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Genova, P.zza Verdi 4/4

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Che significato ha per lei, in quanto psicologa e psicoterapeuta, la parola 'cura'?
La parola ‘cura’ è collegata necessariamente ad una visione della salute come stato di benessere ‘biopsicosociale’, come diritto fondamentale nel quale salute e malattia sono il risultato di processi, non solo biologici e psicologici, ma anche culturali, sociali, ambientali e politici. La ‘cura’ non può quindi prescindere da una visione olistica delle relazioni tra corpo-psiche-ambiente, ma deve necessariamente fondare le sue radici sull’integrazione di discipline diverse partendo dalla condivisione del percorso di cura con il curante, riappropriandoci del processo di guarigione attraverso l’ascolto e la valorizzazione dei propri aspetti emozionali e sensoriali. Affidare solo alla scienza e alla tecnologia la guarigione della malattia, non basta per riuscire a ritrovare quell’unità necessaria al raggiungimento di un nuovo e diverso equilibrio e ricomporre un’armonia compromessa. Facilitare questo percorso significa attivare quelle capacità di recupero e adattamento, re-imparando a fidarci delle nostre sensazioni, anche attraverso l’ascolto del nostro corpo. Le modalità di accesso possono essere diverse a seconda delle caratteristiche individuali del malato, del suo modo di sentire e di agire.

Come si coniuga e come si declina il concetto di 'bellezza' alle necessità della persona bisognosa di cure?
Si parla di perfetto accordo tra arte e scienza:
- scienza, come conoscenza di tutte le condizioni che riguardano la salute dell’uomo;
- arte, come capacità di applicare la conoscenza alla cura delle malattie, considerando la singolarità di ogni malato, in una relazione terapeutica in cui la comunicazione stessa diventa ‘arte’ e in cui intervengono quell’insieme di caratteristiche che appartengono all’arte come intuizione, passione, emotività, illuminazione, aggiungendo umanità nella relazione di aiuto.
L’utilizzo dell’arte nella cura, come la pittura e la scultura nella produzione di opere artistiche apprezzate per la loro bellezza e forza emotiva, può essere in grado di comunicare con il ‘Sé’ di ogni individuo, inteso come il nucleo della personalità, come “realtà ontologica”, riguardante la natura e la conoscenza dell’essere.

Sulla base delle sue esperienze umane e professionali, quali sono - o potrebbero essere - i vantaggi che questo approccio porta a chi ha bisogno di cure e a chi le gestisce?
Anche attraverso la bellezza dell’arte, che si esprime con le immagini, i suoni, i colori, noi possiamo raggiungere quelle parti del Sé, quei frammenti rinnegati, ma necessari al nostro benessere, ed accoglierli all’interno dello spazio della nostra consapevolezza. Ciò avviene quando le immagini risuonano dentro di noi, come espressione di un bisogno profondo che una determinata opera d’arte ci rimanda, senza imposizioni, ma per assonanza di colori, forme o suoni, aiutandoci ad attivare le nostre capacità di recupero e di adattamento per affrontare situazioni avverse, con nuove modalità, non usuali.
Spesso, piccole variazioni nei pensieri, nelle emozioni, nelle azioni possono essere l’inizio di altri cambiamenti, possono costituire l'attivazione di potenzialità creative, di nuove risorse, a volte assopite dalla malattia e dall’angoscia, proprio come in un sistema dinamico che può evolvere, sensibile alle condizioni iniziali, in modo imprevedibile nel tempo. Anche nella malattia entriamo in una situazione di disordine emotivo, di sofferenza, di caos, proprio come l’equilibrio di un sistema che non è statico, ma fluttuante. In psicologia e in psicoterapia il concetto di caos viene applicato per comprendere il comportamento umano in situazioni complesse e incerte, sottolineando che anche piccole variazioni possono portare a grandi cambiamenti, come avviene per il cosiddetto effetto farfalla descritto da E. Lorenz, introducendo la teoria del caos (1963). In questa ottica, la bellezza dell’arte associata alla cura può diventare un mezzo espressivo di libertà, di accesso al cambiamento e alla trasformazione.
Ed ecco che, accanto alle terapie tradizionali, si accostano terapie complementari, come la prescrizione di visite ai musei o a mostre d'arte.

Quanta bellezza incontriamo nei luoghi della cura?
Anche i luoghi di cura dovrebbero essere più piacevoli, confortevoli (illuminazione con tonalità calde e rilassanti), luoghi in cui si possa mantenere la propria singolarità, pur nel rispetto della fragilità. Già in alcune realtà ospedaliere vengono utilizzati sia la musica sia il ballo, sia immagini artistiche, come ad esempio nella neuroriabilitazione, perché lavorare con l’arte favorisce un maggior slancio emotivo che ci fa identificare, con meno sforzo, nell’azione osservata.
Da ultimo, non possiamo dimenticare che, sin dal medioevo, i luoghi di cura erano arricchiti di opere d’arte di norma collocate negli ingressi e nei luoghi comuni. Era, peraltro, normale che i benefattori nel tempo continuassero a donare quadri di artisti per lo più locali, in quel momento in auge, così da realizzare delle vere e proprie gallerie d’arte, anche a disposizione dei visitatori. Con la costruzione delle moderne strutture sanitarie, la maggior parte delle opere è rimasta nei vecchi ospedali, non più adatti all’esigenza della nuova medicina. Attualmente, nei luoghi di cura vengono esposte delle raffigurazioni di opere d’arte storiche, usate come strumento terapeutico, ma anche come spazio piacevole per i familiari e per tutti coloro che lavorano nella struttura. Luoghi in cui la scienza e le nuove tecnologie interagiscono con le opere d’arte.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini

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