiano e' estremamente innovativo, perche' recupera una buona parte della tradizione, diciamo che la vacca e' il simbolo della madre cosmica, la vacca ha una funzione importantissima nella vita del villaggio, perche' la vacca e' quella che da' il latte e quella che aiuta gli uomini ad arare i campi, la vacca con i suoi escrementi fa si' che il villaggio si possa scaldare, si possa cuocere il cibo, nell'economia del villaggio ha una funzione primaria.
Diciamo che alle radici di questo tipo di venerazione ci sono anche dei motivi estremamente realistici, non e' qualcosa di bizzarro, come a noi puo' sembrare. Nella visione gandhiana, e questo mi sembra un suggerimento che puo' essere utile anche per noi, c'e' la possibilita' di usare gli animali domestici, gli animali che ci aiutano, che ci danno i loro prodotti in questo caso il latte in modo benevolo, qui vedete che si puo' profilare l'idea di un'etica della cura che significa che io posso servirmi di un animale senza sfruttarlo, e' quello che nell'etica contemporanea si chiama etica della biocultura, cioe' l'etica degli animali che sono per cosi' dire al nostro servizio.
Dire al nostro servizio e' una espressione che non mi piace affatto, pero' e' l'espressione che viene abitualmente usata dai filosofi che si occupano di questo settore etico. Gli animali che l'uomo ha addomesticato, io credo che Gandhi ci dica una cosa estremamente importante, quando ci fa capire che ci può essere una conciliazione tra la visione etica e la visione economica. Come ci può essere una conciliazione tra l'etica e la politica, in questo senso che l'economia non e' necessariamente l'opposto dell'etica, come noi saremo pronti a pensare, cioè che noi possiamo usare un animale, possiamo servirci dei suoi prodotti, possiamo tenerlo con noi come la vacca nei villaggi indiani, e' un elemento fondamentale per la vita, però garantendo a questi animali tutto il benessere di cui hanno bisogno.
Che cosa si potrebbe fare per essere fedeli all'insegnamento gandhiano? Certamente elaborando un'etica della domesticazione. E' chiaro che il sistema di allevamento che noi abbiamo e' intollerabile, perche' non ha nulla di etico, perche' gli allevamenti intensivi sono la smentita di ogni diritto degli animali; del loro diritto al benessere, del loro diritto a godere di quei minimi beni che sono la luce il pascolo e cosi' via.
Ipotizzare un modello culturale che sia eticamente soddisfacente, cioè che garantisca a questi animali che l'uomo chiama alla vita per i suoi fini, le condizioni fondamentali del benessere, ma esigere veramente questo, quindi gli allevamenti intensivi devono tassativamente sparire; io poi da vegetariana non prendo nemmeno in considerazione l'idea della macellazione, ma e' interessante appunto che Gandhi suggerisce che si può pensare ad un rapporto con gli animali da latte, che non sia un rapporto di brutalita', un rapporto di sfruttamento, un rapporto di dominio cieco.
Questo, mi rendo conto, per noi e' difficile, perche' non possiamo neanche ipotizzare che ci possa essere un'etica in questo settore dominato dallo sfruttamento. Pero' io mi sento di dire che l'etica e' proprio il punto in cui e' piu' necessaria, perche' in fondo qui abbiamo un amatissimo animale da compagnia nei cui confronti l'affetto e la tenerezza e' garantito, e direi che l'etica ha ben poco da aggiungere, noi tutti amiamo i nostri animali, ma nei confronti degli animali che non vediamo, nei confronti degli animali che ci servono, nei confronti degli animali di cui ci nutriamo non c'e' atteggiamento etico, e questo e' estremamente paradossale. Noi dovremmo dire che non bisognerebbe chiamare alla vita un animale, se questo animale non ha almeno il diritto ad una vita degna di essere vissuta.
Ho parlato anche di cose che andavano al di la' del vegetarianesimo, però mi auguro che le questioni di cui ho cercato di parlare questa sera siano connesse all'idea del vegetarianesimo e ci aiutino anche ad andare oltre, a capire tutta la costellazione di questioni che al vegetarianesimo si richiamano, e vi sono legate.

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