Questioni di bioetica relative al trattamento del paziente diabetico
Rossella Bonito Oliva
In primo luogo un approccio centrato sulla persona richiede una chiarificazione sullo spessore di significato di questo termine, che, esattamente come la bioetica, ha connotatti giuridici, medici, filosofici. Se il suo significato originario rinvia a maschera, il suo significato fa riferimento in primo luogo a relazione - con sé, con gli altri, con il mondo - richiamando non soltanto a quanto entra nel territorio di consapevolezza del soggetto, ma tutto quanto ad esso afferisce come apertura. E in questo senso lato, ogni approccio alla persona rinvia ad un’unità, come luogo di diramazione e confluenza di vettori relazionali. In questo orizzonte, perciò, il rapporto tra medicina e etica, all’interno del caso diabete, dilata il problema non solo nel senso ormai accertato dalla bioetica dalla malattia al malato, ma per la complessità della sintomatologia diabetica investe il ruolo del medico e dell’assistenza in generale nella qualità della vita, in quanto patrimonio giocato nell’esistenza di ciascuno, all’interno di una serie di variabili genetiche, ambientali, sociali e psicologiche che determinano l’evento malattia.
Non si tratta perciò di riconsiderare i parametri del rapporto medico-malato semplicemente secondo le categorie del paternalismo, del contrattualismo, dell’utilitarismo o dell’alleanza terapeutica, giocando tutti nell’ambito della gestione della malattia - certamente già di per sé centrale - ma del rapporto dell’individuo con la medicina, là dove la cura di sé non si faccia coincidere con lo scatenarsi di una patologia. Questo perché la patologia come occasione dell’incontro si instaura già su un rapporto asimmetrico di dipendenza, che elide lo spazio di condivisione di valori culturali, sociali, ambientali: il terreno e della scienza e della misura della qualità della vita. Basti un solo esempio, nel caso del paziente di acclarato diabete non necessariamente la salute come benessere perseguita dal medico corrisponde al gradiente di benessere inteso dal paziente. E’ chiaro che questo mette in luce sia la posizione dell’individuo verso la salute che quei valori socialmente acquisiti del benessere.
Certamente la serie di condizionamenti, le variabili che sono a monte del manifestarsi della patologia non sono classificabili o predeterminabili, ciò che tuttavia può essere gestibile è la cura di sé in senso psicofisico che presiede alla condizione umana. Là dove l’etica può problematizzare la comunicazione medico-paziente come rapporto tra persone, la medicina può richiamare l’etica alla funzione di cura del corpo come fattore non solo pragmatico e tecnicistico, ma anche e soprattutto come terreno solidale e continuo all’identità della persona come centro di decisioni e di azioni.
Non si tratta allora di considerare semplicemente l’aspetto del rapporto di chi cura e di chi si aspetta di guarire, ma in primo luogo di considerare le possibilità e le qualità delle strutture all’interno delle quali si svolge la relazione. Quanto comporta una questione legata ai tempi di lavoro, agli spazi di colloquio e agli orientamenti della società allo scopo della prevenzione e della assistenza piuttosto che della cura strumentale e contingente. Ciò non vuol dire sminuire il ruolo del medico e delle sue capacità diagnostiche e di scelte terapeutiche, comporta invece una condivisione di responsabilità degli operatori nel settore anche in senso politico che aiutino a far emergere quella costellazione di elementi a monte dell’evento patologico che riducano i rischi di una situazione limite, quale quella della richiesta di aiuto e di intervento in una sintomatologia già grave; quanto mette necessariamente in gioco variazioni caratteriali nel medico e nel paziente che riducono le risorse di intervento e di collaborazione.
Se si accetta la sfumatura morale del rapporto tra persone nella comunicazione medico-paziente è ovvio che la dignità e il rispetto come carattere fondamentale del rapporto interpersonale sono strettamente dipendenti dallo spazio di decisione e di intervento consentito a ciascuno nel regime comunitario. Su questa via soltanto medico e medicine non saranno semplicemente misure-tampone del dolore ma coadiuvanti della qualità della vita e segnale di partecipazione di tutti al progresso tecnologico, così come il paziente non sarà semplicemente un numero di prenotazione o un caso da inserire in una griglia di variabili, ma portatore di aspettative o disagi che entrano in una vicenda umana che non lascia, là dove se ne abbia il tempo e la disponibilità, inalterato se non il medico - la cui professionalità certamente richiede un controllo del transfert - la qualità e l’efficacia della comunicazione tra chi fornisce e chi attende cura.