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“Sono uno che cerca di tradurre l’utopia in progetto. Non mi domando se è facile o difficile, ma se è necessario o no. E quando una cosa è necessaria, magari occorreranno molta fatica e molto tempo, ma sarà realizzata”. Sono parole di Danilo Dolci (1924-1997), sociologo, poeta, educatore, attivista, di cui ricorre quest’anno il centenario della nascita. Parole che definiscono il senso di un impegno politico in cui l’immaginazione – la capacità radicale di figurarsi la realtà in modo differente – gioca un ruolo centrale per tradursi in utopia concreta. La sua sarà una rivoluzione non violenta, ispirata, come per Aldo Capitini,all’insegnamento gandhiano e nutrita di idee operative,a partire negli anni 50 dal suo impegno a Nomadelfia – “la città dove la fraternità è legge” – al suo trasferimento in Sicilia, a Trappeto, dove le condizioni di vita sono disperate. “Certe case – scrive – sono in tali condizioni che un veterinario ne sconsiglierebbe l’uso alle vacche”. Dolci dà voce alle creature prive di diritti raccontandone le storie in Banditi a Partinico (1955) e Norberto Bobbio ne coglie assai bene, nella Prefazione al volume, la via singolare che caratterizzerà tutta la sua attività politica:” la via del non accettare la distinzione tra il predicare e l’agire, ma del far risaltare la buona predica dalla buona azione, e dal non lasciare ad altri la cura di provvedere, ma cominciare a pagare di persona”.In questo contesto viene organizzata una delle iniziative più clamorose: ‘lo sciopero alla rovescia”, quello dei disoccupati che, per denunciare la cronica mancanza di lavoro, lavorano. L’idea di base della manifestazione è che se un operaio, per protesta, si astiene dal lavoro, allo stesso modo un disoccupato può scioperare lavorando. Dunque, un’idea sorprendente di ribellione – quella di iniziare a riparare una strada abbandonataper denunciare l’inerzia delle autorità locali - che suscita le reazioni delle forze di governo provocando l’intervento della polizia con l’arresto di Dolci, accusato di istigazione alla disobbedienza e resistenza a pubblico ufficiale, e quindi processato e condannato a 50 giorni di carcere. Nasce il ‘caso Dolci’ che infiamma il Paese conquistando le prime pagine dei giornali e accendendo un vivace dibattito al Senato e alla Camera: da un lato si parla di “attività criminosa” e di “manifesta capacità di delinquere”, dall’altro si denunciano i modi dell’arresto e si chiede di prendere provvedimenti contro i funzionari della polizia. Dolci verrà scarcerato due mesi più tardi al termine di uno storico processo nel quale depongono, come testimoni per la difesa, Norberto Bobbio, Carlo Levi e Elio Vittorini, e in cui la difesa viene assunta da Piero Calamandrei che si impegna in una delle sue ultime battaglie.E’ non poco significativo che nella sua arringa, nel far riferimento all’eterno conflitto tra Antigone e Creonte, tra legge non scritta e legge positiva, Calamandrei osservi che qui c’è qualcosa di diverso. Dolci “non invoca la legge non scritta perché la nostra Costituzione è già stata scritta da 10 anni”. Mentre si consolida progressivamente il sostegno nazionale e internazionale alla sua opera – basti menzionare, tra i tanti, Guido Calogero, Ignazio Silone, Erich Fromm. Jean Paul Sartre, Bertrand Russell, Jean Piaget – continua lalotta per l’emancipazione del Sud contro la povertà e il sistema mafioso. Una tappa importante è rappresentata nel 1963 dal progetto per la diga sul fiume Jato che richiederà oltre 10 anni di mobilitazioni popolari per sottrarre alla mafia il monopolio delle scarse risorse idriche disponibili, consentendo la nascita di numerose cooperative e una crescita economica prima impensabile. Si tratta di quella che verrà denominata la ‘battaglia per l’acqua democratica” che consentirà di fornire acqua potabile a migliaia di persone che ne erano prive, anticipando significativamente l’odierna presa di coscienza del valore dell’acqua come bene comune.
Come si vede, per molti aspetti Dolci, oltre ad essere una figura chiave nella teoria e pratica della nonviolenza, resta un simbolo di resistenza civile e di impegno sociale e un protagonista della faticosa rinascita civile e democratica del nostro Paese. Il suo lavoro, che ha ricevuto riconoscimenti internazionali ma ha anche affrontato continue resistenze e repressioni ha comunque lasciato un’eredità significativa nella lotta per la giustizia sociale in Italia. La sua figura meriterebbe di essere maggiormente conosciuta—come ci invita a fare Giuseppe Barone in Danilo Dolci. Una rivoluzione non violenta (Ed.Altraeconomia)--specie dalle giovani generazioni anche se qualcosa del suo insegnamento sembra sopravvivere, ad es., nelle ‘trasgressioni’ di quei cittadini che riparano le strade a proprie spese, oltreché a proprio rischio e pericolo, e che vengono puniti per il loro zelo dalla pubblica amministrazione. Vere e proprie forme moderne di ‘sciopero alla rovescia’ che in realtà dovrebbero essere apprezzate come attestazioni di cittadinanza attiva.

Articolo di Luisella Battaglia pubblicato il 20 giugno 2024 in Il Secolo XIX 

 

 

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