Paola Sobbrio
Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te stesso
Liberazione animale e liberazione umana. Due facce della stessa medaglia.
Spesso coloro che difendono il diritto alla vita, alla non sofferenza ed alla libertà degli animali non umani vengono tacciati di occuparsi di cose futili tenuto conto dei grandi problemi di sofferenza ed oppressione che affliggono gli animali umani. A quest’accusa, totalmente infondata e decisamente superficiale, si può rispondere citando, tra tutti ma non solo, “Animal Rights- Human Rights. Entanglements of oppression and liberation” del 2002 di David Nirbert che teorizza un nuovo approccio antispecista che include tutti gli animali( umani e non). Nibert, infatti, considera uomini e gli (altri) animali come mezzi di un sistema capitalistico oppressivo a cui porre fine con un movimento né animalista né “umanista” ma di liberazione della vita a prescindere dal grado evolutivo a cui si appartiene. Si preferisce, infatti, non parlare di specie ma di diversità di grado evolutivo. Per questo si parla di animali umani ed altri animali. Per ricordare all’uomo che è anch’egli un animale. L’uso del linguaggio è considerato di fondamentale importanza nel perseguimento del fine della liberazione. Una cosa infatti è dire macellare un’altra uccidere, una cosa è dire bistecca, un'altra pezzo di cadavere e così via. Si ritiene, infatti, che uno dei motivi per il quale non ci si rende conto dello sfruttamento e dell’oppressione che usiamo verso gli altri animali è l’inconsapevolezza del pubblico. Inconsapevolezza resa possibile dall’uso strumentale del linguaggio e dall’INVISIBILITA’ di certe pratiche.
Questo ragionamento, dice Nibert, è applicabile tanto agli animali umani che agli altri animali poiché “ le stesse pratiche che causano immani sofferenze sugli altri animali lo sono per i lavoratori, per il terzo mondo, per l’ambiente ed i consumatori. Queste tremende conseguenze sono INVISIBILI alla maggior parte di coloro che vivono nei paesi sviluppati”. Pensandoci bene chi potrebbe affermare il contrario?
Max Horkheimer già alla fine degli anni 20 del novecento descrisse la società capitalista come un grattacielo dove ai piani alti vivono i ricchi e i potenti, in quelli intermedi la “gente comune” e, in quelli più bassi il sottoproletariato e nella cantina gli animali: “Vista in sezione, la struttura sociale del presente dovrebbe configurarsi all’incirca così:
Su in alto i grandi magnati dei trust dei diversi gruppi di potere capitalistici che però sono in lotta tra loro; sotto di essi i magnati minori, i grandi proprietari terrieri e tutto lo staff dei collaboratori importanti; sotto di essi – suddivise in singoli strati – le masse dei liberi professionisti e degli impiegati di grado inferiore, della manovalanza politica, dei militari e dei professori, degli ingegneri e dei capufficio fino alle dattilografe; ancora più giù i residui delle piccole esistenze autonome, gli artigiani, i bottegai, i contadini e tutti quanti, poi il proletariato, dagli strati operai qualificati meglio retribuiti, passando attraverso i manovali fino ad arrivare ai disoccupati cronici, ai poveri, ai vecchi e ai malati.
Solo sotto tutto questo comincia quello che è il vero e proprio fondamento della miseria, sul quale si innalza questa costruzione, giacché finora abbiamo parlato solo dei paesi capitalistici sviluppati, e tutta la loro vita è sorretta dall’orribile apparato di sfruttamento che funziona nei territori semi-coloniali e coloniali, ossia in quella che è di gran lunga la parte più grande del mondo. Larghi territori dei Balcani sono una camera di tortura, in India, in Cina, in Africa la miseria di massa supera ogni immaginazione.
Sotto gli ambiti in cui crepano a milioni i coolie della terra, andrebbe poi rappresentata l’indescrivibile, inimmaginabile sofferenza degli animali, l’inferno animale nella società umana, il sudore, il sangue, la disperazione degli animali. [...] Questo edificio, la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale, dalle finestre dei piani superiori assicura effettivamente una bella vista sul cielo stellato.”
Questo tipo di connessione tra le sorti degli animali umani e degli (altri) animali smentisce chi accusa di discriminare gli uomini a vantaggio degli altri animali. Tuttavia, però, poiché non è pensabile giungere alla liberazione della vita senza che vi sia un ripensamento sociale e politico del mondo globalizzato non è possibile accettare compromessi.
Quest’approccio non si chiede, come Bentham, se gli animali possano soffrire ma semplicemente se esistono e se esistono perché debbano essere usati. Non conta il grado di consapevolezza come indicato da Singer e da Regan. Non importa quanto un animale sia sviluppato, né quale sia il suo grado di consapevolezza, non si sforza di dimostrare che l’animale sia intelligente tanto quanto un essere umano adulto ma, semplicemente, non accetta nessun sistema di violenza e sfruttamento e, come dice Noam Chomsky, citato da Nibert, “ La prima cosa da fare, in qualsiasi tipo di cambiamento, è riconoscere le forme di oppressione esistenti”.
In quest’ottica, la Dichiarazione di Cambridge sulla consapevolezza animale, recentemente pubblicata e firmata da diversi neurologi e neurofisiologici del 7 luglio scorso, nulla cambia ma è indubitabile che aggiunge un’argomentazione in più a chi volesse rispondere, ma è ancora necessario?, alla domanda di Bentham e rispondere affermativamente. Tuttavia, la “necessità” di mettere sullo stesso piano animali umani e gli (altri) animali, verificando se hanno un livello di consapevolezza pari a quello umano, oltre a nascondere un ragionamento antropocentrico, perviene anche ad una conclusione errata poiché non è dimostrando la non differenza tra esseri diversi per grado che si porrà fine allo sfruttamento dei non umani, persistendo pur all’interno della stessa specie(animale) umana lo sfruttamento, la schiavizzazione e l’oppressione.
Giusto per richiamare alla mente gli esempi di sfruttamento, schiavizzazione ed oppressione, degli animali umani, più dibattuti e spinosi basta ricordare: il traffico di organi, la prostituzione minorile, la fame nel terzo mondo, lo sfruttamento delle risorse, il lavoro in miniera, il caso del Monte multinazionale accusata di uccidere mediante l’uso indiscriminato di pesticidi gli abitanti delle zone di coltivazione di ananas e banane, la morte a causa di un incendio della fabbrica chicco di 87 bambine cinesi, i suicidi conseguenti alla produzione dei prodotti Apple, la sperimentazione di farmaci su animali (umani) indigenti e per arrivare a casi a noi vicini la morte di centinaia di persone causata dall’inquinamento ambientale, dovuta alla presenza di impianti industriali, a Porto Marghera, Seveso, Taranto, Gela, Augusta ecc.
La liberazione degli animali( umani e non) dovrebbe costituire, dunque, l’obiettivo di tutti coloro che si battono per un mondo migliore, contro lo sfruttamento e l’oppressione, di coloro che credono nella giustizia. Non ci può essere giustizia finché permarranno condizioni d’ingiustizia e non ci può essere liberazione finché permarrà la sofferenza. Il Vangelo lo dice “ non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”. Prendiamolo come un imperativo categorico e facciamone una bandiera simbolo di libertà e lotta contro tutte le ingiustizie.