Fusco_Mater semper certa est
Mater semper certa est (o quasi...)
Riflessioni sulla maternità desiderata, voluta e negata alla luce della recente pronunzia del Tribunale di Roma sul caso delle provette scambiate
Mauro Fusco - Avvocato e Dottore di ricerca in Bioetica
(pubblicato su Diritto & Giustizi@ del 9.9.2014)
A pochi mesi dall'ormai storica sentenza n. 162 del 9 aprile 2014, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l'incostituzionalità del divieto alla fecondazione eterologa contenuto nella legge n. 40/2004, la procreazione assistita ritorna agli onori delle cronache, giuridiche e non, con un'altra pronuncia che ha fatto molto discutere, ovvero la decisione del Tribunale di Roma dell'8 agosto 2014 (est. S. Albano) sullo scambio di provette verificatosi all'ospedale Pertini di Roma.
Senza entrare più di tanto nel merito della questione, già affrontata sulle pagine di questo quotidiano, appare interessante soffermarsi su come la questione, spinosa e delicata, posta all'attenzione del giudice romano, evidenzi le numerose lacune con cui ancora oggi il sistema del diritto di famiglia italiano deve fare i conti in relazione alle applicazioni, buone e cattive, delle tecniche di procreazione assistita.
Senza entrare più di tanto nel merito della questione, già affrontata sulle pagine di questo quotidiano, appare interessante soffermarsi su come la questione, spinosa e delicata, posta all'attenzione del giudice romano, evidenzi le numerose lacune con cui ancora oggi il sistema del diritto di famiglia italiano deve fare i conti in relazione alle applicazioni, buone e cattive, delle tecniche di procreazione assistita.
Fecondazione eterologa o maternità surrogata “per errore”? Nel caso in questione due coppie di genitori sono trovati a contendersi i gemellini nati in seguito ad uno scambio di provette nel corso di applicazione di tecniche di tipo omologo, con la conseguente tragic choice del Tribunale di Roma di stabilire se dovesse prevalere la genitorialità genetica (della coppia titolare dei gameti involontariamente “donati”) o la genitorialità biologica (della madre che ha portato avanti la gravidanza involontariamente ed in consapevolmente “surrogandosi” alla madre genetica).
Ci si è trovati di fronte, dunque, nel caso di specie, ad una fecondazione eterologa “per errore”, se consideriamo l'accaduto con riferimento ai gameti, e/o ad una maternità surrogata parimenti “per errore”, se invece si consideri la fattispecie sotto il profilo della gestazione. In ogni caso, quale che sia l'approccio, l'episodio si rivela una fattispecie completamente nuova per la quale né le norme e la giurisprudenza sull'eterologa né tantomeno quelle sulla maternità surrogata potevano trovare applicazione.
Le norme della legge 40 (art. 9) che disciplinano, seppur in parte, la fecondazione eterologa (e che la disciplinavano già prima che la scure della Consulta si abbattesse sul relativo divieto nell'aprile scorso) prevedono, infatti, l'ipotesi in cui la coppia che abbia dapprima prestato il consenso, decida poi, di disconoscere il figlio una volta nato (il padre) o di non farsi menzionare nel certificato di nascita (la madre). Tali norme recepiscono l'orientamento giurisprudenziale più recente, formatosi dalla fine degli anni '90 in poi sulla base delle pronunzie della Corte Costituzionale (sentenza n. 347/1998) e della Corte di Cassazione (sentenza n. 2315/1999), secondo cui l'aver prestato il consenso impedisce poi successivi ripensamenti o disconoscimenti. È tuttavia lapalissiano che nella fattispecie in questione non vi sia alcuna intenzione di disconoscimento da parte dei soggetti coinvolti e che, anzi, ci si trovi di fronte ad un consenso, da parte di entrambe le coppie, tanto forte da superare anche l'evento, increscioso, di accettare un figlio geneticamente non proprio o partorito da un'altra donna.
Ci si è trovati di fronte, dunque, nel caso di specie, ad una fecondazione eterologa “per errore”, se consideriamo l'accaduto con riferimento ai gameti, e/o ad una maternità surrogata parimenti “per errore”, se invece si consideri la fattispecie sotto il profilo della gestazione. In ogni caso, quale che sia l'approccio, l'episodio si rivela una fattispecie completamente nuova per la quale né le norme e la giurisprudenza sull'eterologa né tantomeno quelle sulla maternità surrogata potevano trovare applicazione.
Le norme della legge 40 (art. 9) che disciplinano, seppur in parte, la fecondazione eterologa (e che la disciplinavano già prima che la scure della Consulta si abbattesse sul relativo divieto nell'aprile scorso) prevedono, infatti, l'ipotesi in cui la coppia che abbia dapprima prestato il consenso, decida poi, di disconoscere il figlio una volta nato (il padre) o di non farsi menzionare nel certificato di nascita (la madre). Tali norme recepiscono l'orientamento giurisprudenziale più recente, formatosi dalla fine degli anni '90 in poi sulla base delle pronunzie della Corte Costituzionale (sentenza n. 347/1998) e della Corte di Cassazione (sentenza n. 2315/1999), secondo cui l'aver prestato il consenso impedisce poi successivi ripensamenti o disconoscimenti. È tuttavia lapalissiano che nella fattispecie in questione non vi sia alcuna intenzione di disconoscimento da parte dei soggetti coinvolti e che, anzi, ci si trovi di fronte ad un consenso, da parte di entrambe le coppie, tanto forte da superare anche l'evento, increscioso, di accettare un figlio geneticamente non proprio o partorito da un'altra donna.
Del pari non può trovare applicazione la copiosa giurisprudenza in materia di maternità surrogata nell'ipotesi di contrasto tra la madre vicaria (o surrogante o gestante o biologica) che non intenda più consegnare il figlio e la madre surrogata (sia essa genetica o no). Anche tale questione, che è stata tradizionalmente risolta dalla giurisprudenza di merito (cfr. ex plurimis Tribunale di Monza del 27.10.1989) in senso favorevole a colei che porta avanti la gestazione, può soltanto limitatamente applicarsi al caso di specie atteso che, a differenza della maternità surrogata "consapevole", manca qualsivoglia prestazione di consenso e qualsivoglia accordo contrattuale che disciplini i rapporti tra le parti e la successiva filiazione, ammesso che possa costituire, quest'ultima, oggetto di contratto (cfr. sul punto la storica e contestatissima “ordinanza Schettini” del Tribunale di Roma del 17 febbraio 2000).
I principi richiamati dal Tribunale di Roma … Consapevole di trovarsi dinanzi ad una fattispecie nuova, il giudice Albano fonda la propria decisione su tre argomentazioni principali. La prima è che «Il diritto della personalità costituito dal diritto all’identità appare sempre più sganciato dalla verità genetica della procreazione e sempre più legato al mondo degli affetti ed al vissuto della persona cresciuta ed accolta all’interno di una famiglia», la seconda è che «La riforma della filiazione ha mantenuto il principio in base alla quale è il parto che determina la maternità naturale» (con l'applicazione letterale degli art. 269, comma 3, e 231 del c.c., secondo cui madre è chi partorisce e il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio), la terza è che, essendo il figlio già nato, il migliore interesse del minore è continuare ad essere cresciuto dalla coppia che lo ha accolto come figlio dalla gestazione ai primi momenti della nascita, evitando il successivo traumatico distacco.
Per quanto sicuramente validi, i tre assunti in questione lasciano, tuttavia, alcune perplessità. Per quanto concerne il primo assunto, se questo è sicuramente valido per quanto concerne l'adozione e la procreazione assistita, ovvero in ipotesi in cui l'alternativa alla genitorialità priva di verità genetica è o lo stato di abbandono del minore (adozione) o la nascita mancata (come nell'ipotesi di divieto all'eterologa, oggi superato), è senza dubbio meno forte in ipotesi in cui ci si trovi a dover scegliere, tra più coppie in conflitto, quale sia la più idonea a crescere il nascituro.
Per quanto concerne il secondo aspetto, se è incontestabile che da duemila anni a questa parte la mater certa è sempre colei che ha partorito, è parimenti innegabile che forse sarebbe il caso che il legislatore (o la Corte Costituzionale) prendano atto che tale postulato possa a volte rivelarsi fallace, soprattutto laddove oggi i progressi della scienza e della medicina sono in grado di scomporre addirittura in tre il ruolo materno (madre genetica per l'ovulo, madre biologica per l'utero e madre “adottiva” che crescerà il figlio). Sotto questo profilo, forse la richiesta dei ricorrenti di rimettere al vaglio della Consulta tali norme avrebbe potuto senz'altro essere accolta in quanto tutt'altro che irrilevante o manifestamente infondata.
Per quanto concerne il secondo aspetto, se è incontestabile che da duemila anni a questa parte la mater certa è sempre colei che ha partorito, è parimenti innegabile che forse sarebbe il caso che il legislatore (o la Corte Costituzionale) prendano atto che tale postulato possa a volte rivelarsi fallace, soprattutto laddove oggi i progressi della scienza e della medicina sono in grado di scomporre addirittura in tre il ruolo materno (madre genetica per l'ovulo, madre biologica per l'utero e madre “adottiva” che crescerà il figlio). Sotto questo profilo, forse la richiesta dei ricorrenti di rimettere al vaglio della Consulta tali norme avrebbe potuto senz'altro essere accolta in quanto tutt'altro che irrilevante o manifestamente infondata.
Per quanto concerne l'ultimo e più delicato aspetto, ovvero, l'interesse del minore, è il caso di effettuare alcune ulteriori considerazioni. Nella fattispecie la nascita anticipata dei bambini rispetto alla pronunzia del giudice, che ha di fatto reso improcedibili parte delle originarie domande dei ricorrenti relative alla sospensione dell'iscrizione anagrafica dei nascituri, ha senz'altro influito sulla decisione finale, così come emerge dalle parti conclusive della sentenza.
Restano, tuttavia, alcuni difficili interrogativi. Sarebbe stata uguale la decisione nell'ipotesi in cui i gemellini non fossero ancora nati e non fossero già stati accolti nella famiglia della madre che li ha partoriti? Dovendo scegliere sul migliore interesse dei nascituri il giudice si sarebbe comportato allo stesso modo nell'ipotesi in cui la coppia che ha portato avanti la gravidanza non fosse la più idonea a soddisfare il “migliore interesse” del nascituro (ad esempio si sia segnalata per comportamenti irresponsabili di uno o entrambi i coniugi o che si traducano nel pericolo di non accettazione del nascituro)? Sotto un diverso profilo, siamo sicuri che il legame (che è innegabile, anche alla luce degli insegnamenti degli psicologi) che si instaura tra il nascituro e la gestante nei mesi di gravidanza sia più forte dell'impatto psicologico che ha sul minore la consapevolezza di non avere alcun legame di sangue con la coppia che lo ha cresciuto, che la sua parentela è frutto di “un errore” che lo ha privato dei suoi genitori genetici che (a differenza del minore abbandonato) erano pronti ad accettarlo comunque ed, anzi, a lottare giudizialmente per averne l'affidamento? Ed ancora, riprendendo provocatoriamente una problematica oggetto di aspre polemiche nel dibattito sulle approvande linee guida sull'eterologa, nell'ipotesi in cui le due coppie fossero state di etnia diversa, siamo sicuri che sarebbe stato meno traumatico per il nascituro/i il distacco dalla gestante, piuttosto che la crescita in una famiglia con due genitori visibilmente diversi da sé, non solo geneticamente, ma anche per tratti somatici?
Conclusioni (relative). Nel lasciare a chi legge l'arduo compito di riflettere su tali interrogativi, che rendono evidenti le difficoltà di decidere in una materia così delicata, non si può che concludere sul fatto che nel nostro paese siamo ben distanti dal raggiungere una regolamentazione efficiente della filiazione in relazione all'applicazione delle tecniche di procreazione assistita, soprattutto dopo che la sentenza n. 162/2014 della Corte Costituzionale ha scoperchiato il “vaso di Pandora” della procreazione eterologa, e questo a prescindere dalle ipotesi gravissime di malasanità che hanno determinato il caso in esame.