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Direttive anticipate ed eutanasia
Documento a cura dell'Istituto Italiano di Bioetica - Campania
Il cosiddetto “testamento biologico” rappresenta un possibile esempio di consenso per intersezione. Difatti, la disposizione anticipata del rifiuto di future terapie considerate come un inutile accanimento terapeutico sul corpo della persona umana è oggi condiviso sia da etiche fondate sul rispetto del diritto naturale, sia su etiche che fanno riferimento ad una visione religiosa del mondo (quella a cui, per esempio, fa riferimento la cultura cattolica) sia da etiche secolari variamente ispirate all’utilitarismo, all’esistenzialismo filosofico, al contrattualismo ed al liberalismo politico.
Ogni posizione filosofica e/o religiosa perviene alla determinazione etica della sospensione di pratiche sproporzionate o straordinarie, o del rifiuto dell’accanimento terapeutico per strade proprie e con motivazioni coerenti con la propria visione complessiva del mondo (ed è questa, appunto, l’intersezione dei valori). Su tale base etica si può raggiungere anche l’accordo politico, da tradurre poi in una normativa giuridica stabile e condivisa dai più.
Sarebbe auspicabile, quindi, una sollecita attività legislativa in tale campo (cosa che si sta avviando in questi giorni nel Parlamento italiano) in modo da consentire l’effettività di tale scelta etica anche a soggetti che non siano più in condizione di esprimere o di far conoscere direttamente una scelta cosciente. Questo consentirà, ad esempio, di evitare in futuro situazioni come quella di Eluana Englaro che, attraverso il suo rappresentante legale, ha chiaramente espresso la volontà di non proseguire in inutili terapie, mentre medici e tribunali le impongono la permanenza in uno stato vegetativo persistente, peraltro rifiutato in modo esplicito dal soggetto quando era nelle sue piene capacità d’intendere e di volere. In tal modo autonomia e libertà del paziente nell’ambito delle relazioni terapeutiche (sancite anche dalla Costituzione, all’art. 32) saranno integralmente rispettate, tutelate e garantite.
Oggi, infatti, per il malato in situazione di “terminalità di vita” non più cosciente decidono o i medici che lo hanno in cura in ospedale oppure i parenti, ai quali viene affidato in ultima istanza quando si ritiene che non ci sia più nulla da fare dal punto di vista della regressione dello stato patologico. Il risultato è che, spesso, ci si accanisce terapeuticamente con una persona finché è in ospedale per poi abbandonarla completamente al suo destino di sofferenza una volta a casa e senza neppure le adeguate attività di sostegno sociale a coloro che la prendono in carico a domicilio!
La rinuncia a terapie ritenute inutili o sproporzionate, anche col rischio ponderato di andare incontro alla morte provocata dal decorso “naturale” della malattia, rientra nell’ambito del diritto all’autodeterminazione individuale. Molti si chiedono se, nello stesso ambito, non rientri anche la richiesta di un aiuto diretto a morire, nella forma di un suicidio assistito, oppure della vera e propria eutanasia attiva (su questi temi è stata aperta la discussione più recente, autorevolmente sollecitata anche dallo stesso Presidente della Repubblica Napolitano in risposta alla lettera del vice-presidente dell’Associazione Luca Coscioni).
Del resto, forme di regolamentazione giuridica, sia della prima che della seconda opzione, esistono in alcune Nazione d’Europa, anzi, perfino in paesi in cui non esiste ancora una normativa giuridica esplicita, spesso il diritto viene eluso di fronte a casi di soprressione “pietosa” della vita (vedi, per esempio, il caso Forzatti in Italia). In ogni caso, ci si trova di fronte a un tema scottante e urgente sul quale è opportuno aprire la discussione pubblica e avviare una ponderata e articolata riflessione, come del resto auspicato dal Presidente Napolitano.
Il contrasto eventuale è tra chi considera la vita come uno dei beni eticamente disponibili nella determinazione della persona e chi la considera, invece, indisponibile o per ragioni filosofiche o perché la ritiene un dono divino da rispettare e accogliere. Di fronte a tale divaricazione teorica, che talvolta rischia di diventare vera e propria “estraneità morale”, è difficile immaginare un consenso per intersezione. In proposito, forse, ci si dovrà accontentare di un dibattito pubblico che tenti di delineare al meglio le diverse opzioni morali, affidandosi a una norma giuridica che, in qualche modo, pur operando una scelta controversa, tenga conto anche dell’opzione esclusa.
Ad ogni modo, il contrasto sulle eventuali opzioni di eutanasia attiva non deve impedire l’accordo, peraltro possibile, sulle direttive anticipate di trattamento sanitario, sulle opzioni di sospensione eventuale di cure disumane o sproporzionate, sul diritto di morire con dignità.
Una seria e pacata discussione pubblica tra laici e cattolici dovrebbe saper tenere distinte le due questioni e trovare tutti i possibili punti di convergenza sia sul piano filosofico morale che su quello biopolitico.
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