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Esperimenti sui macachi: la sentenza del Consiglio di Stato. Articolo di Luisella Battaglia pubblicato il 1° febbraio 2021 (Il Secolo XIX) “Gli esperimenti sui macachi possono riprendere”. La recente sentenza del Consiglio di Stato ha suscitato, come era facile prevedere, uno scontro sulla sperimentazione animale, che ha visto la trionfale discesa in campo della senatrice Elena Cattaneo che non ha esitato a definire la lotta degli oppositori “una campagna negazionista delle evidenze scientifiche, al pari e con la stessa competenza di quelle antivacciniste e terrapiattiste”. Per ricapitolare: la scienza contro l’anti scienza, la sapienza contro l’ignoranza, la civiltà contro la barbarie…In questo modo è stato disinvoltamente liquidato uno dei temi più delicati e complessi del dibattito bioetico, una vera e propria vexata quaestio che dovrebbe esigere la più meditata riflessione e, soprattutto, il maggior rispetto delle differenti opinioni in campo. La senatrice sembra infatti ignorare che non è possibile rispondere a quesiti specifici su tale materia senza prima aver affrontato quelli che riguardano, da un lato, le ragioni e i valori in nome dei quali ci sentiamo autorizzati a disporre della vita degli animali e, dall’altro, la stessa immagine della scienza come sapere finalizzato sui cui obiettivi, metodi e strategie si impone una riflessione in termini di etica della responsabilità. Perché, in effetti, proprio di questo si tratta. Non si danno, da un lato, le ragioni della scienza e, dall’altro, quelle dell’etica, ma piuttosto siamo di fronte, che ci piaccia o no, a differenti modelli di etica della scienza: l’uno che ammette sia la liceità etica che la validità scientifica della sperimentazione animale e intende regolarla, introducendo regole, direttive e criteri; l’altro che nega sia la sua liceità etica sia la validità scientifica, chiedendo di valorizzare e incentivare metodologie alternative. Il sorgere all’interno della stessa comunità scientifica del fenomeno dell’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale, oltre a testimoniare una cultura del rispetto nei confronti delle altre specie e una crescente consapevolezza dei problemi etici connessi alla ricerca, non rende pertanto più sostenibile l’accusa rivolta ai dissenzienti di collocarsi al di fuori della scienza, di sostenere le ragioni dell’oscurantismo contro quelle del progresso. La crescente sensibilità della società contemporanea nei confronti della sperimentazione animale ha trovato una significativa espressione nella legge 413 del 1993 che riconosce il diritto a tutti i cittadini che “si oppongono alla violenza su tutti gli esseri viventi” di dichiarare la propria obiezione di coscienza ad ogni atto connesso con la sperimentazione animale. La stessa legge stabilisce che vengano istituiti insegnamenti di metodologie alternative, oltre a formulare l’auspicio di un miglior coordinamento a livello internazionale per lo sviluppo e la convalida di metodi alternativi. Vorrei aggiungere che i dubbi avanzati sulla sperimentazione sui primati non umani sono più che fondati e richiamano alcune proposte - tra cui il notissimo “Progetto grande scimmia” sottoscritto da un gran numero di scienziati, biologi, etologi e filosofi nel 1994 - intese a individuare priorità etiche basate sulla filogenesi e identificate come scale di valori nel diverso sviluppo neurologico. In effetti, quanto più simili filogeneticamente sono gli esseri, tanto più i problemi etici appaiono gravi e di difficile soluzione. Non posso non ricordare quanto scriveva a questo riguardo un grande studioso, Giovanni Berlinguer, già presidente del CNB: “Pur non essendo le altre specie tenute ad avere obblighi e doveri morali verso gli uomini, questi sono tenuti ad averne nei loro confronti: tanto maggiori quanto maggiore è l’affinità di specie”.

MACACHI E BIOETICA, articolo di Luisella Battaglia pubblicato il 1° febbraio 2021 (Il Secolo XIX)

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