OGM E AMBIENTE
Maria Antonietta La Torre
(tratto da Bioetica delle biotecnologie e questione ambientale
in Biotecnologie e tutela del valore ambientale, a cura di L. Chieffi, Giappichelli, Torino 2003)
L’uso delle biotecnologie consente oggi di modificare la struttura genetica di organismi viventi e di trasferire caratteristiche dall’uno all’altro: operare sul Dna per rendere più produttiva o resistente alle malattie una pianta alimentare, produrre sostanze utili in farmacologia, ottenere organi da trapianto da animali, riducendo il rischio di rigetto, sono esempi di utilizzo di “organismi transgenici”.
Naturalmente anche nel passato ci si avvaleva di talune proprietà degli organismi viventi e i rifiuti comuni sono degradati naturalmente da batteri, così come specifiche caratteristiche dei microrganismi vengono utilizzate per depurare le acque e il suolo da agenti inquinanti (ad esempio il petrolio). L’impiego delle nuove tecniche, tuttavia, consente di potenziare tali capacità attraverso un processo di selezione artificiale, cosicché è possibile, ad esempio, produrre su scala industriale varietà vegetali modificate allo scopo di renderle resistenti agli attacchi ambientali, agli erbicidi, ai parassiti, di conferire a esse caratteristiche nutrizionali maggiori o intervenire sulla conservabilità.
A sostegno delle ricerche biotecnologiche si afferma talvolta che esse rappresentano nulla più che il prolungamento dell’opera del coltivatore neolitico, il quale apprese rapidamente a selezionare le specie vegetali migliori, o delle antiche pratiche di domesticazione e di selezione attraverso incroci di animali. A noi pare, al contrario, che la differenza tra i due procedimenti sia decisiva sia sul piano metodologico che sostanziale, poiché l’introduzione di caratteri modificati nelle varietà vegetali o animali dà origine a organismi che si collocano sul limite tra diverse specie, che sono “transpecifici”, una sorta di “chimere” le quali, in quanto estranee agli schemi di classificazione noti e consolidati, pongono in discussione la concezione della realtà, della natura e infine, nel caso della ricerca genetica applicata all’uomo, forse la rappresentazione stessa dell’individuo umano.
Se le applicazioni delle biotecnologie consentono lo sviluppo di un potere crescente di controllo sull’uomo e sull’ambiente, per lo stesso motivo esse sollevano questioni sempre più complesse di ordine morale, giuridico, sociale, che afferiscono a un ambito, per così dire, “di frontiera”, non solo in quanto si colloca al punto di intersezione tra etica, diritto, biologia, medicina, ma perché rende sempre più difficile e talvolta arbitraria la distinzione tra mondo biologico e mondo artificiale/sintetico. Ora, se la definizione medesima di “vita” sembra esposta a una possibile revisione, segno di una significativa rivoluzione culturale, occorre, ci sembra, una riflessione sul significato antropologico dell’impiego di talune innovazioni tecnico-scientifiche (e presidi medico-sanitari), che presentano, per altro, anche evidenti implicazioni politiche connesse alla prassi democratica, all’esercizio dell’autodeterminazione, alla concezione del “progresso”.
Una tecnologia che si configura sempre più come capacità di interferire con lo schema evolutivo, si sviluppa secondo modalità del tutto inedite e conferisce all’umanità il capacità di “ridisegnare” gli organismi viventi, le assegna nel contempo una responsabilità che non può eludere alcuni interrogativi sulla liceità e i limiti di tali pratiche, in particolare in relazione all’imperativo della tutela ambientale. Se, infatti, la ricerca genetica finalizzata a impieghi terapeutici trova la propria giustificazione nella promozione della salute (benché anch’essa si intrecci strettamente con questioni di ordine economico), l’alterazione degli equilibri ambientali non trova una motivazione altrettanto indiscussa e quasi imperativa. Solo da qualche decennio nella storia culturale dell’Occidente il riconoscimento dell’importanza dell’ambiente naturale per la sopravvivenza della specie umana lo ha reso un elemento essenziale per la salute e la qualità della vita, al punto da riconoscere all’impegno di salvaguardia implicazioni di ordine etico derivanti dalla responsabilità per i propri simili e per il loro diritto a un ambiente idoneo alle esigenze della propria natura, per le generazioni future, detentrici anch’esse di un diritto a ricevere in eredità un habitat che consenta di soddisfare i propri bisogni, e anche per gli altri viventi e la biosfera nel suo insieme in quanto le si è riconosciuto un valore autonomo, intrinseco o quanto meno estetico, che merita di essere preservato, ad esempio nella forma della biodiversità.