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L’Istituto di Bioetica in collaborazione con l'Accademia Gestalt di Roma hanno organizzato presso l’università del Salento Percorsi di Cittadinanza attiva. Intervista al prof Franco Aurelio Meschini

È iniziato a gennaio e terminerà a maggio un lungo ciclo in incontri nell'ambito dei Percorsi di Cittadinanza attiva proposti dall'Università del Salento (Dipartimento di Studi umanistici/corso di laurea in filosofia). Sono 17 gli incontri tematici che si raccolgono sotto un titolo assai stimolante: "La democrazia non è data una volta per sempre, occorre difenderla; ovvero quale vita in uno stato non democratico?".

Chiediamo al prof. Franco Aurelio Meschini, che è ideatore e coordinatore del progetto, di illustrare la genesi e gli obiettivi dell'iniziativa realizzata in collaborazione con l'Istituto Italiano di Bioetica e l'Accademia Gestalt di Roma.

Professor Meschini, da quali percorsi teorici e da quali esigenze concrete nasce questo ciclo di incontri?

Più che da percorsi teorici, direi che questi incontri di Educazione alla cittadinanza attiva, giunti quest’anno alla terza edizione, nascono soprattutto da un’esigenza di vivere più pienamente la democrazia e, più in generale, il nostro tempo. Da un lato il senso di stanchezza e di sfiducia nei confronti della politica, ma anche della cosa pubblica, congiunto a una totale ignoranza della storia (direi di più all’incapacità di leggere storicamente il reale) ha finito con il determinare una disaffezione per la democrazia stessa, dall’altro la grande mole di informazioni (informazioni per lo più montate ad hoc e falsamente complete) con cui ciascuno di noi deve fare i conti quotidianamente sembra sottrarci il tempo per analisi rigorose e quindi per la conoscenza e, dunque, per immaginare soluzioni non solo di parte. Ecco, da questo duplice disagio del nostro tempo prendono il via questi incontri.

Il filo rosso che lega tutto, e che è sullo sfondo, sembra essere l'esigenza di affrontare nell'ambito accademico un tema cruciale dei nostri tempi: il senso e la sostanza della democrazia. Se è così, può spiegarlo?

È così. Non v’è dubbio che la domanda sul che cos’è la democrazia sia oggi cruciale, più di quanto non lo fosse qualche decennio fa, ma non direi che si tratti di un’operazione meramente accademica, anche se la riflessione in ambito della scienza politica è oggi in grande fermento e c’è chi parla di superamento della democrazia verso forme di epistocrazia; per quanto mi riguarda, laquestione centrale sul che cos’è la democrazia, deve trasformarsi nell’altra sul come evitare il tramonto della democrazia. È una cosa che deve interessare tutti noi ed è ciò che ci siamo proposti con questi incontri. Proprio per questo abbiamo pensato ad un ambiente extrauniversitario, due librerie storiche leccesi, ove gli studenti possano incontrare la città e la città accostarsi all’Università. I relatori sono infatti per lo più docenti universitari del nostro ateneo che mettono a disposizione del territorio le loro competenze e riflessioni. A questo proposito mi lasci dire che nel nostro ateneo leccese ho trovata una grande disponibilità da parte dei colleghi e una ricchezza e varietà di competenze e di pensieri che non sempre riescono ad incontrarsi con il territorio. Del resto, e qui aggiungo un terzo male di questi anni, nessuno (a cominciare dalla politica) sente veramente il bisogno di ascoltare, di ascoltare in generale e di ascoltare, starei per dire, chi ha studiato, chi fa professione di studio. Ovviamente anche il mondo accademico ha - e non solo da oggi - le sue pecche, spesso autoreferenziale, a volte non del tutto libero. Certamente non amato dalla classe politica emersa con il berlusconismo. Comunque, in questo preciso momento storico, vedo un impegno cui tutto il mondo accademico è chiamato, che è quello di far sentire la propria voce come coscienza critica di un Paese che sembra aver perso il senso stesso del convivere civile. Ciò significa schierarsi senza alcuna ambiguità a difesa della democrazia, pur con tutti i suoi difetti, storici e strutturali.

La democrazia è un corpo vitale che ha sempre bisogno di essere alimentato, che ha bisogna di cure 'amorevoli', che si nutre di complessità. La politica dovrebbe essere protagonista in queste attività, ma la cronaca ci racconta altro e sembra che le democrazie vadano nella direzione opposta. Quali elementi emergono dagli incontri tenuti?

Il presidente della Repubblica mi pare abbia tracciato la strada da seguire, ponendo dei limiti ben precisi a operazioni pericolose cui assistiamo in questi ultimi mesi, affermando con forza, nel discorso del 25 aprile a Vittorio Vento che «La storia insegna che quando i popoli barattano la propria libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva». In questo discorso che solo per la sua vicinanza di tempo non possiamo ancora definire memorabile, sono ben chiari i confini che una democrazia non può superare, pena la sua morte. È vero, come lei dice, la democrazia è un organismo vitale e quindi, in quanto tale, deperibile e per questo va curato e alimentato. Ebbene, chi veramente pensa che le parole pronunciate dal presidente siano un ottimo alimento per questo organismo di cui tutti noi siamo parte? Chi veramente ne saprà trarre le necessarie conclusioni che dovrebbero portare ad una radicale inversione di marcia delle attuali politiche in fatto, per esempio, di inclusione e di legittima difesa (su cui fondamentale, ancora una volta, è la lettera alle camere con cui il presidente ha accompagnato la firma con cui viene promulgata la legge sulla legittima difesa)? Lei ha pienamente ragione nel dire che la democrazia si nutre di complessità ed è questo uno degli aspetti su cui maggiormente i nostri politici hanno buon gioco, non da oggi, nel mostrarne i lati deboli, proponendo ricette che spesso sono veleni per quell’organismo e non cure. La semplificazione è certo un’operazione legittima, quando serve a limitare i difetti della complessità e quindi il suo eccesso di complicazione, ma non quando vorrebbe ridurre quella complessità a favore di scorciatoie che rischiano di ledere la forma stessa della democrazia. Perché e ciò va detto con forza la democrazia è garantita dal rispetto delle forme. Non si può, neppure a fin di bene, non tener conto delle forme, delle norme. Esse vanno cambiate, nel rispetto delle forme, non trascurate o scavalcate. Uno stato democratico, in altre parole, non è pensabile come una grande famiglia, in cui i vincoli di amore, di affetto, di sangue costituiscono il fondamento dell’unione (e, ahimè, spesso dell’esclusione), esso è un organismo assai più complesso perché i suoi membri possono legittimamente pensarla in modo diametralmente opposto e odiarsi, ciò che tutela ciascuno in questa unione è solo il rispetto delle forme, delle leggi, che sono al di sopra di chi ci governa. E neanche, ovviamente, come un’azienda, giacché il fine dello stare insieme in uno stato democratico non è quello del profitto, ma quello di realizzare, nel rispetto delle leggi, sé stessi.

Quali elementi emergono dagli incontri che avete sin qui tenuto? Come reagiscono i giovani?

Gli incontri fin qui tenuti, undici per la precisione, pur registrando un incremento di pubblico rispetto ai due cicli precedenti, restano degli eventi ancora marginali nella vita cittadina, certamente con un impatto inferiore rispetto ai nostri auspici, soprattutto per ciò che riguarda gli studenti delle secondarie. Ciò dipende senz’altro anche dalla nostra difficoltà a creare dei buoni canali comunicativi e ciò nonostante una costante attenzione della stampa locale. Diciamo che viviamo ancora un momento che possiamo dire della semina, speriamo quindi di raccogliere dei frutti con il tempo. La risposta dei giovani universitari è, tuttavia, senz’altro incoraggiante. Emerge, infatti, un desiderio di approfondimento e di partecipazione e le questioni sollevate durante gli incontri diventano materia di discussione anche nei giorni successivi.

A cura di Tiziana Bartolini

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