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Etica e biodiversità: stato dell’arte e prospettive

Donato Matassino

(Cattedra di Miglioramento genetico degli animali in produzione zootecnica - Dipartimento di Scienze zootecniche e Ispezione degli Alimenti - Sezione Tito Manlio Bettini - Università degli Studi di Napoli ‘Federico II’ - 80055 Portici (NA) - Italia. www.mgapz.unina.it; Consorzio per la Sperimentazione, Divulgazione e Applicazione di Biotecniche Innovative, ConSDABI - National Focal Point italiano della FAO (NFP.I - FAO) per la salvaguardia del germoplasma animale in via di estinzione - Azienda Casaldianni - 82020 Circello (BN) - Italia. www.consdabi.org)

(Relazione tenuta al Convegno Nazionale ‘Il Parco antropologico quale modello per il recupero per la tutela e per la valorizzazione della Biodiversità a rischio di estinzione’ Bovino (FG), 22 febbraio 2003)

Sommario
Introduzione. 2.Etica. 3.Biodiversità. 3.1. Tutela della biodiversità e sua rilevanza giuridica. 4. Impostazione sistemica. 5.Conclusioni. 6. Bibliografia.
Autorità, Signore e Signori
sono particolarmente lieto di partecipare a questo primo incontro sulla istituzione di un “‘Parco antropologico’ quale modello per il recupero, per la tutela e per la valorizzazione della ‘biodiversità’ a rischio di estinzione”.
Il titolo scelto può essere considerato un vero e proprio paradigma, quindi un itinerario da seguire per realizzare un modello che serva da esempio per altre Comunità antropiche. Questa opzione sarà foriera di un profondo rinnovamento dell’intero contesto sociale se notevole e sentita sarà la partecipazione delle persone presenti sul territorio. Dai ‘loghi’ riportati e dalle istituzioni qui presenti si può dedurre che questo auspicio potrà presto tramutarsi in una realtà palpitante e di grande vitalità.
Prima di esporre alcune mie considerazioni, mi corre il piacere e il dovere di esprimere agli Organizzatori i miei piú vivi complimenti per questa felice intuizione che sarà sicuramente di sprone per altre Comunità.
L’iniziativa odierna ha il pregio di recuperare e di valorizzare la diversità di questo magnifico territorio che poco dista da quello nel quale sono nato.
Il voler recuperare vecchi rapporti fra la persona e il territorio in cui essa è inserita è più che meritevole di considerazione , specialmente in un’epoca storica di globalizzazione del sistema ‘vita’.
Il Compendio della Consolazione, visibile per la sua maestosità architettonica, può a buon diritto rappresentare per i suoi quasi cinquecento anni di storia un emblema di grande spessore per una valorizzazione delle diversità territoriali esistenti in quanto interpreta magnificamente ”una visione di insieme su un luogo che è stato crocevia di santità e di spiritualità, testimone di una tradizione che ancora oggi si rinnova, pur restando fedele a se stessa”. E’ proprio in questa breve ma semantica sintesi il mirabile messaggio che si vuole inviare alla Comunità antropica del territorio interessato.
La istituzione del ‘Parco antropologico’, così come verrà prefigurato dal dr. Mazzei, sarà sicuramente compendiato in un reale e rinnovato rapporto tra la natura, l’ambiente, il paesaggio e la persona. Questa innovazione si concretizzerà nel conoscere, nel capire, nell’amare, nel tutelare e nel valorizzare tutte le risorse del territorio interessato.
Indubbiamente, la risorsa antropica è quella primaria, ma essa dovrà governare, fruire e godere con responsabilità tutte le altre risorse e agire con umiltà nello spirito del pléroma.
Il ‘Parco’ non dovrà mai essere considerato ‘un problema’, ma un’entità dinamica nel tempo e nello spazio; esso deve essere un momento olistico che si concretizza, in ultima analisi, nel facilitare la realizzazione di un sistema ambientale in grado di favorire il benessere dell’uomo (human welfare state e well being) (figure I e II).
Il ‘Parco’, se ben gestito, sarà foriero di:
(a) un notevole sviluppo dell’imprenditoria locale nell’ambito della ‘ruralità multifunzionale sostenibile’
(b) una forte riduzione dell’ isolamento socio-economico e culturale, con effetto positivo sul ritorno dei “cervelli” e sul ringiovanimento della popolazione antropica
(c) una valorizzazione ‘nutrizionale’ ed ‘extranutrizionale’ delle produzioni animali e vegetali autoctone in funzione della diversità che caratterizza i microagroecosistemi costituenti il ‘Parco’
(d) una notevole rivalutazione delle specificità storiche, turistiche, gastronomiche, architettoniche e paesaggistiche delle microaree geografiche interessate, le cui origini antropiche si perdono nella notte dei tempi.
Dopo questa doverosa ‘premessa’ passiamo al tema del mio intervento che cercherò di sintetizzare in alcuni concetti ‘chiave’, con l’aiuto di trasparenti, rinviando l’ascoltatore al testo ‘in extenso’ per gli approfondimenti.
1. Introduzione
Forse siamo in un periodo caratterizzato da forti 'confronti-scontri' fra culture diverse e dal sorgere di nuovi diritti dell'essere umano e di tutti gli altri esseri viventi, quindi da una nuova visione del sottosistema 'pianeta terra' inserito nel sistema 'cosmo'. Pertanto, questa tendenza culturale sta determinando una profonda revisione della epistemologia (termine coniato dal filosofo scozzese J.F. Ferrier nel 1854), cioè dello studio dei fondamenti e dei metodi della conoscenza scientifica. La stessa impostazione meramente epistemica, cioè accentuazione del solo momento conoscitivo e positivo di contro a quello critico, è in una fase di profonda revisione. E' in atto un intimo, intenso e arcano tormento nel pensare e nell'individuare nuovi modelli comportamentali in grado di interpretare la realtà umana, sociale e fisica. E' palpabile la crisi, forse irreversibile, che inonda un modello fondato prevalentemente sulla sola conoscenza scientifica che si considera l'unica 'esatta' e 'positiva' nell'organizzazione dei 'saperi' e delle 'conoscenze'. Ciò sta a significare che è in atto una revisione critica del modello epistemico di Francesco Bacone, tendente a privilegiare la 'finalità pratica e operativa del sapere', quindi a conferire all'uomo il dominio sulla natura previa una conoscenza basata sul valore dell'esperienza e non sulla mera descrizione della natura stessa; in questo contesto forte è la critica baconiana a tutto ciò che pregiudizievolmente influenza il sapere scientifico; critica che si concretizza nei noti 'idola' baconiani. Lo stesso si può ipotizzare nei confronti del pensiero cartesiano (Descartes): ideazione di un sistema universale, nel quale 'da un principio assolutamente certo si possono dedurre tutti i principi delle singole scienze'. Questo principio di certezza è nell'’io’; da questa identificazione scaturiscono il 'soggettivismo' moderno e il 'razionalismo', quindi l'’io penso’ quale soggetto e oggetto contemporaneamente. Non è da dimenticare l'influenza di Galileo nella quantificazione matematica degli eventi naturali qualunque sia la categoria interessata, purché osservabile e misurabile; pertanto, queste categorie possono comprendere, fra l'altro, quelle proprie della psiche e dei processi socio-culturali.
Certamente un modello epistemico non sembra utilizzabile per rispondere alle infinite istanze di 'conoscenze' avanzate da una società attuale fortemente individualista e sempre piú complessa e avida di soddisfazioni edonistiche, in quanto esso ha favorito una visione – prima - e un intervento antropico – poi - tendenti a considerare 'scientificamente e operativamente domabile' la natura.
Il binomio 'futuro del cosmo-futuro dell'uomo' sarà sempre piú inscindibile. L'evoluzione sia del cosmo (quindi del pianeta terra) che socio-culturale dell'uomo può essere interpretata come un fine intrinseco dello sviluppo dell'universo. Questa interpretazione non vuole essere una maniera diversa di contrapposizione all'evoluzionismo darwiniano; essa è piú interessante della mera memoria dell'evoluzionismo biologico. Infatti, l'evoluzionismo del cosmo e del pianeta terra sono in parallelo a quello antropico. L'uomo è una componente, fondamentale, del sistema. Egli è l'artefice 'principe' del cambiamento. L'avvenire dell'uomo è fortemente legato a quello del cosmo. La 'capacità al costruttivismo' sia dell'uomo che degli altri esseri viventi è la 'chiave di volta' per un armonico e sano evoluzionismo del pianeta terra e del cosmo, quindi dell'uomo.
Paradossalmente, è l’uomo che deve svolgere il ruolo di guida nel processo dinamico che caratterizza la natura convinto che, rispettando le altre entità biotiche presenti, realizza il suo ‘benessere’ e la sua funzione di lasciare ai posteri un ambiente sempre piú vivibile.
Pertanto, l'alterità deve armonicamente coniugarsi con l'unicità dell'uomo, che rimane il soggetto morale unico in grado di effettuare scelte consone a 'un'amministrazione illuminata' dell'ambiente; uomo che non può essere relegato alla funzione di mero 'cittadino biotico'.
Qualsiasi 'sistema complesso', identificabile con il singolo essere vivente, può esplodere o implodere in funzione dell''essere', del 'poter essere' e del 'dover essere'. Queste tre diverse condizioni, specialmente con riferimento alla persona umana, richiedono profonde e articolate riflessioni che obbligatoriamente conducono a 'canoni etici'. Tra questi ultimi si potrebbe ipotizzare un 'federalismo biologico' in grado di 'riconferire' importanza e dignità alle 'autoctonie', cioè alla 'biodiversità antica autoctona'. Questo 'federalismo biologico' configura ‘un nuovo soggetto nel mondo del diritto per la contestuale presenza di quegli elementi che determinano la rilevanza giuridica di un bene e che consentono di riconoscerne la giuridicità’.
2. Etica
L'etica viene intesa come quella branca della filosofia che si interessa in -'senso ampio' - 'di qualsiasi aspetto del comportamento umano riguardante la sfera politica, giuridica o morale, e in -'senso stretto' - 'della sfera delle azioni buone o cattive' indipendentemente da quanto normato giuridicamente.
Nell'ambito della riflessione sulla morale, vi è una tendenza a considerare come 'etica' 'una filosofia prevalentemente pratica, impegnata in difesa di determinati valori' e come 'meta-etica' 'una filosofia con pretese prevalentemente teoretiche e conoscitive'.
L'unicità può essere identificata nella 'persona' (uomo) o nel 'soggetto' (qualsiasi componente il cosmo; uomo compreso).
Considerando che per S. Paolo il pleròma è la 'pienezza dell'essere', qualsiasi 'realtà' ha il diritto di essere riconosciuta per ciò che a essa è dovuto in un rapporto di 'armonia globale'. L''armonia globale', identificabile con la 'complessità', non può che rispondere ai canoni dell'impostazione sistemica. Nella 'pienezza' sono impliciti due concetti: la 'soggettività' e il 'valore', i quali possono anche interessare in modo indipendente una realtà. Pertanto, la filosofia del pleròma comporta una scelta di valori pur nel rispetto della soggettività. La tutela del pleròma non potrà, pertanto, essere realizzata su concetti di linearità, ma di 'complessità'.
Operando secondo la filosofia del pleròma, è possibile inserire pienamente nel sistema 'vita dell'uomo' l'etica ambientale ('environmental ethics') di cui parleremo successivamente.
Non essendo chiaro il vero concetto di 'natura', forse non è errato rifarsi a Eraclito: 'la natura ama nascondersi'; pertanto, essa ha un carattere 'enigmatico' o di 'nascondimento'; eppure, apparentemente, essa non ci nasconde alcuna cosa. Tuttavia, la natura rappresenta per noi il problema piú inquietante, se non il primo; problema che non può essere sottovalutato anche se Goethe dice 'anche ciò che vi è di piú innaturale appartiene alla natura'.
Al di là di qualsiasi 'riduzionismo scientifico' o 'semplificazione filosofica', l'asserzione agostiniana ('factus sum mihi magna quaestio') conserva tutta la sua valenza nel pensare che quello della natura è un problema di non semplice soluzione.
Si può ritenere che esista un rapporto primigenio tra uomo e natura; rapporto che li 'coinvolge' reciprocamente, ma, per quanto mi riguarda, con un'attribuzione ontologica privilegiata all'uomo, se non di carattere 'numinoso'. Questa visione è ampiamente giustificata anche dall'abissale differenza tra la vita dei viventi secondo la 'natura' e la vita dei viventi secondo la 'natura umana'; la seconda ha la capacità e il dovere di individuare la soluzione migliore del rapporto 'uomo-natura', in quanto l'uomo è portatore di una scienza 'antica': la sapienza. Operando con sapienza, l'uomo può distinguere, sulla base della concezione hegeliana, una 'natura in sé' da una 'natura per noi', conscio che la prima non potrà mai essere totalmente inglobata nella seconda, se mai è la natura per noi' che, se non gestita con lungimiranza e con 'amore', può ritornare alla 'natura in sé'. Indubbiamente, quest'ultima ha avuto un grande ruolo e significato vitale per i nostri antichissimi antenati. La gestione della 'natura per noi' non potrà in alcun caso essere assimilata alla 'natura in sé', in quanto quest'ultima è tale perché è avulsa da qualsiasi intervento antropico; probabilmente, oggi, questo concetto non ha piú significato assolutistico. Infine, sarebbe illusorio da parte dell'uomo trasferire 'sic et simpliciter' le acquisizioni proprie della 'natura per noi' alla 'natura in sé'
A mero titolo di esempio, si ricorda che già nel 450 a.C., la questione ambientale era presente nella gestione governativa: Artaserse I normò la utilizzazione delle foreste di cedro del Libano, imponendo tutta una serie di limitazioni nel taglio di questa specie. Non è dato sapere, storicamente, almeno fino a oggi, le motivazioni di questa normazione; si può ipotizzare l'eventuale conseguenza negativa del disboscamento sui cambiamenti climatici e sull'erosione del suolo, quindi il verificarsi di processi di desertificazione.
Negli ultimi 3-400 anni si è avuto un continuo incremento della sensibilità dell'uomo verso un approfondimento del concetto 'protezione della natura'. Specialmente nel 19. secolo, grazie al geografo esploratore tedesco von Humboldt che formulò la tesi dell''interdipendenza tra l'umanità e le altre forze dell'universo', si accentua sempre di piú l'attenzione verso i rapporti 'uomo-natura', prendendo particolarmente in considerazione la filosofia indù di una visione 'olistica' dell'universo.
Interessante è l'analisi compiuta da Küng qualche decennio fa nel suo 'Progetto per un'etica mondiale'.
Il rispetto dell'ambiente richiederà sempre di piú un'attenzione preminente, pur nell'ottica dell'incremento delle produzioni per soddisfare le esigenze in nutrienti di una popolazione che, non solo aumenta numericamente, ma vuole che migliorino continuamente le qualità nutrizionali del cibo. Nel mondo industrializzato il concetto di 'risorsa' è identificato con quello di qualcosa da sfruttare, mentre sarà necessario considerarla come un bene da tutelare, da conservare e da utilizzare con oculatezza programmatoria.
Sappiamo che la parola 'risorsa' è derivata dal francese 'ressource' che, a sua volta, deriva dal latino 'resurgere' (= risorgere). La risorsa può essere definita 'qualsiasi fonte o mezzo che valga a fornire aiuto, soccorso, appoggio, sostegno, specialmente in caso di necessità'.
E' noto che, con l'avanzare del processo di globalizzazione nel campo culturale e socio-economico, la risorsa 'naturale' sta assumendo un ruolo sempre piú importante, se non insostituibile, e, presumibilmente, sarà l'unico mezzo in grado di affrontare in chiave risolutiva gli innumerevoli problemi che interessano l'umanità del pianeta terra ai fini di realizzare un sistema socio-economico sempre piú proteso verso traguardi dinamici, spazialmente e temporalmente, propri di uno sviluppo 'sostenibile' . La sostenibilità di qualsiasi processo socio-economico è realizzabile solo con la 'tutela' di qualsiasi risorsa naturale; 'tutela' che comprende la individuazione, la conoscenza, la conservazione e la valorizzazione della predetta risorsa.
E' in atto un forte processo irreversibile di consapevolezza, da parte dell'uomo, del diritto della propria esistenza e di quella del pianeta terra, senza rinunciare ai benefici acquisiti o acquisibili con le nuove scoperte scientifiche. Tutto ciò si ripercuote anche sulle scelte degli stili di vita, diversificati per cultura e per tradizione.
La rivoluzione culturale in corso, nella visione e nella gestione del territorio, può essere considerata l'avvenimento piú importante, in un approccio storico, dell'inizio del terzo millennio.
La problematica connessa al rapporto fra conservazione dell'agroecosistema 'naturale' e gestione dell'agroecosistema 'culturale' (antropico) deve innescare processi comportamentali antropici tendenti a unire e a integrare gli interventi, piú che a dividerli, al fine di perseguire il raggiungimento di obiettivi comuni; obiettivi che non possono essere racchiusi in una mera visione teleonomica monodiana della vita sul pianeta terra, né in una semplicistica visione teleologica del cosmo che figurativamente è identificabile con un vero e proprio caleidoscopio di realtà e di organizzazione.
E' indubbio che l'attività dell'uomo (dominio dell''Homo sapiens') è foriera di cambiamenti molto piú repentini e globali di quelli che opera la 'natura' con i suoi peculiari tempi di lentezza, di gradualità e di 'localismo'. Da una vasta continua profonda riflessione su questo dualismo comportamentale è scaturita l''etica ambientale' ('environmental ethics') che, ormai, costituisce una scienza gemmata dalla filosofia morale. Questa etica si occupa di individuare e di definire regole dinamiche, nel tempo e nello spazio, che devono essere adottate tutte le volte in cui un'azione antropica ha effetto diretto o indiretto sull'intorno biologico e/o abiologico. Un apporto notevole all'individuazione di un rapporto 'uomo-natura' meno portatore di contrasti è venuta dall'opera di Leopold (conservatore di foreste negli Stati Uniti d'America) quando parla di storia naturale 'rurale' e suggerisce una profonda revisione nella gestione della 'terra' nel senso di utilizzazione di questa con il fine di una seria 'conservazione'; quindi, 'la terra' è una 'comunità' a cui l'uomo appartiene e ove egli deve 'abitarvi senza saccheggiarla' e, pertanto, è necessario sviluppare fortemente il concetto di una vera e propria 'Land Ethics', le cui fondamenta sono i continui 'saperi' sui rapporti fra le diverse 'componenti' o 'variabili' di un 'ecosistema'.
L'impostazione 'leopoldiana' non è, a mio parere, condivisibile quando considera l'uomo semplice 'cittadino biotico'; viceversa, è condivisibile quando essa afferma che 'una cosa è giusta (corretta eticamente) quando tende a preservare l'integrità, la stabilità e la bellezza della comunità biotica, mentre è illecita quando tende nel verso opposto'.
L’intensificazione della globalizzazione dell’economia e degli eventi culturali e delle migrazioni umane sollecita l’uomo a individuare nuovi percorsi comportamentali che dovranno privilegiare: la convergenza dei diversi ‘saperi’ e il confronto critico tra punti di vista diversi e antitetici. Tutto ciò al fine di edificare la comune 'città possibile'; città che non può identificarsi con la ‘Cyber Urbes’, nella quale viene a mancare qualsiasi legame di tipo ‘geo-psichico’ e ‘culturale’ con il territorio, quindi con la storia di ciascuno di noi inserito in un contesto sociale e dinamico, ma fortemente ancorato alle tradizioni peculiari di un dato territorio. In altri termini, urge ‘il colloquio’: ‘mettere in comune’, su base argomentata, le motivazioni semantiche in grado di traghettare la società in questo contesto di crisi di valori e di identità, utilizzando ‘al meglio’ sia le diversificate competenze esistenti sia le tradizioni di pensiero.
Senza tema di smentita, sono da condannare tutte le soluzioni basate su: ‘arroccamento solipsistico’, ‘sapere riduzionistico’, tentazione estremistica e fondamentalismo.
L'etica ambientale è stata definita, fra l'altro, 'l'insieme dei principi etici in base ai quali regolare la relazione tra l'uomo e la natura'. Pertanto, l'etica e la natura non sono piú due 'categorie' diverse, quindi la gestione della seconda, richiede da parte dell'uomo, forte riflessione etica. La problematica ambientale riflette fortemente il dibattito sulla filosofia ambientale, specialmente di tradizione anglo-sassone.
Data l'importanza che stanno assumendo questa branca della bioetica e la sua forte interdisciplinarietà, sempre piú nutrito è il numero di studiosi delle diverse discipline interessati all'argomento. Pertanto, non si può pensare che la soluzione della 'complessità ambientale' possa essere affidata a una scienza: 'ecologia', in quanto la gestione dell'ambiente è talmente 'complessa' che trascende notevolmente dalle competenze degli scienziati dell'ambiente.
Potter nel coniare la parola 'bioetica' ha avuto la felice intuizione della necessità di non considerare avulsa dai rapporti fra gli individui l'importanza della tutela della biosfera: solo da una relazione armonica fra 'uomo' e 'natura' può scaturire una possibilità di vita consona a soddisfare le varie esigenze per le future generazioni. Una delle definizioni della bioetica è 'lo studio sistematico delle dimensioni morali, comprensivo sia della visione morale, sia delle decisioni, sia della condotta, sia delle politiche circa le scienze della vita e della salute, che utilizza una varietà di metodologie etiche con una impostazione interdisciplinare'.
Si deve a Jonas l'introduzione del concetto 'Il principio della responsabilità', che deve sempre integrare quello della 'libertà'.
E' noto che in ecologia vi è un marcato pluralismo etico che, d'altronde, è tipico della nostra società. Il problema etico non è solo quello inerente al rischio del 'benessere' dell'uomo, ma esso si sta ampliando nel considerare la funzione dell'uomo come soggetto biologico dell'intero sistema ambientale.
Il Bartolammei sottolinea con forza che l'uomo non può essere considerato un semplice 'cittadino biotico' (concezione leopoldiana, come già detto) in quanto ciò comporta l'esclusione dell'uomo quale soggetto morale.
Le stesse teorie dei 'diritti della natura' o dei 'diritti degli animali e degli esseri viventi non umani' sono, a mio avviso, di difficile condivisione. Infatti, è l'uomo che con il suo intervento essenziale e prioritario è l'unico in grado di discernere e stabilire, quindi, diritti diversificati al fine di realizzare quel sistema di vita armonioso che si può identificare con un' “amministrazione illuminata” dell'ambiente nel suo significato piú ampio.
La vera autonomia della ricerca scientifica non consiste nella “libertà di fare tutto ciò che è tecnicamente possibile” ma nel continuo confronto con altri sistemi: sistema dei valori etici, sistema sociale, sistema delle istituzioni, sistema legislativo. A esempio, nel caso degli organismi geneticamente modificati (OGM), l’efficace monitoraggio a lungo termine e la reale valutazione di eventuali rischi a medio e a lungo termine , la tutela della biodiversità, la valorizzazione delle biotecnologie per il recupero ambientale sono tutte attività di ricerca da supportare.
Una realtà è difficile da confutare: l'interdipendenza fra uomo e altri componenti la natura.
Le prime riflessioni risalgono al 1974 (Blackstone, Stone e Postmore). In sintesi, questo pluralismo è conducibile a due correnti di pensiero: 'Anti-antropocentrismo' e 'Antropocentrismo'; la prima comprende: Etica della terra, Ecocentrismo, Biocentrismo e Etica dei diritti della natura, Ecofemminismo e 'Deep Ecology Movement', Pluralismo; la seconda: Antropocentrismo forte e 'cow-boy ethics', Antropocentrismo moderato, Utilitarismo, Etica della responsabilità, Etica ambientale cattolica.
Tuttavia, il 'principio di responsabilità verso l'esistente e, ancora più, nei confronti delle future generazioni può essere il minimo comune denominatore delle varie teorie.
Un tentativo di razionalizzare le argomentazioni inerenti alla relazione tra 'cultura' della vita umana e 'cultura' ecologica è quello suggerito da Lombardi Vallauri, che ha rappresentato il 'tutto' con 4 cerchi concentrici:
(a) umanesimo di tipo spiritualistico, metafisico
(b) animalismo di tipo individualistico, concernente gli animali superiori
(c) ecologismo olistico sotto i due aspetti della sopravvivenza e della varietà, bellezza, ricchezza
(d) ambientalismo esteso ai paesaggi umani.
Esamineremo ora, brevemente, queste 4 correnti di pensiero, integrandole con altre riflessioni.
(a) Umanesimo spiritualistico o metafisico: l'uomo è la realtà centrale del cosmo, perché è dotato di una dignità preminente su tutto il 'creato'; dote innata per la sua funzione 'transcendente' di essere e di valore. Trattasi di un cultura della vita assolutamente di tipo 'antropocentrica' e sociologicamente 'cristiana'. La radice di questa visione è quella biblica, ove l'uomo non è mai citato come uno degli animali; viceversa, gli 'ambientalisti', 'ideologicamente' estremi, spesso si esprimono in termini di 'uomo' e di 'altri animali'. Nel tempo, questa visione dell'uomo, con radici anche nell'umanesimo' greco (il 'platonismo' con il suo spiritualismo), confluisce nella scolastica cristiana medievale e nella neo-scolastica per poi accentuarsi con il 'cartesianismo' (netta, se non assoluta distinzione fra realtà autocosciente e realtà materiale) e con il 'kantismo' (primato assoluto dell'io trascendente e dell'etica).
(b) Animalismo individualistico: tutela degli animali superiori in quanto 'senzienti' cioè dotati di 'sensitività' , quindi capaci di distinguere il dolore e il piacere: il primo da evitare e il secondo da massimizzare. Questa visione animalista sfocia nel riconoscimento di diritti all'animale singolo e non alla specie: è il singolo che è dotato di capacità sensitiva al piacere e al dolore. A questa concezione si rifà l'utilitarismo inglese che, entro certi limiti, può ritenersi affine all'aristotelismo.
(c) Ecologismo olistico: è l'affermazione del primato della natura. A differenza dell'animalismo individualista, questa corrente di pensiero tende a tutelare l'armonia dell'insieme di tutte le componenti dell'ecosistema, quindi la natura in sé stessa. Pertanto, il diritto del singolo viene considerato 'secondario' rispetto al primato dell''insieme': primato che può interessare anche la bellezza, la varietà e la ricchezza di un dato ambiente. La tutela di queste caratteristiche di un ecosistema 'naturale' è fondamentale per la realizzazione di una realtà consona al miglioramento della qualità della vita.
(d) Ambientalismo: è un miglioramento della visione dell'ecologismo olistico nel senso che viene compreso tutto l'ambiente in cui è inserito l'uomo: la natura e tutti i beni culturali.
A complicare il tutto, vi è il 'riduzionismo' scientifico-tecnologico' con le relative conseguenze dell'ordine interpretativo e di quello etico. Qualsiasi essere vivente, uomo compreso, è la sommatoria di materia, di energia e di informazioni. Pertanto, non vi sono elementi in grado di differenziare le concezioni delle categorie dei viventi: tutti i valori si equivalgono. E' facile dedurre che il 'riduzionismo scientifico-tecnologico' può sfociare nel 'riduzionismo nichilista' che, indubbiamente, è la massima espressione del pensiero in chiave sia di anti-'umanesimo metafisico' sia di anti-'animalismo'. Possiamo ritenere che il prevalere in certe società, ritenute economicamente avanzate, della concezione propria del 'riduzionismo scientifico-tecnologico' possa instaurare iniziative umane tali da favorire rapidamente il verificarsi di catastrofi ambientali mai avutesi.
Parafrasando alcune riflessioni della Battaglia, è possibile riconoscere uno 'status' morale a tutti i componenti del cosmo?' Limitatamente alla biosfera del pianeta terra, l’ “egualitarismo interspecifico” può ritenersi davvero il postulato piú idoneo per estendere i confini della comunità morale'? La risposta potrebbe essere in quella branca della filosofia morale di oggi che è l''etica della cura'. Questa etica, però, coincide con il noto imperativo morale dell' “alterità” o del 'prossimo' umano o della solidarietà, cioè di 'preoccupazione per il benessere di un altro' senza riscontro di 'reciprocità '.
Il rapporto 'uomo-natura' può essere considerato del tipo 'odio-amore': piú l'uomo gestisce la natura, piú la conosce, ma piú questa evidenzia la sua imprevedibilità e/o la sua contrapposizione; pertanto, possiamo ritenere che questo rapporto dalle origini nebulose rimarrà sempre conflittuale, entro certi limiti, ma aperto continuamente a nuove e dinamiche soluzioni.
Per quanto mi riguarda, condivido quella che viene ritenuta una posizione 'antropologica moderata': una modificazione di una 'realtà' naturale è da perseguire se è diretta alla realizzazione del 'bene comune'. Da ciò scaturisce un interrogativo: in che modo e in che misura l'uomo può modificare la suddetta realtà e quali sono i rischi relativi di questa azione? Ancora una volta, probabilmente, bisognerà ricorrere alla soluzione del problema con l'ausilio di un 'sistema complesso' ove alla componente etica va attribuito un 'valore' non epidermico.
Il pianeta terra si sta avviando verso rapporti sempre piú 'virtuali' e sempre meno 'virtuosi' fra ed entro la comunità di uomini. Trattasi di una tendenza che potrà essere foriera di gravi 'guasti' nei rapporti sociali che potrebbero essere 'irreversibili' per un lungo periodo di tempo. Da questa facile previsione scaturisce la necessità, da parte dell'uomo, di impegnare tutto il suo arsenale 'culturale' per ridurre, in prima istanza, e per eliminare, in una seconda fase, gli effetti negativi del 'virtualismo'.
Non bisogna dimenticare che l'uomo non vive da solo sul pianeta terra, ma con la vita e la diversità biologica che esso ospita ed entro l'ambiente che l'attività di tanti organismi costruiscono.
Al n. 34 della lettera enciclica 'Popularum progressio' di Paolo VI si legge: Economia e tecnica non hanno senso che in rapporto all'uomo che devono servire. E l'uomo non è veramente uomo che nella misura in cui, padrone delle proprie azioni e giudice del loro valore, diventa egli stesso autore del proprio progresso, in conformità con la natura che gli ha dato il suo Creatore'.
1. Biodiversità
L’uomo di oggi tende sempre di piú verso qualche cosa che, ci sembra, allontani il suo ‘essere’ da quegli schemi comportamentali – in senso lato - che si possono identificare con quelli definibili ‘naturali’. In altre parole, possiamo dire che egli privilegi l’ ‘artificiale’ con conseguente smarrimento del ‘naturale’. In questa spasmodica ricerca del ‘nuovo’ e del ‘diverso’ dal ‘naturale’, l’uomo è dominato da una psiche fortemente protesa a un continuo stato di ‘insoddisfazione’, quindi tende a comportarsi in un modo completamente opposto a quelli che sono i canoni di una vita basata sull’alterità e sull’armoniosa convivenza fra gli esseri viventi. Vi è il pericolo, a livello dell’intera società antropica, che il ‘virtualismo chimerico’ potrà personificarsi con il ‘virtuosismo’, quindi con l’affermarsi di un comportamento totalmente opposto a quello proprio dello spirito del ‘pleròma’. Il pericolo reale di questo allontanamento dal ‘naturale’ viene a concretizzarsi in un totale annullamento di quanto dice J. Mchtalle: ‘Il futuro del passato è nel futuro, il futuro del presente è nel passato e il futuro del futuro è nel presente’.
In questo sempre attuale principio, il ‘naturale’ è da considerarsi la conditio sine qua non per il raggiungimento di dinamici stati di ‘benessere dell’uomo’ sotto l’aspetto psichico, fisico e sociale (human welfare state e well being).
Il ‘naturale’ può farsi coincidere con la ‘biodiversità’, quindi con la necessità di una sua ‘tutela’.
Nel 19. secolo, prende corpo, nella comunità scientifica ambientalista, il potenziale pericolo di estinzione delle specie viventi sul pianeta terra (compresa quella umana), sebbene Darwin ponesse questo fenomeno nella dinamica della selezione naturale. E' difficile stimare il tasso di estinzione naturale delle specie viventi. Indubbiamente, esso è variato nel corso delle ere geologiche. Wilson stima, nel 1988, una frequenza di 17.500 estinzioni per anno su una valutazione di specie viventi variabile fra i 4 e 10 milioni.
Nel campo delle produzioni animali la selezione da parte dell'uomo, orientata verso elevati livelli produttivi, ha comportato una perdita di diversità biologica quanto mai allarmante: si stima che dei circa 5.500 tipi genetici di animali domestici presenti sul pianeta terra, il 13% si è già estinto e circa il 30%, come si evince dalla tabella I, è ad alto rischio di estinzione. Sebbene l'estinzione di una specie sia un fenomeno che rientra nella selezione naturale, l'intervento dell'uomo ha notevolmente amplificato questo fenomeno di migliaia di volte con un'azione talvolta devastante, intaccando le basi del meccanismo della biodiversificazione, fino a un progressivo restringimento del numero dei ‘diversi’.
Contrariamente a qualsiasi previsione catastrofica degli ambientalisti del 19. secolo, la popolazione umana è passata dai circa 5 milioni di individui (10.-12.000 anni fa) ai circa 150 milioni del 3.000 a.C. ai circa 250 milioni alla nascita di Cristo (valore piú o meno invariante sino al 1.000 d.C.) ai circa 450 milioni nel 1.500 d.C. a circa 1 miliardo nel 1.800 d.C. a circa 1,6 miliardi nel 1.900 d.C. a circa 2,5 miliardi nel 1950 d.C. a circa 6 miliardi del 2000 d.C..
L’espressione ‘biodiversità’ venne proposta per la prima volta in occasione del ‘Forum Nazionale sulla BioDiversità’ svoltosi a Washington nel 1986, ed è attribuita a Walter G. Rosen. Il termine deriva dalla contrazione in una sola parola dell’espressione ‘diversità biologica’. Il successo del termine è dovuto in particolare all’opera di Wilson e Peter intitolata ‘Biodiversità’, pubblicata nel 1988.
La biodiversità, definita dalla Commissione Europea Agricoltura (DG AGRI, 1999) come ‘…..la variabilità della vita e dei suoi processi includente tutte le forme di vita, dalla singola cellula agli organismi piú complessi, a tutti i processi, ai percorsi e ai cicli che collegano gli organismi viventi alle popolazioni, agli ecosistemi e ai paesaggi’, è da considerarsi una vera e propria, se non unica, ricchezza reale.
La biodiversità, infatti, quale espressione di una diversità di informazione genetica, è lo strumento principe che permette alla natura di sincronizzarsi alla velocità dei cambiamenti ambientali rappresentando, contemporaneamente, l’anello di congiunzione con il passato e la base del divenire biologico. E' merito della diversità biologica il continuo miglioramento qualitativo dell'informazione, quindi del grado di fitness o successo biologico di un dato tipo genetico al variare delle condizioni ambientali. E’ la intrinseca divergenza dell'informazione genetica che induce innovazioni, mentre i processi biologici convergenti (differenziamento e sviluppo embrionale) realizzano un progetto genetico legato a informazioni presenti, quindi poco modulabili.
La diversità 'biologica antica autoctona' può essere identificata con la 'forma' aristotelica, cioè con la realtà. Questa può essere pensata come il binomio statico 'materia e forma', che si concretizza in quello dinamico 'potenza e atto'. La 'potenza' è l’idoneità della materia a svilupparsi in una determinata forma. L''atto' è la realizzazione di una data potenza e si concretizza nell''entelèchia', cioè nello stato di perfetta attuazione raggiunto dalla sostanza. Il passare dalla 'potenza' all''atto' non può essere considerato come un evento 'definitivo', ma ogni istante del divenire altro non è che l'attuazione di un precedente istante di potenza. Pertanto, tutto ciò che è presente nel cosmo (pianeta terra compreso) può identificarsi con un processo dinamico nel tempo e nello spazio.
La biodiversità può essere paragonata a una ‘biblioteca di volumi’ non rimpiazzabili, dove le parole sono le ‘risorse genetiche’, i libri sono le ‘forme di vita’ che contengono i ‘codici genetici’ e l’edificio che li contiene è l’ecosistema, di cui l’uomo è parte integrante.
La biodiversità non è la semplice somma del numero di specie che popolano il pianeta terra, ma è indice di ‘coevoluzione’; ovvero, tutte le specie che popolano un determinato ecosistema si sono evolute assieme, reciprocamente influenzandosi e influenzando l’ambiente circostante e rappresentano il frutto di trasferimenti ‘naturali’ di geni sottoposti a ‘verifiche combinatorie’ di lunga durata.
La diversità biologica è l'unica che può permettere domani di disporre di geni atti a favorire la 'capacità al costruttivismo' degli esseri viventi in occasione di cambiamenti, oggi imprevedibili, sia delle condizioni ambientali sia delle esigenze in nutrienti dell'uomo. Pertanto, la riduzione o l'assenza di variabilità genetica comporta una diminuzione (o scomparsa, nei casi estremi) della capacità omeostatica o di autogoverno del sistema biologico, con il rischio di perdere informazioni che non sono piú recuperabili.
Qualsiasi germoplasma è portatore di civiltà antiche e di vecchi equilibri biologici, la cui funzione e il cui ruolo non è detto che siano finiti, soprattutto in considerazione del comportamento delle singole famiglie geniche, che si concretizza in un vero e proprio processo di conversione genica democratica, con funzione principe di rete di mutazione. Tutto ciò deve significare che è necessaria una migliore conoscenza della flessibilità del codice genetico (DNA), unico e mirabile modello di organizzazione da imitare. Pertanto, il dinamismo delle tentazioni scientifiche deve condurre a individuare un percorso tale che sia incontro di analisi, di esperienze e di programmazione di una nuova cultura della politica scientifica e della gestione del territorio considerato nella sua globalità.
La biodiversità può essere considerata un vero e proprio bene ‘culturale’ in quanto patrimonio connaturato e connesso all’antropizzazione dell’ambiente peculiare di una determinata ‘nicchia ecologica’; anzi, partendo dalla conoscenza dei profondi e fantastici meccanismi biologici operanti in natura, specialmente del germoplasma antico e autoctono, siamo sicuri di contribuire a fornire alle future generazioni esempi indelebili di vita di relazione, di vita di solidarietà, di vita sociale; in sintesi, a stabilire un insostituibile connubio tra la tutela (recupero, conservazione, valorizzazione) di un germoplasma antico e l’evoluzione culturale di un popolo.
Da analisi di 'sistemi produttivi di nicchia' sono scaturiti comportamenti culturali umani di grande interesse per l'antropologia e per le scienze a questa connesse. Il salto di qualità culturale risiede nel fatto che l'interpretazione della statica e della dinamica antropica di un sistema 'di nicchia' richiede la profonda conoscenza di tutte le variabili del sistema, tra le quali quelle biologiche (diversità, segnatamente) svolgono un ruolo primario nel favorire, in modo diversificato, l'espressione o la manifestazione di quella meravigliosa qualità di ciascun essere vivente che è la sua 'capacità al costruttivismo'.
Un esempio del rapporto armonico tra il ‘germoplasma antico autoctono’ e la Comunità di uomini di un determinato territorio è riportato da Mazziotta e Gennaro nel loro volume sulla tutela e la valorizzazione del tipo genetico autoctono caprino ‘Girgentana’, in cui un intero capitolo è dedicato a un ‘famoso’ allevatore di Girgentana: Ballarò Francesco detto Gino, consapevole del suo ruolo di ‘allevatore custode’. Sembra di leggere una favola dei miei tempi: ‘C’era una volta Ballarò Francesco detto Gino che viveva felice e contento con le sue Girgentane in un castello incantato nascosto dalle nuvole in cima a una montagna, ...’. E’ un figlio ‘d’arte’ (otto generazioni di allevatori di capra Girgentana). Una volta per essere considerato ‘capraio’ bisognava allevare solo la Girgentana, dice il sig. ‘Gino’. Tutto il capitolo è permeato dalla visione singolare, ma affascinante, di un rapporto amorevole fra ‘Gino’ e le sue capre; d’altronde, è noto che tra l’’animale uomo’ e l’animale è possibile instaurare un armonioso rapporto solo a condizione che vi sia, prima di tutto, una simpatia reciproca; il buon ‘Gino’ sprigiona continuamente questa simpatia attraverso tutta una gamma di segnali che vengono percepiti e interpretati adeguatamente solo dalle sue capre che, regolarmente, contraccambiano e che ‘Gino’ capta e utilizza per migliorare lo stato di benessere dei suoi animali, effettuando anche una periodica ‘lucidatura’ delle corna. ‘Gino’ è un allevatore amante dei suoi animali e orgoglioso di tutti i premi ricevuti, compresa una targa d’oro, per l’elevato livello produttivo raggiunto, e continuamente incrementato negli anni, dal suo allevamento. Grazie all’attività di capraio Gino ha potuto inserire la sua famiglia in un contesto sociale piú che dignitoso. ‘Gino’ alla sera è molto stanco, ma tanto felice di avere trascorso un’altra giornata con le sue capre Girgentane che lo ripagano infondendogli grandi dosi di ottimismo e di passione per il suo allevamento.
Nel passato, alti livelli di diversità culturale sono dipesi da alti livelli di diversità biologica, che a loro volta hanno adeguatamente sostenuto i primi. L’importanza di questa dipendenza sta iniziando a essere nuovamente riconosciuta nella gestione di sistemi di risorse tradizionali.
La diversità biologica deve essere considerata anche ai fini della produzione di ‘beni materiali’ o ‘servizi’, quali, ad esempio, i servizi di gestione e presidio ambientale di aree geografiche altrimenti destinate a essere abbandonate, con tutti gli effetti conseguenti. Pertanto, le risorse genetiche autoctone danno un contributo al ‘terziario verde’ di natura non commerciale. L’imprenditore agricolo, grazie alla sua innata propensione all’inventiva, non svolgerebbe piú un ruolo di semplice controllo e di adattamento alle innovazioni messe a punto fuori del contesto in cui egli opera, ma, come tutti gli esseri viventi, ritornerebbe a evidenziare la sua elevatissima 'capacità al costruttivismo'. A tal fine, il recupero e la valorizzazione della diversità possono avere una valenza superiore alla stessa innovazione di processo e/o di prodotto.
La risorsa genetica riveste un ruolo insostituibile, specialmente per quanto concerne le caratteristiche qualitative degli alimenti.
Le continue acquisizioni di conoscenza delle caratteristiche chimico-biologiche degli alimenti prodotti dai diversi esseri viventi ‘gestiti’ dall’uomo evidenziano in modo inconfutabile la immensa ‘ricchezza di diversità’ nella composizione degli alimenti provenienti dal ‘regno animale’ e dal ‘regno vegetale’, in virtú delle differenze biologiche tra i gruppi tassonomici e, entro il gruppo tassonomico, tra i singoli individui. Pertanto, la biodiversità è la conditio sine qua non per la produzione di alimenti caratterizzati da proprie ‘specificità nutrizionali’ ed ‘extranutrizionali’.
I tipi genetici autoctoni (TGA) potranno svolgere una vera e propria funzione di ‘banca genica’ da cui attingere informazioni per ottenere prodotti di origine animale diversificati per il loro contenuto quali-quantitativo di biomolecole tali da soddisfare le diverse esigenze ‘nutrizionali’ ed ‘extranutrizionali’ dell'uomo in relazione al suo status fisiologico
Un prodotto ‘tradizionale tipizzato’ (figura III) non significa staticità, ma dinamicità, nel senso di continua innovazione del processo produttivo per migliorare continuamente la qualità totale dello stesso.
Assume importanza, ai fini salutistici dell'uomo, il quadrinomio: “area geografica-tipo genetico autoctono-prodotto ‘tradizionale tipizzato’ - benessere uomo” (Figura IV).
La necessità di valorizzare le potenzialità intrinseche del germoplasma autoctono si inserisce pienamente e integralmente nell’emergente concetto di 'ruralità multifunzionale sostenibile'’.
La Commissione per lo sviluppo sostenibile, durante la Conferenza dell'ONU dell'aprile 2000 a New York, cosí si è espressa: “L'agricoltura ha un ruolo speciale e importante poiché assicura la produzione di alimenti e di fibre (e altro); è essenziale per la sicurezza alimentare, lo sviluppo sociale ed economico, l'occupazione, il mantenimento del paesaggio, la protezione del territorio e delle risorse naturali e sostenere la vita rurale e la terra”.
Lo studio della biodiversità è multidisciplinare e la conservazione della biodiversità può dunque essere un esempio d’integrazione tra scienze umane e naturali e può rappresentare uno di quei ‘ponti’ che Potter, coniando il termine ‘bioetica’, auspicava che si stendessero tra settori diversi del sapere, e in particolare, tra discipline scientifiche e umanistiche.
La diversità biologica deve essere interpretata come una caratteristica ‘ontologica’, una proprietà fondamentale della natura che non può essere né provata né spiegata riducendo le leggi della biologia alle leggi fondamentali della fisica.
Concordando con Petrini la biodiversità potrebbe essere un tema d’elezione per trovare punti di contatto tra antropocentrismo e anti-antropocentrismo. La ricerca di un ‘fronte comune’ tra le due suddette visioni è stata addirittura definita da taluni autori come ‘un obbligo morale’.
3.1. Tutela della biodiversità e sua rivelanza giuridica
Alla luce delle precedenti considerazioni la ‘tutela’ della ‘diversità biologica’ deve essere considerata un ‘imperativo etico’ perché essa rappresenta sia un bene da difendere e da trasmettere alle generazioni future per il miglioramento della ‘qualità della vita’, sia un bene in sé stesso che ‘ha il diritto alla propria esistenza’.
Il rispetto della biodiversità (animale, fungina, microbica e vegetale) è orientato verso la specie nella sua 'globalità', ma da non trascurare è l'intervento sull’’individuo’ (diversità intraspecifica), ‘sul singolo’; infatti, la specie può essere considerata un'astrazione in quanto essa non soffre, mentre 'il singolo soffre e muore facendo morire con sé la specie e la sua diversità genetica'. Il ‘singolo’ possiede diritti fondamentalmente ‘forti’ comprendenti non solo il diritto alla vita ma anche quello alla conservazione dell'integrità genetica in quanto qualsiasi riduzione della variabilità genetica si rivela una pericolosa perdita per il ‘tutto’.
Con particolare riferimento a quanto esplicitato in materia di tutela della biodiversità da Mazziotta e Gennaro, si può affermare che la ‘biodiversità antica autoctona’ contiene in sé tutti gli elementi ritenuti sufficienti dal mondo del diritto per la considerazione ‘giuridicamente rilevante di uno status’.
La patrimonialità e la tutela giuridica di questo bene rientrano nell'ambito della disciplina privatistica del diritto anche se nella considerazione dei principi generali dell'ordinamento relativamente all’integrità, all’identità e alla dignità dell’individuo.
La biodiversità antica di un TGA porta in sé un patrimonio assai particolare che trae la sua giuridicità non soltanto dalla natura privatistica del bene ma anche, e forse ancor piú, dalla natura generale dell'interesse alla utilità sociale e alla conservazione del bene stesso.
Nel momento stesso in cui, un qualsivoglia bene si presenta idoneo o, ancor piú, necessario a soddisfare bisogni socialmente apprezzabili espressi da un determinato contesto sociale, in quello stesso momento e in ordine a quel contesto stesso, quel bene assume rilevanza giuridica.
Il patrimonio della ‘biodiversità antica autoctona’ può essere definito un bene di vita; un bene cioè necessario o idoneo a soddisfare bisogni socialmente rilevanti espressi da un determinato contesto sociale in un determinato momento storico.
L'entità e la natura del bisogno sociale determinano la natura e l’entità dell'utilità del bene e costituiscono gli elementi che ne qualificano giuridicamente il contenuto.
In considerazione di un interesse socialmente apprezzabile di contenuto assoluto e generale, vi è una giuridicità del patrimonio genetico antico autoctono configurante specificamente il carattere pubblico e, conseguentemente, il contenuto pubblico dell'utilità del bene stesso.
Il diritto da tutelare, nella fattispecie, è il diritto generale alla integrità, alla identità e alla dignità di un patrimonio di interesse generale. Di qui la necessità, per il diritto, di recepire la presenza di questo nuovo soggetto giuridico rappresentato dalla ‘biodiversità antica autoctona.
Le esigenze sociali e le nuove frontiere della scienza hanno reso indispensabile la ‘statuizione di una tutela giuridica’ rispondente alla natura dell’interesse pubblico da tutelare e attenta alla particolare natura del bene: la ‘biodiversità antica autoctona’.
Non si può considerare di riservare alla ‘esclusiva discrezionalità del privato’ la disponibilità di un tale bene, di cui egli ha pieno titolo in quanto proprietario; allo stesso tempo, il proprietario non deve essere gravato o investito di alcun obbligo od onere rivestendo il bene da conservare carattere cogente nel superiore interesse pubblico.
L’esigenza di una normativa articolata, attenta e rispettosa del carattere generale considerato l’interesse sociale del carattere specifico visto l’interesse privato è cogente; normativa volta a garantire e a regolamentare in regime di compatibilità la tutela giuridica sia del bene di interesse pubblico sia dell’autonomia del privato.
Il bene mobile (animale e/o vegetale e/o microbico) è regolato dal regime ordinario del diritto privato; un ‘patrimonio genetico antico autoctono’, di cui è portatore il bene mobile, deve soggiacere a regole di diritto pubblico.
Nel rispetto della natura privatistica del bene, la sua ‘patrimonialità’ deve essere governata da criteri atti a scongiurare il rischio di una ‘discrezionalità’ capricciosa o arrogante del suo utilizzo.
Ciò che sembra importante è che si operi il riconoscimento della giuridicità della ‘biodiversità antica autoctona’ e della rilevanza che oggi essa assume a pieno titolo nell’ambito del diritto alle cui regole, presenti e future, non può ormai che informarsi e rispondere.
Il riconoscimento dell’incommensurabile valore del patrimonio dell’autoctonia antica esige nuova e adeguata regolamentazione anche nell’ambito della disciplina dei ‘beni culturali’, da adottarsi con previsione attenta e scrupoloso rispetto dei molteplici aspetti che la fattispecie presenta.
E’ da augurarsi che presto il legislatore possa tramutare queste non rinviabili istanze in peculiari provvedimenti legislativi in grado di:
(a) considerare l’’autoctonia antica’ animale, fungina, microbica e vegetale alla stregua di un vero e proprio bene ‘culturale’ di interesse collettivo di dignità pari a quella di ogni altro bene tradizionalmente considerato tale; questo riconoscimento è già operante nell’ambito del Progetto finalizzato ‘Beni culturali’ del Consiglio nazionale delle ricerche;
(b) conciliare la diversità fra interesse pubblico e quello privato nella tutela della biodiversità autoctona;
(c) innovare profondamente alcune norme dell’UE riguardanti gli interventi in materia di tutela dei tipi genetici autoctoni in via di estinzione.
Le profonde e illuminate argomentazioni degli Autori collimano pienamente con il programma della FAO sulla gestione globale delle risorse genetiche degli animali domestici (Programme for Management of Global Farm Animal Genetic Resources).
Per inciso, si ricorda che la tutela della biodiversità genetica ha origini molto antiche: l’imperatore Carlo Magno impose per legge agli agricoltori l’obbligo di coltivare 90 specie di piante in via di estinzione per evitarne la scomparsa.
4. Impostazione sistemica
L’impostazione sistemica deve rappresentare il modo per affrontare la complessa problematica della vita reale e degli eventi che la caratterizzano: la realtà non costituisce un insieme solo di geni, di particelle fisiche, di istinti, di riflessi, ecc., ma il risultato della conoscenza di queste componenti considerate globalmente e delle leggi che regolano i loro rapporti per permettere all’uomo, prima di tutto, di trattare con quanto lo circonda al fine di individuare quel/i modello/i che raggiunge/ono un risultato ottimale.
E’ necessario, quindi, passare da una cultura ‘settoriale’ o ‘riduzionistica’ a quella ‘sistemica’, l’unica in grado di permettere una visione ‘globale’ della realtà.
Secondo Bettini e Ferrara e Matassino il sistema può essere considerato come “un insieme di processi interagenti caratterizzati da un numero piú o meno grande di mutue relazioni funzionali”.
L’impostazione sistemica va impiegata quando l’effetto dell’insieme non può essere studiato come la semplice somma degli effetti delle singole parti componenti in quanto esso è il risultato del coinvolgimento del tutto in una condizione complessa di interazione fra le diverse componenti del sistema. Ciò non significa contrapposizione all’impostazione ‘analitica’ o ‘atomistica’, anzi quest’ultima è indispensabile per ridurre al minimo le possibilità di errore nell’interpretazione della realtà in cui si opera. Seguendo questa logica concettuale è possibile individuare e definire formalmente modelli revisionali che costituiscono strumenti insostituibili di decisioni sequenziali con possibilità di scelte alternative che, di volta in volta, dovranno giungere all’ottimizzazione del sistema: ottimizzazione che può non coincidere con la massimizzazione o con la minimizzazione.Grazie a questo costrutto concettuale, è possibile, fra l’altro, superare l’annoso dualismo e contrapposizione fra scienze naturali e sociali, tra scienza e cultura umanistica.
Il costrutto concettuale dell’impostazione sistemica, la cui teoria è stata definita da Khün nuovo ‘paradigma’, prevede lo studio dei problemi in termini di:
(a) aspetti globali anziché di singoli eventi
(b) interazioni anziché di mera visione di soli effetti lineari o additivi
(c) complesso anziché di semplice
(d) coordinamento nel tutto di ogni singolo elemento.
L’impostazione sistemica permette di scoprire l’esistenza di:
(a) aspetti generali
(b) isomorfismi
(c) similarità strutturali
(d) corrispondenze comuni a tutti i sistemi che sotto altri aspetti sono tra loro completamente differenti.
La teoria dei sistemi, pertanto, permette una profonda integrazione fra le diverse scienze e quindi un miglioramento e un rinnovamento dell’educazione scientifica e, conseguentemente, del trasferimento dei risultati della ricerca nel campo operativo.
L’impiego dell’analisi dei sistemi è reso sempre piú attuale dal fatto che:
(a) qualsiasi soluzione operativa è un fatto contingente e peculiare di un determinato microambiente
(b) le soluzioni individuate costituiscono un atto dinamico nel tempo e nello spazio per il divenire continuo di eventi diversi
(c) l’organismo vivente , secondo Von Bertalanffy va definito come ‘sistema biologico aperto’ e, tenendo conto dei processi omeostatici e dei relativi vincoli cibernetici , secondo Bettini, è piú appropriato definirlo un ‘sistema biologico aperto dinamico vincolato’.
La definizione di cui al punto (c) deriva dal fatto che ogni organismo vivente è in continuo rapporto con l’ambiente in cui è inserito mediante scambi di energia e di materia, ed essa è estensibile a qualsiasi struttura vivente , qualunque sia il suo livello di organizzazione: submolecolare, molecolare, cellulare, tissutale, di organo, organismico, biocenotico ed ecosistemico. La vita o il funzionamento di qualsiasi sistema sono condizionati dalla qualità e dalla quantità dell’informazione di cui il sistema dispone. Si può ritenere che tutti i fenomeni biologici e culturali sono aspetti del trattamento dell’informazione.
In questa visione, trova un ampio significato operativo la 'tutela' del 'pianeta terra' considerata da Lovelock come un unico sistema paragonabile a un 'organismo omeostatico', quindi capace di autoregolazione e di mantenere dinamicamente le condizioni necessarie alla propria sopravvivenza. L'ipotesi di 'Gaia = pianeta terra come ecosistema' è inesorabilmente affascinante e di forte riflessione cognitiva. La teoria di Gaia, che ha una sua base matematica nel modello del 'Pianeta delle Margherite ('Daisy world')', considera il pianeta 'terra' come 'un sistema in cui l'evoluzione degli organismi è strettamente legata all'evoluzione del loro ambiente'. Grazie alla presenza degli organismi viventi la 'terra' è mantenuta in stato favorevole. In sintesi, Gaia può essere considerata un vero e proprio essere vivente, definibile come un 'sistema biologico aperto dinamico vincolato' e caratterizzato -per analogia - da tutte le problematiche di un essere vivente. Questo concetto di Gaia, si rifà a quello di Hutton che, oltre due secoli orsono, definí la 'terra' un superorganismo dotato di tanti e funzionanti 'sistemi autoregolatori' sfocianti in un 'olismo' di antica concezione induista.
Alcuni indicatori, già noti, dovranno trovare maggiore 'cittadinanza': 'stato di salute' della biodiversità e 'impronta ecologica'. Il primo fornisce elementi cognitivi del pianeta terra 'vivente’, il secondo dà indicazioni sullo stato di 'pressione umana' sui differenti 'sistemi naturali'.
5. Conclusioni
1. La realtà 'pianeta terra' è molto 'complessa', grandemente dinamica e poco nota in tutte le sue articolazioni e interconnessioni e interrelazioni fra la miriade di sistemi naturali e la non meno elevata presenza di sistemi socio-economici. Pertanto, sorge impellente la necessità di considerare, nella giusta dimensione, il concetto di 'precauzione', quindi di un approccio 'conservativo' non 'bieco' e/o 'fondamentalista'.
2. Un problema 'principe' dell'inizio di questo nuovo millennio è la necessità di ricostituire una certa 'enciclopedia' dei saperi per poter fornire risposte concrete, serie e disinteressate alla 'complessità biologica’.
3. L’impostazione sistemica deve costituire: (a) il canone, (b) il prodromo e (c) la guida se si vuole affrontare concretamente e seriamente qualsiasi discorso inerente alla gestione della natura. E’ la conoscenza del sistema in tutte le sue variabili: semantiche e/o episemantiche e/o le loro interazioni, la sola in grado di fornire elementi e indicazioni per una corretta e dinamica gestione del pianeta terra. Perseguendo questo tracciato concettuale, è possibile individuare una serie di soluzioni in grado di conciliare le esigenze dei due ecosistemi: ‘naturale’ e ‘culturale’.
4. E' sempre piú pressante far emergere al massimo quella mirabile capacità dell'uomo che è la sua 'autocoscienza personale' al fine di conoscere 'se stesso' nella 'sua unicità'.
5. Tra i canoni etici è ipotizzabile un 'federalismo biologico' in grado di 'riconferire' importanza e dignità alla 'biodiversità antica autoctona'; questo 'federalismo biologico' configura un 'nuovo soggetto' nella sfera del diritto.
6. Non è piú accettabile che l'uomo è misura di tutte le cose; pertanto, l'alterità deve armonicamente coniugarsi con l'unicità dell'uomo, che rimane il soggetto morale unico in grado di effettuare scelte consone a un' “amministrazione illuminata” dell'ambiente; uomo che non può essere relegato alla funzione di mero 'cittadino biotico'.
7. La biodiversità deve essere considerata alla stregua di un vero e proprio 'bene culturale', essendo essa un patrimonio di inestimabile valore di documenazione sia storica che biologica, quindi è portatrice di civiltà antiche ed è componente insostituibile di vecchi equilibri biologici, la cui funzione e il cui ruolo sono ancora tutti da scoprire.
8. Viviamo in una società il cui programma principe è la soddisfazione di tutti i desideri con una corsa frenetica verso la saturazione che può significare pienezza anche del pensiero. Lo strumento principe per ridurre, se non evitare, questa pienezza del pensiero è la palestra di formazione e sviluppo delle idee: la scuola di ogni ordine e grado. Solo in essa è possibile far sviluppare le forme nobili della inquietudine del pensiero di cui era pervaso Sant'Agostino (inquietum cor nostrum).
Mi piace concludere con questa frase dello scrittore francese J. Green: “Finché si è inquieti, si può stare tranquilli” non dimenticando che “la vita è un miracolo………in attesa di essere scoperta…….”.

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