Stamina si? Stamina no?
Lorenzo De Caprio
L’introduzione delle prime armi da fuoco, com’è noto, non provocò affatto le ire degli arcieri e dei balestrieri che con encomiabile entusiasmo divennero archibugieri e cannonieri. I guai di Galilei incominciarono quando volle dire la sua sulla teoria copernicana; ma va ricordato che il suo cannocchiale aveva destato l’interessato plauso anche di quelli che sarebbero stati i suoi persecutori. Quando poi le locomotive e le automobili presero a scorrazzare i cocchieri non si ribellarono ma diligentemente si trasformarono in ferrovieri, meccanici ed autisti.
Quando invece Jenner propose al mondo la sua vaccinazione in alto si levarono le grida dei medici benpensanti. Non migliore accoglienza la medicina istituzionalizzata riservò all’anatomia di Vesalio, alla circolazione del sangue di Harvey , alla rivoluzione batteriologica di Pasteur, etc etc.
Già! Sembra una costante nella storia della medicina. Le grandi rivoluzioni hanno spesso e volentieri stentato prima di essere accettate dalle corporazioni mediche, ed i grandi rivoluzionari hanno visto riconosciute le loro ragioni spesso e volentieri da morti.
Scusate l’esordio così retorico ma è per dire che, allo stato delle (assenti) conoscenze sul metodo stamina, in attesa di documentate certezze sulla sua efficacia, nessuno può escludere che i suoi rivoluzionari artefici non siano destinati un giorno e naturalmente da morti ad essere catapultati nell’Olimpo degli immortali eroi della medicina. Tale eventualità ,da un punto di vista statistico, mi sembra alquanto improbabile. Infatti, a fronte dell’infinita plurimillenaria serie dei “ciarlatani”, la brigata dei grandi rivoluzionari è spaventosamente esigua,
Per dirla tutta, la mancanza di informazioni genera in me dubbi sull’efficacia del trattamento, sulla validità del metodo ed anche sul valore scientifico dei suoi inventori. E’ questo pur ammettendo che la medicina ufficiale, quella contemporanea cosiddetta “scientifica” non sempre è stata, è, e sarà “scientifica”, anche se sempre è stata, è e sarà “ufficiale”.
Certamente “il metodo sperimentale” non è perfetto ed a dispetto del suo grande promotore, Claude Bernard, non può essere definito assolutamente“oggettivo”. Ma a tenere a freno il giudizio ovviamente entusiastico e soggettivo dei singoli ricercatori sulle proprie scoperte, concorre lo scambio ed il confronto delle informazioni nella comunità scientifica. In sostanza è necessario che le metodologie adottate ed i risultati ottenuti da parte del geniale ricercatore, siano riproducibili e verificate da parte di altri gruppi di studio.
Neanche questo, onestamente, mette al riparo da tragici errori. Ci sono stati casi in cui farmaci ritenuti dalla comunità scientifica “efficaci” e ragionevolmente sicuri nell’uso, si siano invece rivelati inefficaci e/ o pericolosi nella pratica. Ma, ciò nonostante sono dell’opinione che è meglio affidarsi ad un sistema che preveda dei controlli continui ed incrociati che a delle dichiarazioni autoreferenziali di efficacia terapeutica. Sarà per i miei positivistici trascorsi ma se dubito, dubito principalmente per il tenace ostinato silenzio sul metodo stamina, per la mancanza di verifiche sperimentali e cliniche.
Ricalcando con alcune varianti il copione già visto operante nel caso Di Bella, su Stamina l’opinione pubblica si è spaccata, le istituzioni mediche nazionali hanno sostanzialmente taciuto e la magistratura è intervenuta…, ma come è intervenuta?
Trattamenti venduti, iniziati, praticati, poi interrotti, poi ripresi, poi bloccati e tutto questo a colpi di sentenze in palese contraddizione l’una con l’altra.
Comprensibile la disperazione dei malati e delle famiglie. Disperazione che tocca tutti nel profondo data l’età di Sofia, di Celeste e di tanti di cui non si conoscono i nomi. Disperazione che deve aver commosso alcuni magistrati fino al punto di consentire il trattamento stamina. La comunità scientifica internazionale, già scandalizzata dalla sentenza (medioevale) sulla prevedibilità dei terremoti è a questo punto letteralmente inorridita e giro a voi le domande: Dovevano o no i magistrati tener conto dell’assenza di certe prove d’efficacia? E se non dovevano tener conto di queste, ma per umana compassione alimentare le fragili speranze dei malati, hanno o non hanno protetto il loro migliore interesse?
Stando al numero speciale del Corriere della Sera del 31/3/2013 che ha pubblicato un’articolata inchiesta sul metodo Stamina e sulle controversie ad esso legate, tali Vyacheslav Klymenko ed Elena Shchegelskaya sarebbero i “misteriosi” inventori e detentori del metodo originale di trattamento “stamina” delle cellule appunto staminali. Del valore scientifico di questa coppia di biologi ucraini di Kazan si sa poco, e quel poco che si sa, non sembra entusiasmante. Sarebbero autori rispettivamente di 100 e 48 pubblicazioni su riviste russe e qui s’inizia a non capire. Infatti la scienza che veramente conta è quella internazionale e questa parla solo inglese; non c’è ricercatore che non brami di veder pubblicato un suo lavoro su Science, Nature, Lancet, etc, etc; e questo per le ovvie ricadute pratiche in termini di prestigio, carriera e… denaro.
Dando per buono, per eccelso il valore scientifico di questi ricercatori perché si sono limitati a pubblicazioni locali, praticamente ignorate dall’Internazionale della Medicina?
I due sarebbero venuti in Italia nel 2006 per fondare insieme a due italiani (Davide Vannoni e Marcello La Rosa) la società Re-Gene per la ricerca e lo sviluppo di biotecnologie. Perché? Perché in Italia? Se il metodo da loro inventato è valido perché non entrare nelle sim-patie di qualche multinazionale del biotech per poi nuotare nell’oro?
Poi sembra che la strana coppia si sia come volatilizzata. Sarebbero tornati in Italia nel 2007 e nel febbraio 2009 tornati in Ucraina. Si dice che siano scappati… forse negli USA. Boh!
I partners italiani degli ucraini, quelli che avrebbero “perfezionato” il metodo originale sono, stando alle cronache del Corriere della Sera, Davide Vannoni e Marino Andolina; il primo risulta essere un “cognitivista con il pallino delle neuroscienze”, uno psicologo, professore associato di “psicologia della comunicazione ad Udine”, con laurea, dicono, in “filosofia”. Pur immaginando che le conoscenze in psicologia siano propedeutiche alle biotecnologie, devo segnalare che sul sito www.mentecritica.net è presente un intervento in cui si dichiara esplicitamente che del dottore o professore Vannoni “non è possibile rintracciare alcun curriculum… né pubblicazioni o riferimenti al metodo”
Per quanto riguarda il dott. o prof Andolina le cose vanno in modo più tranquillizzante. Laureato in medicina, è pediatra ed immunologo presso IRCSS Burlo di Trieste, e sempre stando alle cronaca, avrebbe esperienza nella tecnica dei trapianti di midollo, ed avrebbe insegnato il suo metodo anche a Samara, Belgrado e Baghdad. La succitata inchiesta del Corriere non ci fornisce dati relativi al suo curriculum, ed il sottoscritto ha rintracciato sul sito www.burlo.trieste.it, una sua scheda che non riporta alcun tradizionale indicatore di produzione scientifica (pubblicazioni, libri, partecipazioni a congressi etc etc ).
Chi sta per affogare s’aggrappa disperatamente ad ogni cosa che gli venga lanciata in soccorso. Sta ai misericordiosi, compassionevoli “salvatori” decidere cosa lanciargli. Un conto è infatti ricorrere ad una corda, un altro buttarsi tra i flutti, un altro lanciare un salvagente. Va da se che in qualunque modo si decida di operare, quel modo deve dare delle garanzie probabilistiche di successo altrimenti. Vale a dire: la corda deve essere robusta, il salvatore deve essere un ottimo nuotatore, il salvagente deve essere di buon sughero.
Non possiamo dunque in alcun modo e per nessun motivo criticare ( come pure si è fatto) le persone che sono ricorse al metodo stamina e che, per ultimo ma non per ultimo, hanno pagato cifre decisamente molto alte nella speranza di un miglioramento.
L’argomento forte per giustificare il ricorso al metodo Stamina è quello di invocare un “diritto alla speranza” da cui si è fatto discendere il concetto di “cura compassionevole”.
E’ umano sperare. Sperare di non pagare le tasse, di vincere un terno a lotto,… di guarire, di rifiorire alla vita. Non capisco perché un umanissimo atteggiamento debba essere strumentalizzato formalizzandolo in un diritto. Diritto che , in quanto diritto, porrebbe un dovere. Quale dovere?; Quello di disperare? O quello di nutrire speranze che poi verranno infrante dalla dura, inguardabile realtà? Oppure in nome della diritto alla speranza di uno si pone il dovere dell’altro di alimentare a pagamento quella speranza? E con che cosa l’altro alimenterà quella Speranza? E se per caso il diritto alla speranza ponesse un'altra coppia di diritto-dovere: quello di illudere e di essere illusi.
Che cosa significa, cosa implica l’espressione “cura compassionevole”? Questa compassione che si manifesta a pagamento non mi convince. In nome della umana compassione si pone l’obbligo morale di fornire a degli infelici trattamenti che allo stato delle conoscenze sono inefficaci e forse pericolosi?
Si dirà: ognuno ha il diritto di curarsi come meglio crede. Sono d’accordo! Ma qualunque diritto venga tirato in ballo nego primo: che i medici abbiano l’obbligo morale di fornire trattamenti inefficaci e/o dubbi; e secondo che la collettività abbia l’obbligo morale di investire risorse in essi.
Giugno 2013