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Le dimissioni della premier neozelandese Jacinta Ardern hanno suscitato, come era prevedibile, un acceso dibattito sul rapporto tra donne e politica. Come giudicare la scelta di dimettersi senza aspettare la fine del mandato? Il ritiro anticipato rivela forse un conflitto irrisolto tra vita privata e impegno pubblico? E’ troppo gravoso per una giovane donna che sia anche madre il peso del potere? Si è trattato di una decisione dettata solo dalla stanchezza? La stessa premier ha dichiarato di aver esaurito le sue energie e di non sentirsi più in grado di svolgere adeguatamente il suo compito. Sarebbe dunque la cura di sé la motivazione fondamentale delle sue dimissioni?

Senza negare l’importanza di tale motivazione, credo occorra fare riferimento anche a una visione della politica ispirata come suo valore centrale alla cura, una visione di cui la Ardern ha dato testimonianza fin da giovanissima col suo impegno per i diritti dei lavoratori e nei tempi assai difficili del suo mandato.

Socialdemocratica e progressista, la Ardern si è concentrata in particolare sui problemi relativi alla povertà infantile, al sostegno della maternità e alla disuguaglianza sociale, dando la priorità alle spese per sanità e istruzione, rispondendo coraggiosamente agli attentati terroristici di Christchurch, introducendo leggi restrittive sulle armie affrontando con ottimi risultati la pandemia del Covid. Una politica, potremmo dire, intesa come servizio alla collettività, ideale alto ma anche compito gravoso, cui rinunciare quando non ci sente più all’altezza: un’idea bizzarra, assai difficile da comprendere per una classe politica fermamente convinta che il potere logora chi non ce l’ha…Molte sono state negli ultimi decenni le studiose impegnate a rivendicare il valore sociale e politico della cura. Tra di esse, Carol Gilligan ha inaugurato un filone di studi imperniato sulla valorizzazione di una voce femminile nell’etica; Sara Ruddick ha analizzato la ricchezza filosofica del pensiero materno mostrando i suoi legami con una politica della pace; Carolyn Merchant ha associato nella visione ecofemminista liberazione della donna a liberazione della natura; Joan Tronto ha mostrato come una democrazia abbia bisogno della cura per una nuova idea della cittadinanza. Soggetti e oggetti di cura: tali sono gli esseri umani, capaci insieme, uomini e donne, di dare e ricevere cura. Ciascuno di noi nella sua vita ne ha fatto e ne farà esperienza: nella prima infanzia abbiamo avuto bisogno delle cure parentali; nella maturità siamo bisognosi di accudimento per incidenti di percorso (malattia, inabilità temporanea etc.), nella vecchiaia saremo tutti inevitabilmente meno autosufficienti, meno capaci, più dipendenti. Pur se elaborato nell’ambito della cultura femminista e, più in generale, del pensiero delle donne, sarebbe sbagliato quindi riconoscere nella cura un valore esclusivo del mondo femminile dal momento che essa, come condotta pratica, è chiamata a informare la vita politica dei cittadini.

Una politica ispirata all’idea di cura chiede una forma matura e laica di solidarietà, un’etica pubblica aperta ai bisogni, sensibile alle differenze, fondata su un’idea di cittadino non come soggetto astrattamente indipendente ma come persona concretamente interdipendente. Il che significa: in relazione cogli altri e più o meno bisognosa di loro. A questa visione si è richiamata costantemente nella sua azione politica la Ardern che, con le sue dimissioni anticipate, ha dato prova del senso della responsabilità cui una buona politica dovrebbe richiamarsi. Una lezione per i politici di casa nostra?

Articolo della prof.ssa Luisella Battaglia pubblicato il 20 gennaio 2023 ne' Il Secolo XIX - Le idee

Il passo indietro di Jacinda e la politica come servizio

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