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Sede:

Roma, Via Baldo degli Ubaldi, 90 - 00167

 
Gli animali e il mito di Cura
Palmerino Masciotta
(relazione al Convegno "NEL CUORE DELLA CURA" - itinerari bioetici, Roma, Venerdì 16 dicembre 2016)
Perché un veterinario a questo convegno sulla cura.
Perché, come veterinario, di cura mi occupo. Cambia l’oggetto della mia cura. E non a caso, parlo di “oggetto”. Infatti gli animali sono sempre stati, e ancora lo sono nonostante le battaglie etiche intorno all’antispecismo, considerati e usati come oggetti.
C’è stato un momento in cui, dopo aver studiato e avviato il mio lavoro per curare gli animali, di fronte alle loro sofferenze, ho cominciato a pormi molte domande.
Prima fra tutte, come mai ci preoccupassimo tanto di curare certi animali, mentre inventavamo nuovi strumenti di sfruttamento per tanti altri, come gli allevamenti intensivi, la sperimentazione, il trasporto degli animali in condizione di sofferenza.
Ed ho cominciato a riflettere e a cercare un senso a questo strano schizofrenico approccio: di cura da una parte e tortura dall’altra, dell’uomo nei confronti degli animali.
Una risposta possiamo trovarla nel pensiero di Heidegger quando, a proposito della cura, faceva una distinzione tra prendersi cura e aver cura. BESORGE: il prendersi cura è rivolto agli animali e agli oggetti, “Maneggiante e usante” delle Cose ed Enti utilizzabili dove per cura si intende una buona “manutenzione”, come si fa ad esempio con un martello, mentre FURSORGE: l'aver cura, l'aver premura, la devozione, “L'incontro col con-esserci degli altri ” è utilizzato solo in relazione agli esseri umani.
E in effetti la nostra società si occupa della cura degli animali, che siano da reddito o da affezione, in funzione del beneficio fisico, quando si tratta di nutrirsi o psicologico quando si tratta di compagnia, che gli animali danno all’uomo, che resta il punto di partenza e di fine della cura.
Preso atto di questo, per me che ogni giorno “incontro” lo sguardo animale, è stato difficile capire come mai Heidegger e altri filosofi prima e dopo di lui, non avessero colto altro nello sguardo degli animali.
Anche Levinas, che ha fondato tutta la sua filosofia sull’incontro con il Volto dell’altro, quando gli è stato chiesto se anche l’animale avesse un volto, ha detto che a questa domanda non sapeva rispondere.
Eppure Levinas, quando racconta che nel campo di concentramento, dove c’erano uomini umiliati ad animali, il cane Bobby li aveva riconosciuti come esseri umani, “ per lui, non c’era alcun dubbio che eravamo degli uomini. Aveva avuto un incontro profondo con il Volto dell’altro, in questo caso animale, ma non se l’era sentita di attribuirgli il valore di “Volto” che racchiude in sé la superiorità di una specie.
Forse perché, come dice Pirandello:
“Se si guarda negli occhi un animale, tutti i sistemi filosofici del mondo crollano”.
E Levinas, come i tanti filosofi che hanno eluso lo sguardo dell’altro di specie diversa, non volevano veder crollare quell’impalcatura di pensiero che reggeva e giustificava una società assolutamente antropocentrica, che esclude gli animali dal suo orizzonte morale.
“La maggior parte della filosofia tradizionale, non ha riflettuto sugli animali reali, ma su stereotipi.”(L. Battaglia )
DERIDDA CONIA IL TERMINE ANI-MOT
Dice Deridda, riferito a questi filosofi: “I loro discorsi sono forti e profondi, ma tutto avviene come se non fossero mai stati guardati loro, da un animale ri-volto verso di loro. L'esperienza dell'animale che guarda, che li guarda, non è mai stata presa in considerazione nell' archittetura teorica e pratica dei loro ragionamenti. Insomma l'hanno negata e disconosciuta, un immenso disconoscimento.”
Io nella mia vita professionale prima come Libero Professionista, poi come Veterinario di Sanità Pubblica, ne ho incontrati tanti di animali: negli allevamenti, negli stabulari di sperimentazione, nei mattatoi, nei canili dove ho udito il loro lamento, ho visto i loro corpi martoriati, i Volti della loro sofferenza.
Allora la domanda fondamentale rimane quella che formulò Jeremy Benthan già nel 1789: “La domanda non è, possono ragionare? né possono parlare? Ma POSSONO SOFFRIRE?"
Essi hanno un corpo, una mente, strutture anatomo-fisiologiche e sensoriali del tutto simili a quelle di noi umani. La differenza dice Darwin è solo di grado. Solo per stupidità umana si è arrivati, in anni recenti, a fare esperimenti su animali per dimostrare che essi potessero provare sofferenza, come in effetti hanno poi provato.
Gli animali sono come i bambini e …. sono esseri vulnerabili, VULNERABILITÀ: che si esprime nella DIPENDENZA dall'altro, nel CORPO, nella PSICHE.
• Nella DIPENDENZA
– Responsabilità storica della domesticazione: “Tu diventi per sempre responsabile di quello che hai addomesticato” (Il Piccolo Principe) La domesticazione degli animali, li ha resi totalmente dipendenti dal' uomo.
In questo totale dipendere-da-altro-da-sé sta la vulnerabilità dell'animale addomesticato.
• VULNERABILITA' E FRAGILITA': Nel CORPO e nella PSICHE
Gli studi di fisiologia, neuroscienze, etologia comportamentale hanno evidenziato in maniera inequivocabile che gli animali di cui ci occupiamo posseggono una vita psichica e relazionale molto ricca e che privarli di stimoli ambientali e relazioni interspecifiche provoca danni irreversibili alla loro salute.
Acquisizioni scientifiche, fatte proprie anche dalla legislatore Europea che nelle varie normative sulla protezione degli animali, parla di benessere psico-fisico, si parla di paura, angoscia e gli animali vengono definiti degli esseri senzienti.
Le moderne tecniche di allevamento, in cui gli animali non possono soddisfare le loro esigenze etologiche, congiuntamente ad una selezione genetica sempre più tesa ad aumentare le produzioni, hanno creato condizioni innaturali di vita che inducono negli animali condizioni di disagio e di stress, rendendoli sempre più fragili e vulnerabili.
Pertanto bisogna prendere atto che oggi il peso maggiore della sofferenza animale non è dato dalle crudeltà commesse nei loro confronti, ma dall' uso “normale” che noi facciamo degli animali, dice Bernard Rollin della Colorado University:
“La maggior parte della sofferenza animale deriva da motivi socialmente accettabili come il progresso delle conoscenze e della ricerca scientifica, la creazione di un'abbondante scorta di cibo e a buon mercato, la misurazione della sicurezza o tossicità dei prodotti che adoperiamo quotidianamente”.
“Se si ammette che gli animali sono capaci di soffrire, si deve pur riconoscere che essi hanno almeno l'interesse a non soffrire” (L. Battaglia)
Quella della sofferenza animale, diventa allora una domanda ineludibile della nostra società del benessere
L'imperativo categorico deve diventare quello di: DARE ALLA SOFFERENZA VALORE DI RILEVANZA MORALE.
Abbiamo le nostre responsabilità su questa sofferenza ma l'assunzione delle responsabilità non basta bisogna passare
DAL PRINCIPIO O ETICA DELLA RESPONSABILITA' ALL'ETICA DELLA CURA.
La cura presenta, per cosi dire, un valore aggiunto rispetto allo stesso principio di responsabilità. Essa implica un passaggio alla prassi. Insomma l'etica da descrittiva deve farsi prescrittiva. La Cura diviene applicazione pratica e attiva dell'etica della Responsabilità. Lavoro di cura, come lo definisce Elena Pulcini.
Cura “Scorse del fango ne raccolse un po' e cominciò a dargli forma,” impasta l'argilla, si sporca le mani e questo è un agire, ma è un agire per dar forma a qualcosa.
“Si chiami homo poiché e fatto di humus” di Terra e qui mi piace vedere l'origine comune di tutti gli Esseri del Creato che Darwin ha riassunto nella bella espressione “Siamo stati creati dagli animali”
ragazzo spulcia
IL RAGAZZO CHE SPULCIA IL SUO CANE
Sono circa 20 anni che concludo le mie presentazioni sulla domesticazione del cane, con questa slide, un'immagine che descrive in maniera efficace il rapporto di CURA, IL PRENDERSI CURA.
Un'immagine che mi accompagna da tanti anni ma che solo adesso lavorando sulla relazione di cura, ho guardato con la dovuta attenzione, con quello SGUARDO ATTENTO, tanto caro a Simine Weill, solo oggi riesco a percepirlo nella sua autenticità.
Il cane è in una postura di totale abbandono, questa immagine ci porta dentro l'essenza del rapporto di Cura, in cui colui che ha bisogno di Cura, si affida in maniera totale e incondizionata a chi si prende cura di lui.
L'estrema ATTENZIONE del ragazzo che si evidenzia anche nella sua prossemica quel tendere verso, quell'osservare, insito già nell'etimologia del termine (ad – tendere), ci fa capire che questo è uno sguardo di cura. (Caring regard)
“La cura significa tra l'altro tendere a qualcosa” (Heideggger)
O meglio ancora come dice Luigina Mortari “L'attenzione quando è appassionata, concentrata sull'altro, diventa anche un gesto etico. Tenere l'altro nel proprio sguardo, è il primo gesto di cura."
Quello che sta facendo il ragazzo, viene definito dagli etologi come pratica di groomig, tolettatura, spulciamento, che è fatto tra cospecifici e serve a rafforzare il legame del gruppo.
Quello che qui mi interessa evidenziare è il profondo legame che si è instaurato tra l'uomo e il cane, sicuramente frutto di una relazione unica e intensa.
La zooantropologia ha messo in luce l'importanza di questa relazione. Nella visione zooantropologica l'animale ricopre per l’uomo un ruolo referenziale, si ammette una interazione dialogica, capace di arricchire sia l’uomo che l’animale, dove è proprio il rapporto con il diverso di specie a fare di questa relazione qualcosa di unico e speciale.
Precludersi questa relazione significa precludersi una possibilità di apertura ontologica all'Esser-ci che mi porta a dire che quell'uomo che non entra in relazione con la Natura, che per Heidegger è vista come uno sfondo, è un uomo povero di mondo.
(Per Heideggger è l'animale ad essere povero di mondo.)
Ma se guardo il quadro con sguardo empatico rivivo le emozioni che ho provato quando ero ragazzo avendo avuto la fortuna di convivere con diversi cani.
Questo quadro, mi parla di un Amore profondo e incondizionato che solo la relazione con un animale può darci.
ETHOS si fa EROS.
“L'Amore non ha per soggetto soltanto gli animali della stessa specie ma si estende fino a comprendere quasi tutti gli esseri e sensibili e pensanti. E' del tutto naturale che un cane ami l'uomo, che è al disopra della sua stessa specie, e molto frequentemente ne riceve in cambio dell'affetto.” (Hume - Trattato della natura umana)
Come una madre guarda il proprio figlio
e a rischio della vita l'unico figlio protegge,
egualmente così, verso tutte le creature,
si coltivi una mente di sconfinata amorevolezza,
amorevolezza verso tutti gli esseri del mondo.
Metta Sutra (Sutra della benevolenza universale)
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