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La gravidanza e il parto sotto il profilo bioetico
17 aprile 1998
Comitato Nazionale per la Bioetica
Dal punto di vista bioetico, il massimo pericolo che, soprattutto nella cultura oggi dominante, corrono gravidanza e parto è quello di venire assimilati l'una a un mero processo biologico, l'altro a una mera operazione chirurgica. Naturalmente con questo non si intende negare il rilievo biologico che possiede la gravidanza, così come il rilievo medico che ha il parto; ma resta il fatto che, a differenza di ogni altro animale, l'individuo umano non è un mero strumento al servizio della sopravvivenza della specie cui appartiene, non si limita cioè a riprodursi biologicamente, ma divenendo padre e madre arricchisce, o addirittura altera, antropologizzandola, la dinamica della riproduzione biologica. E, analogamente, non può esserci dubbio che il venire alla luce, l'essere partoriti, non è un mero fatto clinico, ma un evento di cui nessun altro pareggia l'importanza, neppure la morte, perché è il venire al mondo non solo di un qualcosa, ma di un qualcuno - che rappresenta una novità assoluta e imprevedibile. Ecco perché il parto ha sempre avuto per l'uomo - unico anche in questo tra tutti i mammiferi - una dimensione simbolica, etica, psicologica, sociale, che ha reso e continua a rendere inevitabilmente, da un punto di vista fenomenologico, accessoria e strumentale ogni attività di assistenza medica e paramedica che venga prestata a suo favore (anche se in molti casi si tratta di una "strumentalità" dalla quale dipende né più né meno che la vita e la morte della madre e del bambino). Ed è proprio dall'incontro/scontro tra dimensione simbolica e dimensione medica della gravidanza e del parto che nascono le più intricate questioni bioetiche.
Il documento del Comitato Nazionale per la Bioetica, che qui si presenta, studia, in modo coerente, dettagliato, completo e innovativo le problematiche bioetiche legate alla gravidanza e al parto, offrendo al lettore - si può ben dire per la prima volta - una riflessione che, anche se non teme di addentrarsi in questioni casistiche, è ben consapevole di radicarsi nella prospettiva di fondo alla quale si è appena accennato. Ecco perché di questo testo non può che raccomandarsi una lettura unitaria, che non ne disperda l'ispirazione bioetica che gli dà vita, quell'ispirazione che ha mosso coloro che se ne sono fatti promotori e l'hanno redatto (ma, si deve pure dire, tutti i membri del CNB che l'hanno letto, soppesato, valutato, e in diversi casi emendato). Se la nascita di un soggetto che, come l'uomo, è in grado di configurarsi come una soggettività (cioè di poter dire di se stesso "io") può ben essere definita un avvento più che un evento, ne segue - come è stato suggestivamente affermato - che il parto possiede una sorta di sacralità naturale, dalla quale emerge e si rivela la sacralità dell'intera natura (alla quale peraltro il "nascere" fornisce l'etimo).
La bioetica, per la quale tutta la natura vivente è problema in se stessa, prendendo sul serio della gravidanza e del parto l'irriducibile profondità di senso, contribuisce al giusto orientamento che è necessario assumere nel trattarne tutte le singole, complesse e spesso tragiche problematiche che scaturiscono dall'una e dall'altro. Come è prassi del CNB, deliberata l'utilità di una riflessione bioetica su questo tema, si è attivato un gruppo di lavoro, al quale hanno afferito i Proff. Barni, Bompiani, Coghi, Danesino, Gaddini, Leocata, Loreti Beghè, Mathieu, Nordio, Palumbo e Romanini e al quale è stato affidato il compito di redigere una bozza del documento. Al lavoro dei membri del CNB appena citati hanno altresì portato preziosi apporti i Proff. Paolo Benciolini, Emilio Mordini, Corrado Manni. Si è fatto pure ricorso alla collaborazione esterna del Prof. Umberto Piscicelli, che qui mi è grato ringraziare a nome di tutto il Comitato.
Il gruppo di lavoro si è riunito e ha lavorato collegialmente nel 1996 il 25 marzo, il 21 maggio e il 7 ottobre; nel 1997 il 16 gennaio, e il 18 dicembre; nel 1998 il 10 e il 20 febbraio, il 17 e il 20 marzo. Questo lavoro collegiale ha presupposto un intenso lavoro individuale dei singoli colleghi, che del gruppo han fatto parte: i proff. Bompiani e Romanini hanno curato in particolare il capitolo primo, la prof.ssa Coghi il secondo, il prof. Nordio il terzo, il prof. Danesino il quarto, la prof.ssa Gaddini il quinto e il sesto, il prof. Danesino il settimo, la prof.ssa Loreti Beghè e il prof. Barni l'ottavo ed ultimo. Ma, naturalmente, ogni singolo contributo individuale è stato arricchito ed integrato dall'apporto di ciascun altro membro del gruppo di lavoro. Alla fine del marzo 1998 è stata infine portata a termine la stesura del testo provvisorio del documento. Questo testo è stato quindi offerto alla lettura, alla riflessione, alle integrazioni e agli emendamenti di tutti i membri del CNB, per essere poi approvato in seduta plenaria all'unanimità il 17 aprile 1998. Il Presidente Francesco D'Agostino.
Sintesi e raccomandazioni
Il Comitato Nazionale per la Bioetica in conformità con il mandato ricevuto, ha svolto nell'anno 1997 un'ampia riflessione sui problemi etici connessi con la corretta assistenza alla gestazione ed al parto.
Si è tenuto presente il disposto dell'art. 1 della Legge 194/1978 "Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione della gravidanza", che recita:"Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio", mentre si è volutamente esclusa ogni considerazione in merito alla interruzione volontaria della gravidanza.
Questo elaborato del C.N.B. si prefigge dunque lo scopo di porre in evidenza aspetti bioetici specifici della gravidanza e del parto, intesi come "stati vitali" della donna e del nascituro, che nella complessità della simbiosi materno-fetale, appaiono meritevoli non solamente di una tutela riguardante la vita e la salute dei singoli, come già stabilisce la Costituzione (art. 32), ma anche di una lata considerazione ed adeguata protezione in campo psicologico e sociale.
Il documento approvato si ricollega strettamente a precedenti elaborati del C.N.B. riguardanti la vita prenatale e l'infanzia, e particolarmente ai "documenti" Diagnosi prenatali (18 luglio 1992) e Venire al mondo (15 dicembre 1995).
Il C.N.B., al termine dell'esame dell'ampia "Relazione" elaborata dal Gruppo di lavoro, esprime le seguenti valutazioni generali:
a) Si deve tener conto, in misura crescente in proporzione all'aggravarsi del fenomeno, della contrazione significativa del tasso di natalità europeo, soprattutto a carico di quei Paesi, come Italia, Spagna, Portogallo, Paesi Bassi e Irlanda, in cui il livello di natalità, sino a metà del secolo, era più alto rispetto alla media europea.
Questa tendenza, manifestatasi negli ultimi decenni del secolo che volge al suo termine, riconosce motivi diversi; in ogni caso si deve riconoscere che - per quanto riguarda il nostro Paese - il miglioramento dei vari fattori sociali ed assistenziali, (che in questa sede ed in questa occasione non è il caso di esaminare) ha portato ad una lenta ma progressiva diminuzione dei quozienti di nati-mortalità e di mortalità perinatale (sia alla prima settimana di vita che ad un mese), che interessano sia pure con risultati diversi le varie regioni italiane e dunque l'intero Paese.
Occorre tuttavia sottolineare che alcuni fenomeni demografici, quali il progressivo spostamento dell'età del matrimonio (condizione sociale tutt'ora prevalente nel nostro paese ai fini della procreazione), ed il rinvio della nascita del primogenito - determinando un conseguente innalzamento generale dell'età della donna alla prima gravidanza - non sono privi di riflessi sul concetto generico di "rischio" che, pur nella caratteristica fisiologica per la salute secondo la quale deve essere considerata la gravidanza, si riscontra con l'avanzare dell'età e, di conseguenza, non sono privi di riflessi sulle caratteristiche assistenziali che occorre proporre alla gestante.
Non va però interpretato il calo della natalità come segnale di una perdita di un valore del figlio; il comportamento va ricondotto soprattutto alla valutazione "personale" della donna del proprio ruolo esistenziale, o della coppia nei confronti dei fattori economici, sociali ed anche legislativi riguardanti il lavoro femminile, che peraltro tutelano largamente l'assistenza alla gestazione considerata in se stessa; fattori che in tutta Europa - sebbene in misura diversa - hanno esercitato una profonda influenza nel determinarsi degli accennati fenomeni demografici.
b) Come conseguenza immediata del calo della natalità e dell'altissimo "investimento emotivo" che la famiglia italiana ha adottato nella ricerca di una sempre più elevata ascesa sociale e sul benessere dei discendenti, si è imposta con forza la nozione di preziosità della vita embrio-fetale - nozione ancora molto debole all'inizio del secolo - ed è maturato pienamente il concetto di "qualità di vita" inteso in senso prospettico per il nascituro, allorché la gravidanza non è rifiutata, o è stata ricercata.
La nozione trova riscontro anche in un maggior impegno nel prendersi cura della salute del bambino venuto alla luce, in una maggiore sollecitudine a favorirne e stimolarne lo sviluppo, anche relazionale, e ciò è stato rilevato anche quando il bambino nasce da fecondazione artificiale.
Questo "atteggiamento" ha determinato, quasi di necessità, la medicalizzazione spinta della gravidanza, per ottenere dall'arte medica una idonea prevenzione, una diagnosi precoce ed esatta ed una rapida e concreta terapia.
Con questi presupposti, in particolare, nell'attività di ricerca e di assistenza è emersa la Medicina Prenatale, che ha come compito principale quello di salvaguardare il benessere del concepito evidenziando precocemente eventuali alterazioni della omeostasi materno-embriofetale, allo scopo di intervenire il più rapidamente possibile per correggerne l'eventuale andamento negativo.
c) Un settore completamente diverso, che ha interessato in questi ultimi anni le "medicalizzazioni della gravidanza", è quello legato alle tecniche di procreazione assistita, la cui dimensione crescente, anche in Italia, merita un approfondimento per le grandi implicazioni cliniche, etiche e sociali che l'uso di queste tecniche comporta.
Fermo rimanendo che tali tecniche dovrebbero trovare indicazioni solo in casi di sterilità di coppia non altrimenti risolvibili che presentano tuttora una limitata probabilità di successo e che - per alcuni - persistono anche in questo caso gravi riserve di ordine morale generale, si deve constatare che le tecniche attualmente conosciute superano ormai la decina e non sono del tutto anche concettualmente equivalenti, alcune potendo riferirsi al sostegno o ad integrazioni di fenomeni naturali, altre alla completa sostituzione di essi.
Su questa funzione "vicaria" si pongono alcuni quesiti dibattuti dalla bioetica di diversa ispirazione: rinviando all'ampia trattazione che è stata svolta sull'argomento in seno al nostro stesso Comitato (vedi il Parere del C.N.B. sulle tecniche di procreazione assistita. Sintesi e Conclusioni del 17 giugno 1994; ed il documento: La fecondazione assistita. Documenti del Comitato Nazionale per la Bioetica del 17 febbraio 1995), occorre riaffermare che i principi deontologici che regolano ogni pratica medica debbono essere strettamente osservati anche da coloro che ritengono praticabile, sotto il profilo morale, l'impiego di tecniche di fertilizzazione in vitro o altre, nel riquadro della procreazione assistita. Sotto questo profilo, peraltro, sembra a molti del tutto insufficiente la protezione che - attualmente - viene riservata all'embrione; né può nascondersi che le tecniche collegate ad una stimolazione ovarica massiva e alla riposizione in utero di più embrioni sono fonte di rischio sia per la madre che per il nascituro, il quale, in taluni casi, va incontro a prematurità più o meno severa o all'eticamente inaccettabile procedura di selezione embrionale (cosiddetta "riduzione embrionale").
Per la prematurità ed il ritardo di crescita in utero, che aumentano notevolmente con le tecniche di procreazione medicalmente assistita, non è ancora stabilito, soprattutto dagli studi epidemiologici casi-controlli, se dipendano unicamente dalla multigemellarità.
Va ricordato, comunque, che il destino dei nati da tecniche di fecondazione artificiale, in merito ai ritmi di accrescimento e l'esito anche a distanza, è tuttora da precisare con studi epidemiologici ben programmati e richiede l'uso in tutti i Centri di procreazione assistita di registri per la raccolta dei dati e per il controllo del follow-up.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica non ha mancato di sollevare tempestivamente il problema nei documenti riguardanti l'infanzia (vedi Venire al mondo del 15 dicembre 1995), ed ulteriormente sollecita l'attenzione su questo problema.
d) I fenomeni accennati hanno avuto, certamente, varie ripercussioni nell'organizzazione dell'assistenza e - sostanzialmente - anche nell'evoluzione della protezione sociale della gestante; tuttavia va riconosciuto che il "significato" antropologico della nascita di un figlio, pur nell'evoluzione della nostra società, è rimasto stabile ed immutato nonostante l'intervento dei vari fattori culturali e tecnici che hanno diminuito la numerosità dei nati, ma accresciuto la "preziosità" di essi. Il legame tra genitore e figlio è per sempre: è stato acutamente affermato che si può smettere di essere coniugi ma non "smettere di essere genitori".
Questo porta inevitabilmente alla pressante richiesta dei genitori che al loro figlio venga garantita non solo la vita ma l'integrità fisica e funzionale, e quindi, in questo contesto, appaiono all'orizzonte delicati problemi assistenziali, giuridici e bioetici, che devono essere affrontati con un profondo rispetto della vita umana in utero e con un criterio assistenziale assolutamente "positivo", e cioè sostenuti da una prassi di concreta azione per il bene del paziente.
Se, come si espresse Thomas Jefferson, è dotata di autoevidenza la verità del fatto che tutti gli uomini nascono uguali, forniti di diritti inalienabili come quelli alla vita, alla libertà ed alla ricerca della felicità, tuttavia tale uguaglianza, se incontrovertibile sul piano puramente etico e di principio, trova molte eccezioni nella realtà quotidiana del nascere attuale, dove l'esistenza di patologie e di eventi rischiosi talora strettamente intrinseci alla stessa possibilità di nascita sembrano capaci di condizionare se non il diritto affermato (alla vita, alla ricerca della felicità), quanto meno lo spazio di applicazione, la potenza del diritto stesso.
La capacità di far sopravvivere neonati di peso estremamente basso, che pure è stata conseguita dalla scienza moderna a prezzo di sforzi enormi, è gravata da possibili limitazioni e condizionamenti sulla qualità della vita successiva tali da rendere certamente molto disuguale la potenziale aspettativa di "felicità" di molti di questi bambini, tanto per citare uno tra i molti possibili esempi forniti dall'esperienza clinica ed epidemiologica.
E tuttavia l'affermazione positiva del "valore" della vita prevale come conquista etica di una società tecnologica in continua crescita, che riesce a consentire l'esercizio del diritto alla vita ad un numero crescente di soggetti la cui sopravvivenza non era, pochi lustri addietro, neppure ipotizzabile.
Si può quindi probabilmente ritenere in modo complessivamente unanime che, se considerato nei riguardi diretti dell'interessato principale, il nascituro, il problema bioetico abbia una sola via di scioglimento, fondata sul suo diritto di nascere e sul "dovere" di tutti coloro che ne sono in grado di porgergli aiuto.
Questo sentimento è così radicato, nella coscienza comune, che lo stesso H. Jonas pone la "premura" verso l'assistenza al neonato come esemplificativa di quell'"etica della responsabilità" che egli sviluppa in termini più ampi a tutela delle generazioni future.
Considerando in questa luce alcuni dei problemi che si presentano all'ostetrico e nel corso dell'assistenza prenatale, il C.N.B. ritiene opportuno affermare:
a) Nella terapia della sterilità e della ricerca della paternità e maternità responsabili, la profilassi dell'induzione di gravidanza multipla deve essere perseguita con tutti i mezzi disponibili anzitutto affidando la stimolazione dell'ovaio a personale altamente esperto ed in centri dotati di tutti i mezzi diagnostici per individuare la iperstimolazione e provvedere al rischio di insorgenza di complicazioni iatrogene.
b) Nel caso di ricorso a tecniche di fecondazione in vitro e riposizione di embrioni in utero, ferma rimanendo la condanna sotto il profilo etico che alcuni membri del C.N.B. hanno espresso nei confronti delle tecniche di procreazione "artificiale" (v. i più volte citati documenti "Parere del C.N.B. sulle tecniche di procreazione assistita. Sintesi e Conclusioni del 17 giugno 1994; La fecondazione assistita. Documenti del Comitato Nazionale per la Bioetica del 17 febbraio 1995) e alla luce di quanto il C.N.B. ha argomentato nel documento Identità e statuto dell'embrione umano del 22 giugno 1996, risultando inoltre rafforzato tale convincimento anche per i rischi di plurigemellarità che tali tecniche allo stato attuale presentano, il Comitato Nazionale per la Bioetica conviene unanimemente nell'affermare come requisito irrinunciabile - anche per coloro che non nutrono riserve etiche di principio nei confronti di tali tecniche - la riposizione in utero di embrioni in numero compatibile con la potenziale sopravvivenza di tutti.
c) Sembra doversi affermare che il diritto al nascere una volta raggiunta la capacità di vita autonoma vada riconosciuto a chiunque, essendo improponibile, proprio sul piano etico, operare una selezione, in ordine alla sopravvivenza, fra esseri umani in base al loro grado di salute.
Sembra quindi scontato doversi concludere che, in ordine al diritto a nascere, nessuno può sentirsi legittimato a decidere della vita del feto "vitale" ancorché malato, o malformato o presumibilmente destinato a cattiva qualità di vita extrauterina, ed in tal senso si esprime anche l'art. 7 della citata Legge 194/1978 "Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione della gravidanza".
d) A tal fine sembra assumere il significato di un dovere etico il più frequente, diuturno confronto fra le culture dell'ostetrico, medico prenatale, e del neonatologo, fermi restando i rispettivi ruoli e responsabilità. Problemi di attualità per gli uni e per gli altri sono l'organizzazione di ricerche epidemiologiche area based sui fattori di rischio e sulle conseguenze a distanza del rischio perinatale, l'individuazione e la condivisione di criteri affidabili e di ampia applicazione per valutare l'incidenza della disabilità e degli handicap, la possibilità di orientarsi nelle situazioni drammatiche di assistenza intensiva, anche con il coinvolgimento dei genitori. Una "formazione comune", attenta alle novità e alle attualità delle rispettive discipline ma, soprattutto, consolidata da esperienze insieme vissute rappresenta oggi il migliore fondamento alla politica sanitaria in questo settore.
Molte sono le occasioni di lavoro comune, che anche in questa sede è bene ribadire. Un esempio della felice alleanza dell'ostetrico con il neonatologo può evidenziarsi, nella immediata concertazione delle rispettive valutazioni allorché si profila la minaccia della spontanea insorgenza del parto prematuro, così come nella riduzione dei danni da questo derivanti; altro esempio sta nella "tempistica" relativa all'induzione del parto, allorché è "preferibile" (con la valutazione del rischio/beneficio) sottrarre il nascituro ad un ambiente biologico materno divenuto "ostile", e fonte di pericolo mortale per lo stesso; o nella scelta del luogo di nascita (trasporto in utero) ed in altre occasioni ancora.
e) E' oggi assolutamente necessario nell'affrontare non solamente queste tematiche di particolare valore emotivo ma tutte le questioni che ineriscono alla relazionalità fra ostetrico e gestante anche nel più fisiologico decorso della gravidanza - rivolgere una specifica attenzione al vissuto psicologico della donna incinta. Ribadendo l'esistenza di un'evoluzione nel corso della gravidanza del vissuto, peraltro secondo schemi ben noti, è importante tener conto della genesi del senso di maternità che deve facilitare il successivo distacco del feto dall'organismo materno dando un significato molto più ampio al senso di generatività, ed al ruolo di nutrice e di educatrice della donna.
Il C.N.B. sottolinea l'importanza che assume la "dimensione psicologica della gestazione", non solo nel vissuto personale della donna, ma nei rapporti stessi che si instaurano fra i membri della famiglia e l'ostetrico, al quale la gestante si affida.
Conoscere quali sono i "sentimenti" della gestante, le sue elaborazioni immaginative, le sue preoccupazioni ed attese è fondamentale per chi l'assiste, ed ha un profondo significato deontologico ed etico: offrire anche a questo "aspetto" (che travalica il controllo di parametrici organici) la possibilità di esprimersi, ove la gestante - nella propria autonomia - lo ritenga opportuno.
f) Se la moderna bioetica valorizza al massimo grado il concetto di autonomia della gestante, tuttavia va sottolineato che la donna, accogliendo la gestazione, assume una particolare obbligazione morale nei confronti del prevedibile benessere del nascituro che può riflettersi sui propri comportamenti esistenziali, come nell'eventuale sacrificio che questo potrebbe comportare nella sua libera determinazione, anche riguardo al rischio di parto prematuro o di altri fattori capaci di incidere sul rischio embriofetale.
A questo fine è da raccomandare la corretta e continuativa assistenza prenatale, basata sull'elemento fiduciario con il personale di assistenza, in una sorta di alleanza terapeutica, allo scopo non solamente di valutare parametri organici, ma di offrire consigli e informazioni utili al comportamento corretto della gestante.
g) Un momento di particolare intensità emotiva, con riflessi bioetico-comportamentali di notevole rilievo è rappresentato dall'evento parto.
Il C.N.B. riconosce con soddisfazione che alcuni aspetti, come ad esempio l'umanizzazione del parto, la presenza del marito o di persona di fiducia della donna in sala parto, la preparazione psicologica all'evento, la terapia antalgica condotta con i più moderni ritrovati farmacologici, sono già stati ampiamente elaborati nella cultura specialistica italiana.
Tuttavia ancora ulteriori sforzi vanno condotti per diffondere in tutte le maternità questi aspetti che si traducono in provvedimenti organizzativi ed assistenziali ben definiti, capaci di consentire alla partoriente una reale libertà di scelte, comunque correlata al giudizio tecnico del proprio curante.
Sotto questo profilo prende particolare rilevanza il concetto dell'informazione e del successivo consenso per ogni singolo atto medico inerente al parto.
h) Il C.N.B,. pur consapevole dei vantaggi sul piano emotivo e psicologico che può offrire la nascita al proprio domicilio e all'interno della vita familiare, deve sottolineare che ciò può essere possibile in un limitatissimo numero di casi in cui la previsione della naturalità dell'evento possa considerarsi altamente probabile.
Tuttavia il CNB ritiene doveroso insistere nel richiamare la frequente imprevedibilità dell'evoluzione negativa del parto che - se fosse svolto a domicilio - richiederebbe comunque il trasferimento in Ospedale per la soluzione del caso con procedure di urgenza e non sempre agevoli nel contesto della vita associativa moderna.
Una responsabile e serena valutazione del rischio perinatale e degli esiti neonatali, com'è documentato ormai da casistiche anche di altri Paesi, porta a ritenere che debba essere seguita piuttosto la linea alternativa della massima umanizzazione possibile dell'ambiente ospedaliero. Questa linea, già intrapresa nel piano legislativo nel nostro Paese, va perseguita coraggiosamente ai fini della sua massima possibile realizzazione.
i) In questo contesto il C.N.B. ribadisce che non è accettabile l'attuale tendenza a favorire il taglio cesareo non strettamente motivato da obiettive "indicazioni" cliniche, rimanendo questo un intervento chirurgico che va valutato come tale (indicazioni, controindicazioni, rischi impliciti).
Va fatto pertanto un forte richiamo alla deontologia professionale anche in questo contesto, ed alla paziente opera di convincimento della gestante, ove manchino assolutamente ragioni convincenti per l'intervento.
l) Il C.N.B. rileva che nel nostro Paese è stata sviluppata una idonea tutela giuridica della gestante e della partoriente nei confronti del diritto all'astensione dal lavoro e all'assistenza prenatale - in conformità peraltro all'evoluzione della normativa comunitaria europea.
Tale normativa appare idonea a tutelare anche i diritti della partoriente in tema di filiazione, mentre è in evoluzione ma tuttora non compiuto un sistema giuridico per la tutela del concepito, essendo questa tematica evolutiva affidata prevalentemente alla giurisprudenza.
Appare opportuno al C.N.B. sollecitare il legislatore a definire meglio alcune situazioni di possibili conflitti di interesse fra gestante e nascituro.
m) Il C.N.B. ritiene infine che l'attenzione rivolta ai problemi del parto e della gravidanza non possa non coinvolgere coloro che hanno responsabilità nell'amministrazione della Sanità Pubblica, ad ogni livello. A loro competono le scelte politiche di fondo, che devono trovare nella salute della madre e del nascituro l'obiettivo prioritario, ma a loro compete anche l'incombenza di rendere possibile la migliore qualità dell'assistenza attraverso l'idonea collocazione delle risorse disponibili.
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