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Genova, P.zza Verdi 4/4

Il dono del corpo ci mantiene umani dopo la morte. Editoriale di Luisella Battaglia

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Così si modifica la nostra etica di Luisella Battaglia
I cani in Corea del Sud non sono più commestibili. Per meglio dire, non lo saranno fra tre anni, quando entrerà in vigore la legge, approvata dal Parlamento, che vieta l’allevamento, la macellazione e la vendita di cani per la loro carne. Una ‘rivoluzione culturale ‘- così viene definita- che segna il loro passaggio di categoria: da animali ‘buoni da mangiare’ a ‘animali ‘buoni da pensare’, per riprendere una tradizionale distinzione che viene spesso ricordata per sottolineare la relatività delle nostre classificazioni come dei nostri gusti alimentari. Per nostra fortuna le culture non sono monolitiche né statiche, ma divengono teatro di contestazioni e di dibattiti che dirigono la riflessione su una serie di abominevoli pratiche ‘tradizionali’, dalla violenza domestica agli abusi sessuali sui minori finoalle torture sugli animali. I sistemi giuridici mondiali sono ancora molto indietro là dove sono chiamate in causa le vite degli animali anche se sono stati fatti progressi a livello locale e statale in varie nazioni, sempre, tuttavia, in modo disomogeneo dal momento che, ad esempio, non si riescono a proteggere adeguatamente gli animali allevati nell’industria della carne. La legge della Corea del Sud può considerarsi il risultato di un duplice processo: la crescente consapevolezza nella società dello status morale degli animali come esseri senzienti, e l’aumento del numero di detentori di animali domestici che ha favorito il passaggio dei cani nella categoria protetta degli animali da compagnia, membri della famiglia. Sul rapporto speciale che ci lega agli animali familiari che condividono la nostra vita si potrebbe parlare – per riprendere un’espressione del conservatore Roger Scruton, forte critico dell’animalismo - di una componente di ‘favoritismo’ che, a suo avviso, compare inevitabilmente nei nostri rapporti col mondo animale, portandoci a privilegiare quelle specie che contribuiscono alla nostra felicità domestica e con le quali sembra esistere da tempo “un trattato di mutua assistenza”. Da qui il profondo senso di affinità che proviamo nei loro confronti e che fa sì che possiamo considerarli nostri “vicini prossimi”attribuendo loro il riconoscimento di “appartenenza onoraria alla comunità umana” riservato ad una ristretta cerchia di animali protetti perché degni delle nostre preferenze. Un’etica, quindi, valida per i soli animali familiari. E gli altri animali? Scruton afferma che non devono essere trattati come ‘cose’, considerata la loro capacità di soffrire, ma non esita a ridurli a semplici mezzi, strumenti per soddisfare i nostri bisogni, sia pure giudiziosamente bilanciati. “E’ parte del pathos di un animale da compagnia stare sempre sulla soglia del dialogo morale”. La riflessione testimonia un’innegabile sensibilità zoofila, ma Scruton non si avvede che il pathos di cui parla è in realtà proprio della condizione stessa di ogni vita animale e rappresenta in certo modo il contrassegno stesso della sua tragicità. Potenzialmente ogni animale “sta sulla soglia del dialogo morale”: sta a noi aprire quella porta. Non dipende da lui, dalle sue capacità, virtualmente presenti in un maiale come in un vitello, non solo in un cane, un gatto o un cavallo. Siamo stati noi umani ad aver valorizzato le capacità relazionali negli animali familiari ma esse – ce lo insegna l’etologia cognitiva - sono presenti anche in tutti gli ‘altri’ che abbiamo escluso dalla comunicazione.Mi sembrano di particolare rilievo, a questo riguardo, le parole del filosofo Alain secondo cui non è permesso supporre lo spirito nelle bestie giacché ogni ordine sarebbe presto minacciato se si lasciasse credere che il vitellino ama sua madre o che teme la morte.Noi oggi sappiamo indubitabilmente che il vitellino ama la madre e teme la morte. Le nostre conoscenze sulla vita animale sono aumentate in maniera tale da indurci a riconsiderare le nostre precedenti assunzioni: non solo non possiamo presupporre l’insensibilità o l’assenza di attività mentale ma, viceversa, dobbiamo tener conto di una serie di dati fattuali e scientifici che dimostrano analogie di comportamenti, anche complessi, tra umani e non umani.

articolo di Luisella Battaglia pubblicato ne' Il Secolo XIX dell'11 gennaio 2024

 

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