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di Tiziana Bartolini

Salute e sviluppo sono strettamente collegati e la sanità non può essere misurata con i criteri del profitto perché la salute non è una merce. Intervista alla prof.ssa Maria Antonietta La Torre

La tutela della salute è prevista dall’art 32 della nostra Costituzione, un principio nobile ma non sempre tradotto e applicato in modo coerente. L’esempio dell’ILVA rappresenta in questo senso un caso emblematico di difficoltà a sciogliere la contraddizione tra esigenze economiche e diritto alla salute. In questa conversazione con la professoressa Maria Antonietta La Torre nell’ambito del ciclo dedicato alla filosofia e alla bioetica in relazione al coronavirus, riflettiamo su una epocale inversione di rotta cui stiamo assistendo e che riguarda il mondo intero: l’affermazione del primato della salute sugli interessi economici. Ha iniziato il gigante cinese, bloccando tutte le produzioni di una vasta regione e in parte nel resto del paese. Noi abbiamo fatto altrettanto a partire dal 22 marzo e altri paesi stanno seguendo questa strada. Con l’obiettivo di limitare il contagio, la politica ha imposto a milioni di persone limiti pesantissimi alle libertà personali, ai quali si sono poi aggiunte restrizioni delle produzioni non considerate essenziali o di pubblica utilità. È un’assunzione di responsabilità senza precedenti da parte delle massime autorità degli Stati, che accettano una sfida epocale destinata ad avere grandi incognite e pesanti conseguenze. Sentiamo e sappiamo che dopo nulla sarà come prima, anche a partire dalle priorità in cui ci riconosceremo.
Le altre interviste sono centrate su: il prendersi cura, la globalizzazione, la morte

L’enormità della portata dei provvedimenti cui stiamo assistendo è epocale. Escludendo le implicazioni economiche e prendendo in esame il tema della salute, quali sono le sue osservazioni sul piano filosofico e bioetico?
In realtà, se l’economia è lo studio delle modalità di allocazione di mezzi scarsi tra fini alternativi, ossia di come gestire risorse scarse per soddisfare i bisogni di una popolazione, scegliere dove investire le risorse pubbliche significa individuare le priorità, gli ambiti ai quali dare maggiore importanza, quali bisogni soddisfare, in che misura questi devono essere soddisfatti, e questi sono quasi sempre problemi etici. Perciò l’opposizione tra etica ed economia è un mito da sfatare: non dimentichiamo che Adam Smith, uno dei padri dell’economia moderna, era un filosofo morale. L’economia fornisce modelli di analisi, confronta le alternative, ma la scelta di sviluppare un programma anziché un altro è una decisione che ha implicazioni etiche. I governi guardano sempre più alla privatizzazione e al mercato per attenuare le pressioni economiche sui rispettivi sistemi di assistenza sanitaria, ma la sanità non è un’azienda for profit. Che spazio occupano in una misurazione di tipo “aziendale” la soddisfazione del paziente, il principio di autonomia, la giustizia sociale? Le politiche sanitarie, quando operano delle scelte sulla destinazione delle risorse, di investimento nella prevenzione delle patologie, nella tutela dell’ambiente, nell’educazione sanitaria, fanno riferimento a valori e in un discorso sui valori le priorità non possono scaturire unicamente da un calcolo costi-benefici, il quale non è diretto per sua natura a realizzare gli scopi più autentici della medicina: dal punto di vista del mercato dei farmaci, ad esempio, un quarantenne bianco americano che soffre di calvizie è un cliente più interessante di un bambino africano che soffre di malaria. Lo scopo dell’assistenza sanitaria non è certo favorire la produzione di ciò che garantisce miglior profitto, perciò interrompere la produzione di una marmellata o di un modello di jeans perché non più remunerativi non equivale a sospendere la produzione di un farmaco perché la prevenzione ha ridotto il numero di confezioni richieste: vi è un sovrappiù di responsabilità che richiede una valutazione più estesa di ciò che è giusto o opportuno fare. Ora ci stiamo accorgendo che certe scelte effettuate in passato non andavano in tale direzione ed erano poco lungimiranti. E’ vero che non si sarebbe potuti essere davvero pienamente preparati a un’emergenza come quella che stiamo vivendo, ma qualche timido allarme dell’Organizzazione Mondiale della Sanità avrebbe potuto essere ascoltato e si sarebbe potuto prestare maggiore attenzione all’equa distribuzione del servizio sanitario nelle varie Regioni.

Se la politica, sostenuta dagli esperti, ha compiuto scelte così rischiose vuol dire che ha accolto un sentimento diffuso che attribuisce alla salute un primato rispetto all’economia. Se così fosse sarebbe un cambiamento anche culturale destinato a portare con sé una disponibilità a rivedere l’idea di benessere conosciuta sinora e una conseguente rimodulazione delle priorità, di ordine dei valori. La conseguenza sarebbe una riorganizzazione anche degli investimenti e, forse, la disponibilità a qualche rinuncia. Nuove utopie o una nuova società?
Non credo che la politica avesse realmente scelta dinanzi al rischio pandemia; del resto, anche i più ostinati neoliberisti in altre democrazie occidentali, dopo qualche resistenza, hanno dovuto seguire le nostre orme. Però è vero che eventi così epocali inducono inevitabilmente a un ripensamento della scala di valori individuale e sociale, a conferire una rinnovata importanza a sfere dell’esistenza che si davano per scontate. Probabilmente, anzi, ci auguriamo che sia così, si avvertirà l’esigenza di una riprogettazione dei sistemi di assistenza sanitaria. A tal fine sarà utile una riflessione sugli scopi della medicina nell’epoca della globalizzazione e su quali beni, valori e istituzioni non possano essere sottoposti al mero calcolo economico. Il ruolo dello Stato in materia di sanità non deve limitarsi a una funzione di organizzatore e gestore di servizi, ma deve garantire l’equità sul territorio nazionale e progettare a lungo termine, ossia per un tempo che non può coincidere con quello di un mandato elettorale e quindi di interessi limitati e opportunistici. Del resto, la concezione della salute si estende progressivamente insieme al benessere diffuso, è inclusa tra gli indicatori dello sviluppo umano e non più equivalente all’assenza di patologie. Dinanzi al difficile bilanciamento tra esigenze economiche, responsabilità sociali, tutela della salute, valori morali, questioni di giustizia mondiale, il mondo economico deve tener conto dei principi della medicina e della bioetica, in particolare di quelli di beneficenza e di giustizia. Quali bisogni soddisfare, in che misura questi devono essere soddisfatti, quali sono le priorità, come bisogna fornire assistenza e chi si deve assistere, sono questioni sia etiche, sia economiche.

È innegabile che il mondo occidentale con l’aumento del benessere ha potuto incrementare le possibilità di cura per larghe fasce di popolazione con aumento della longevità e della qualità di vita. Occorre domandarsi se, oggi, dare priorità alla tutela della salute rischiando tracolli economici sia la cosa giusta da fare. Tali scelte, e i rischi connessi, sarebbero davvero un passo in avanti per la civiltà e gli esseri umani?
Salute e sviluppo sono strettamente collegati: il livello di salute di una società è connesso alla sua capacità di produrre ricchezza e l’allarme sulla carenza di medici era emerso ancor prima dell’epidemia dovuta al Covid 19, dunque continuare a tenere distinti questi piani, ossia perpetuare la convinzione che gli equilibri economici possano essere mantenuti trascurando la salute, porta agli esiti rovinosi cui stiamo tristemente assistendo. Il carattere morale dell’economia è la condizione perché si realizzi una società giusta. Il patto sociale che aveva caratterizzato la nascita del welfare su basi nazionali deve evolversi in un contratto sociale mondiale generando un passaggio dal welfare state a una welfare community, nella quale l’accento non sia solo sullo Stato, ma sulla comunità costituita da tutti gli individui che hanno diritto alla piena realizzazione di sé attraverso sistemi sociali, istituzioni e ambiente adeguati e un sistema sanitario pubblico che risulti da uno sforzo cooperativo cui ciascuno contribuisce secondo le proprie possibilità. La globalizzazione dei mercati tende a trasformare anche la salute in una merce, che dunque viene distribuita a chi ha i mezzi per acquistarla, si tratti di individui o di Stati. Di conseguenza, in molti luoghi del mondo non solo sono ancora endemiche malattie che nei paesi sviluppati sono state da tempo debellate, ma anche eventi come la nascita sono ancora connotati da incertezza e pericolo. Tutto ciò non è più tollerabile, quindi la risposta alla sua domanda è si, c’è da augurarsi che questa sia l’occasione per uno slancio in avanti, un incremento della solidarietà globale e un riposizionamento delle priorità.

articolo pubblicato anche in noidonne.org

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Maria Antonietta La Torre insegna Sociologia dell’ambiente e del territorio presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli ed è membro del Consiglio Direttivo dell’Istituto Italiano di Bioetica e del Comitato Scientifico di alcune riviste e associazioni culturali. I suoi interessi di ricerca sono rivolti alla filosofia morale contemporanea, con particolare attenzione per l’etica applicata, la bioetica, l’etica ambientale e l’etica degli affari, e ha pubblicato numerosi volumi, saggi e articoli, oltre che di argomento più strettamente filosofico, anche sui temi della sostenibilità ambientale e della responsabilità etica delle imprese.

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