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Tutto da rifare sul test preimpianto.
Embrioni salvi ma con tanti dubbi. Stop “tecnico” della Consulta: l’appuntamento è rimandato
Mauro Fusco
(tratto da: “D&G - Diritto e giustizia” n.43 del 25.11.2006)
Nulla di fatto. Si conclude con una pronuncia di inammissibilità, ovvero l’ordinanza n. 369 del 9 novembre 2006 (pubblicata su Diritto & giustizia on line del 10 novembre) l’iter compiuto dalla legge sulla procreazione medicalmente assistita dinanzi alla Corte Costituzionale. La pronuncia, che era attesa da oltre un anno dagli “addetti ai lavori” oltre che dalle centinaia di coppie portatrici di malattie trasmissibili alle quali la legge 40 preclude da oltre due anni la possibilità di ricorrere alle tecniche, arriva tuttavia in un momento storico in cui il dibattito sulla procreazione assistita ha ormai esaurito lo slancio della stagione referendaria e del mediatico “fuoco fatuo” che normalmente accompagna tutte le questioni di bioetica. Non è un caso, a tal proposito, che a dispetto del notevole lasso di tempo intercorso tra il 16 luglio 2005, data dell’ordinanza con cui il Tribunale di Cagliari ha sollevato la questione, ed il giorno dell’udienza, 24 ottobre 2006, la decisione sia stata presa in tempi brevissimi (il dispositivo è stato reso noto il giorno stesso dell’udienza e le motivazioni depositate il 9 novembre).
Prima di entrare nel merito, peraltro scarso, della pronuncia dei giudici delle leggi, è tuttavia indispensabile richiamare brevemente i termini del problema, già esaminato in passato sulle pagine di questa Rivista (Cfr. «D&G» n. 33/2005). La questione di legittimità costituzionale di cui trattasi, aveva ad oggetto l’art. 13 della legge 40, nella parte in cui impedisce a coppie portatrici di malattie trasmissibili di effettuare la diagnosi preimpianto sugli embrioni creati in vitro e di richiedere il trasferimento in utero unicamente di quelli risultati sani. A riguardo nell’ordinanza di rimessione si legge che l’interpretazione letterale di detto articolo, che non ammette eccezioni al divieto di effettuare forme di selezione sugli embrioni impedendo di fatto la diagnosi preimpianto, provoca “un conflitto coinvolgente, da un lato, la tutela della salute della ricorrente e, dall'altro, la tutela dell'embrione”. Di qui la decisione di richiedere quell’intervento dei giudici costituzionali più volte rifiutato dai tribunali civili ed amministrativi chiamati a dirimere le prime controversie sorte in seguito all’entrata in vigore della legge 40. Nel sollevare la questione di costituzionalità, il giudice Donatella Satta del Tribunale di Cagliari commetteva tuttavia l’errore, se di errore può parlarsi, di osservare che “il divieto della diagnosi preimpianto è comunemente desunto anche dalla interpretazione della legge alla luce dei suoi criteri ispiratori, dai quali emerge la preoccupazione di restringere entro limiti rigorosi la ricerca scientifica sugli embrioni, in via generale vietata salvo le eccezioni previste dalla legge, nonché l'intento di garantire in tale ottica la massima tutela della salute e dello sviluppo dell'embrione” nonché dal divieto generale di crioconservazione e di soppressione di embrioni, contenuto nell’art. 14.
La presenza di tale inciso costituisce invero l’unico motivo per cui la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità, ravvisando “la contraddizione in cui il Tribunale incorre nel sollevare una questione volta alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di una specifica disposizione nella parte relativa ad una norma (il divieto di sottoporre l’embrione, prima dell’impianto, a diagnosi per l’accertamento di eventuali patologie) che, secondo l’impostazione della stessa ordinanza di rimessione, sarebbe però desumibile anche da altri articoli della stessa legge, non impugnati, nonché dall’interpretazione dell’intero testo legislativo «alla luce dei suoi criteri ispiratori»”. Nulla che attenga al merito, quindi, ma soltanto un invito implicito a riformulare l’eccezione, impugnando tutte le norme che sono alla base del divieto e non soltanto l’art. 13.
La motivazione, sicuramente laconica, dell’ordinanza non può tuttavia che destare una certa perplessità, soprattutto se si tengono in considerazione le inevitabili conseguenze. Al di là di ogni giudizio sulla correttezza giuridica delle scarne argomentazioni dei giudici costituzionali, la decisione, rectius la “non decisione”, in esame si presenta invero come una scelta più politica che giuridica dagli effetti quantomeno dirompenti. Se valutata unitamente al fallimento del referendum abrogativo, ai numeri esigui della maggioranza che supporta l’attuale governo ed ai tempi tecnici che intercorrono tra il sollevamento di una questione di costituzionalità e la pronuncia della Consulta, l’ordinanza del 9 novembre ha, infatti, senza ombra di dubbio l’effetto di costituire una sorta di “blindatura” giuridica di un testo legislativo che difficilmente, almeno nel breve e nel medio periodo, potrà trovare emendamenti di sorta. Sulla necessità di tali cambiamenti e sui numerosi punti oscuri della legge non è il caso in questa sede di soffermarsi più di tanto (cfr. «D&G» n. 21/2005 e n. 18/2004), se non per dire che il bilancio sull’efficacia della legge ad oltre due anni e mezzo della sua entrata in vigore non può assolutamente essere ritenuto positivo. Il netto aumento del cd. “turismo sanitario o procreativo” da parte delle coppie sterili verso paesi più tolleranti, soprattutto per quanto riguarda pratiche come la crioconservazione, la procreazione eterologa e la stessa diagnosi preimpianto, insieme alla riscontrata riduzione del numero dei nati con l’applicazione delle tecniche, lasciano infatti ben pochi dubbi circa la necessità di rivedere quantomeno le norme maggiormente repressive della legge 40. Tra queste, come non considerare anche il divieto di effettuare la diagnosi preimpianto, in molti casi l’unico strumento per garantire a tante coppie portatrici di gravi malattie di coronare il proprio sogno di avere un figlio sano, e che invece oggi rimane fermo ed inderogabile nel nostro ordinamento anche a causa di una pronuncia che ha il sapore amaro dell’ennesima occasione mancata.
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La Sentenza
ORDINANZA N. 369 ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), promosso con ordinanza del 16 luglio 2005 dal Tribunale di Cagliari, nel procedimento civile promosso da M.S. ed altro, contro l’Azienda USL n. 8 di Cagliari ed altro, iscritta al n. 574 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti gli atti di intervento del Comitato per la tutela della salute della donna, del Forum delle Associazioni Familiari, del Movimento per la Vita Italiano, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 24 ottobre 2006 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro;
uditi gli avvocati Salvatore di Mattia per il Comitato per la tutela della salute della donna e Forum delle Associazioni Familiari, Giovanni Giacobbe per il Movimento per la Vita Italiano e l’avvocato dello Stato Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto che il Tribunale di Cagliari, in composizione monocratica, nel procedimento promosso, con ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile, da una coppia di coniugi ammessi alla procedura di procreazione medicalmente assistita – i quali domandavano che venisse dichiarato il loro diritto di ottenere la diagnosi preimpianto dell’embrione – ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non consente di accertare, mediante la diagnosi preimpianto, se gli embrioni da trasferire nell’utero della donna ammessa alla procedura di procreazione medicalmente assistita siano affetti da malattie genetiche, di cui i potenziali genitori siano portatori, quando l’omissione di detta diagnosi implichi un accertato pericolo grave ed attuale per la salute psico-fisica della donna;
che i ricorrenti, dei quali era stata accertata la sterilità, hanno esposto di avere già fatto ricorso alla medesima procedura a seguito della quale la donna si era trovata in stato di gravidanza, ma che avevano dovuto interromperla per ragioni terapeutiche, essendosi accertato, attraverso la villocentesi praticata all’undicesima settimana, che il feto era affetto da beta-talassemia;
che, avendo tale evento provocato alla donna una sindrome ansioso-depressiva, in occasione della seconda procedura di procreazione in vitro i ricorrenti avevano chiesto al primario dell’Ospedale regionale per le microcitemie la diagnosi preimpianto dell’embrione già formato, rifiutando l’impianto se non a diagnosi effettuata;
che il sanitario si era rifiutato di procedere, invocando l’art. 13 della legge n. 40 del 2004, che consentirebbe solo interventi sull’embrione aventi finalità diagnostiche e terapeutiche volte alla tutela della salute ed allo sviluppo dell’embrione stesso;
che i ricorrenti, ritenendo tale lettura inaccettabile alla luce dell’art. 32 Cost., hanno chiesto la declaratoria in via cautelare – considerato che gli embrioni erano provvisoriamente crioconservati e che il tempo necessario per la convocazione della controparte poteva pregiudicare l’attuazione del provvedimento urgente – del proprio diritto ad ottenere la predetta diagnosi, e sollecitato l’emanazione di un decreto, ex art. 669-sexies, secondo comma, cod. proc. civ., che ordinasse al predetto sanitario di procedere alla diagnosi, deducendo, in subordine, la illegittimità costituzionale del citato art. 13 per contrasto con gli artt. 2 e 32, primo comma, Cost., nella parte in cui non prevede la diagnosi preimpianto ove la stessa sia giustificata dalla necessità di tutelare il diritto della donna alla propria salute;
che il Pubblico Ministero, intervenuto nel giudizio, ha sostenuto che l’art. 14 della legge n. 40 del 2004 consentirebbe il ricorso alla diagnosi preimpianto nel caso in cui ne faccia richiesta la coppia ricorsa alla procreazione medicalmente assistita, la quale intenda conoscere lo stato di salute dell’embrione;
che il Tribunale adìto, ritenuto che le disposizioni degli artt. 13, commi 2 e 3, e 14, n. 5, della legge n. 40 del 2004 non possano che essere interpretate in senso restrittivo (come confermato anche dalla emanazione delle linee guida previste dall’art. 7 della stessa legge, approvate con d.m. 21 luglio 2004), ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del divieto di diagnosi preimpianto nella eventualità che esso comporti il pericolo di una lesione del diritto alla salute della donna che la richiede;
che, premessa la rilevanza della questione nel giudizio a quo in ragione dello stato di salute della ricorrente, documentato da certificazione medica, il rimettente sospetta il contrasto della richiamata mancata previsione con gli artt. 2 e 32, primo comma, Cost.;
che, osserva il Tribunale (pag. 17-18), il «conflitto coinvolgente, da un lato, la tutela della salute della ricorrente e, dall’altro, la tutela dell’embrione» impone di considerare che «l’embrione si trova, allo stato, sottoposto a crioconservazione, in conseguenza del rifiuto della ricorrente di procedere all’impianto senza previa diagnosi» e che «anche la salute della donna è, nel caso di specie, seriamente minacciata dalla impossibilità di conoscere lo stato di salute dell’embrione prima di procedere all’impianto»;
che, in tale situazione, «non solo appare inadeguata la tutela della salute della donna […] ma non risulta neppure maggiormente garantita la salute dell’embrione, probabilmente condannato a subire, nel tempo, danni biologici […] (laddove) il rischio di inutilizzabilità a causa della diagnosi preimpianto si aggirerebbe statisticamente intorno all’uno per cento, percentuale inferiore, quindi, a quella del rischio di aborto nelle diagnosi prenatali (v. sul punto le dichiarazioni della dott. C.)»;
che il rimettente, inoltre, ravvisa nella normativa de qua un contrasto con l’art. 3 della Costituzione, essendo consentita, alla stregua del diritto vivente, la diagnosi prenatale, e pertanto sussistente in capo ai genitori un diritto alla informazione sulla salute del feto nel corso della gravidanza, laddove analogo diritto sarebbe negato nella fase della procreazione assistita che precede l’impianto; ciò che determinerebbe un ingiustificato diverso trattamento di posizioni soggettive sostanzialmente assimilabili, con conseguente contrasto della norma che vieta la diagnosi preimpianto con l’art. 3 della Costituzione;
che nel giudizio innanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha concluso per la infondatezza della questione di legittimità costituzionale, in quanto il suo accoglimento comporterebbe una forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni, a fronte di un ipotetico rischio di compromissione dello stato psico-fisico della donna;
che, per permettere scelte informate e responsabili, in caso di richiesta di accesso alla procreazione medicalmente assistita, è previsto che alle coppie siano fornite informazioni accurate a norma del decreto ministeriale del Ministro della giustizia e del Ministro della salute 16 dicembre 2004, n. 336;
che, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, la soluzione normativa censurata, oltre ad essere ragionevole e coerente con il principio generale, desumibile non solo dalla legge n. 40 del 2004, ma anche da altre disposizioni normative che configurano il concepito come soggetto giuridico, è la più idonea a bilanciare interessi contrapposti, tenuto conto che non esiste, e non ha giuridico fondamento, la pretesa ad avere «un figlio sano», e che, pertanto, non può assumere alcuna rilevanza l’elemento attinente all’equilibrio psico-fisico della donna;
che hanno depositato atto di costituzione in giudizio il Comitato per la tutela della salute della donna, il Forum delle Associazioni familiari e l’Associazione “Movimento per la Vita Italiano”;
che, in prossimità dell’udienza (fissata in esito alla camera di consiglio del 3 maggio 2006), il Presidente del Consiglio dei ministri, ha depositato memoria illustrativa delle conclusioni precisate nell’atto di costituzione, preliminarmente deducendo l’inammissibilità della questione per carenza di carattere incidentale;
che anche gli intervenienti hanno depositato memorie.
Considerato che il Tribunale di Cagliari dubita, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 19 febbraio 2004, n. 40, «nella parte in cui fa divieto di ottenere, su richiesta dei soggetti che hanno avuto accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita, la diagnosi preimpianto sull’embrione ai fini dell’accertamento di eventuali patologie»;
che, preliminarmente, deve confermarsi l’ordinanza, della quale si è data lettura in udienza, dichiarativa dell’inammissibilità degli interventi spiegati nel presente giudizio dal Comitato per la tutela della salute della donna, dal Forum delle Associazioni familiari e dall’Associazione “ Movimento per la Vita Italiano”;
che, a prescindere dall’irreversibilità degli effetti del provvedimento richiesto in sede cautelare e dall’adeguatezza di quanto dedotto a conforto dell’asserita inconsistenza del «rischio di inutilizzabilità (dell’embrione) a causa della diagnosi preimpianto», la questione, così come prospettata dal Tribunale, è manifestamente inammissibile;
che, infatti, il giudice a quo osserva che il divieto della diagnosi preimpianto discende non soltanto dalla norma censurata (art. 13) come «comunemente interpretata» (sia per «il suo contenuto» che «per la sua formulazione letterale»), ma è «comunemente desunto anche dalla interpretazione della legge alla luce dei suoi criteri ispiratori» e «dalla disciplina complessiva della procedura di procreazione medicalmente assistita disegnata dalla legge» (in particolare, dalla disciplina della «revocabilità del consenso solo fino alla fecondazione dell’ovulo», dal «divieto di creazione di embrioni in numero superiore a quello necessario per un unico impianto, obbligatorio quindi per tutti gli embrioni», dal «divieto di crioconservazione e di soppressione di embrioni»);
che, aggiunge il Tribunale, anche l’art. 14, comma 3, «precisando che la crioconservazione può essere mantenuta fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile, fa evidente riferimento ad ostacoli patologici all’impianto di natura meramente transitoria», e non già permanente;
che, pertanto, è evidente la contraddizione in cui il Tribunale incorre nel sollevare una questione volta alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di una specifica disposizione nella parte relativa ad una norma (il divieto di sottoporre l’embrione, prima dell’impianto, a diagnosi per l’accertamento di eventuali patologie) che, secondo l’impostazione della stessa ordinanza di rimessione, sarebbe però desumibile anche da altri articoli della stessa legge, non impugnati, nonché dall’interpretazione dell’intero testo legislativo «alla luce dei suoi criteri ispiratori».
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, dal Tribunale di Cagliari con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 ottobre 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2006.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
Allegato:
Ordinanza letta all’udienza del 24 ottobre 2006
ORDINANZA
Rilevato che nel giudizio di legittimità costituzionale hanno presentato atto di costituzione in giudizio il “Comitato per la tutela della salute della donna” e il “Forum delle Associazioni Familiari”, ed atto di intervento l’Associazione “Movimento per la Vita italiano”, nessuno dei quali è stato parte nel giudizio a quo;
che sulla questione dell’ammissibilità dell’intervento nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale la giurisprudenza di questa Corte è nel senso che l’intervento è ammissibile solo nel caso di soggetti titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (v., tra le altre, sentenze n. 172 del 2006, n. 345 del 2005, ordinanza n. 389 del 2004);
che tale principio implica che l’incidenza sulla situazione sostanziale vantata dall’interveniente derivi dall’immediato effetto che la pronuncia della Corte produce nel rapporto sostanziale oggetto del giudizio principale;
che, alla stregua dei richiamati criteri, la posizione sostanziale fatta valere dai predetti intervenienti nel presente giudizio non è qualificata in rapporto alla questione oggetto del giudizio stesso.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili gli atti di costituzione in giudizio del “Comitato per la tutela della salute della donna” e del “Forum delle Associazioni Familiari” e l’atto di intervento dell’Associazione “Movimento per la Vita Italiano”.
Firmato: Franco Bile, Presidente
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