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AnnaMaria Esposito
docente di Scienze
Liceo Scientifico”E.Amaldi”- S.Maria C.V.(CE) Lo sviluppo delle società umane, nel corso dei millenni, è stato caratterizzato da una serie di cambiamenti dei sistemi naturali della Terra, che hanno permesso di sostenere modi di vivere sempre più sofisticati e confortevoli di una popolazione in continua crescita. Ciò ha determinato una transizione verso strutture sociali e politiche complesse, che hanno favorito grandi progetti a vantaggio dell’uomo permettendogli di ottenere approvvigionamenti sicuri di cibo, acqua, energia e materiali.
Con l’avvento dell’industrializzazione, in particolare, si è assistito ad un’accelerazione dei cambiamenti ambientali, che hanno interferito con maggiore incisività con gli ecosistemi terrestri, con serie conseguenze anche sulla salute dell’uomo. Tutto ciò è stato permesso specialmente dalle civiltà occidentali che, supportate da una visione del mondo in cui da un lato vi è l’uomo e la sua necessità di progredire materialmente e, dall’altro, la natura con una serie di risorse a totale disposizione del progresso umano, sono state per secoli indifferenti alle tematiche ambientali. Dalla seconda metà del ventesimo secolo le grandi conquiste della tecnica e della tecnologia hanno in qualche modo legittimato questa visione per cui oggi si assiste a cambiamenti degli ecosistemi in proporzioni che non hanno precedenti (riduzione della diversità biologica, effetto serra, buco dell’ozono, ecc…). Questa grave crisi ecologica, attualmente, è arrivata ad un punto tale da mettere in dubbio, su lungo periodo, la sopravvivenza dello stesso genere umano facendo rischiare alle generazioni future di non avere le stesse opportunità di sviluppo di cui noi godiamo e beneficiamo.
Le indagini svolte dai maggiori centri di analisi e di ricerca sullo stato dell'ambiente e sulle cause che determinano il suo degrado dimostrano che il nostro sistema economico e sociale ha determinato un'insostenibilità dei modelli di sviluppo per cui è necessario un cambiamento sia dei processi di produzione che di quelli di consumo. L’ambiente, come complesso di beni naturali e culturali, quindi, non può più essere considerato l’oggetto natura-risorsa contrapposto al soggetto uomo: è necessario il passaggio dal “moderno scientifico-tecnico”, che ha insistito sull’emancipazione dell’uomo attraverso il dominio della scienza sulla natura, al “post moderno”, che problematizza la questione ambientale opponendo al metodo riduzionistico un approccio olistico, che percepisce ed affronta le tematiche ambientali nella loro globalità evidenziandone le caratteristiche giuridiche, sociali, etiche e politiche.
Nell’ambito del sistema sociale, la consapevolezza del contrasto tra il tradizionale modello di benessere e sviluppo economico e la necessità di salvaguardare gli equilibri ambientali è andata gradualmente crescendo. Nel corso degli anni, infatti, dopo una prima reazione al degrado ambientale, basata sulla convinzione del diritto di ciascuno a proteggersi contro i danni che un ambiente ostile può procurargli (diritto alla vita) e del dovere di non danneggiare l’ambiente per non subire danni alla salute (diritto alla salute), si è acquisita la consapevolezza del diritto da parte dell’uomo attuale e delle generazioni future di poter godere di un ambiente migliore (diritto all’ambiente) che, a sua volta, come bene ed entità autonoma, ha diritto alla propria esistenza (diritto dell’ambiente). In particolare, il diritto ambientale, inteso come l’insieme di quelle norme rivolte in maniera più o meno diretta a disciplinare problematiche attinenti all’ambiente, nasce come risposta alla crisi della società attuale nella gestione dei rapporti fra uomo e natura e fra modi di produzione ed uso delle varie risorse.
Negli ultimi decenni l’intervento giuridico nel campo ambientale ha seguito due linee di tendenza: la prima si è basata sulla convinzione che la protezione della natura sia vantaggiosa per l’uomo, la seconda sulla convinzione normativa che è dovere dell’uomo proteggere e custodire i valori di qualsiasi genere. Dall’intreccio confuso e disorganico di entrambe le tendenze il diritto ha cercato di individuare nuove direzioni di sviluppo i cui obiettivi sono: proteggere l’autoregolazione della natura e disciplinare le attività umane rivolte all’ambiente.
Il diritto costituisce, anche, il fondamento dei diversi strumenti di cui nel tempo si è dotata la comunità internazionale per far fronte ai problemi ambientali. La Conferenza di Stoccolma (1972), il Rapporto Brundtland della Commissione Mondiale sull’ambiente e sullo sviluppo (1987), il Summit della Terra di Rio de Janeiro (1992), il Protocollo di Kyoto (1997) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici ed il riscaldamento globale, La Conferenza di Johannesburg (2002) sullo sviluppo sostenibile e la Conferenza di Nairobi (2006) sui cambiamenti climatici esprimono, infatti, lo sforzo della Comunità mondiale per pianificare lo sviluppo sostenibile e testimoniano l’affermarsi del principio di responsabilità condivisa, che coinvolge non solo i vari stati, ma, anche imprese, enti pubblici, industrie.
I principi del diritto ambientale, emersi nel diritto internazionale dell’ambiente come strumenti per realizzare forme di consenso su strategie e comportamenti da tenere rispetto a problematiche di carattere globale, si sono anche affermati nei diritti sovranazionali “regionali” e nei diritti nazionali.
Oggi, in Italia il termine “ambiente”(assente nella Costituzione entrata in vigore il primo gennaio 1948), dopo varie successive sentenze della Corte Costituzionale, indica un valore primario, non subordinato ad altri interessi, da salvaguardare e proteggere , qualcosa di più di un mero diritto soggettivo. L’approccio italiano al diritto ambientale inizialmente è stato caotico ed ingovernabile a causa dello sviluppo e della trasformazione della percezione della natura e per la ricerca dei mezzi più adeguati di tutela dell’ambiente. Successivamente è stato caratterizzato dalla emergenzialità legata a fatti ed avvenimenti spesso tragici e condizionato dai dati scientifici riferiti a varie discipline come l’ecologia, la chimica, le biotecnologie. In particolare nel nostro Paese le difficoltà nell’affrontare le problematiche giuridiche legate all’ambiente trovano la spiegazione in due ordini di motivi: il primo è di carattere strutturale, per gli approcci interdisciplinari che difficilmente si lasciano “piegare” dalle categorie “rigide e semplificanti” del diritto; il secondo è di carattere soggettivo, dovuto alla reticenza a riconoscere dignità ed autonomia al diritto ambientale, ritenuto, al più, come un ramo settoriale e specialistico di discipline più consolidate.
Il diritto comunitario, sin dal 1974, ha dato un notevole contributo allo sviluppo del nostro diritto ambientale, facendogli superare l’impasse culturale e ordinamentale, che aveva determinato una cristallizzazione del dibattito dottrinale sulla ricerca di una sistemazione degli oggetti e dei soggetti del diritto ambientale nelle categorie tradizionali dei beni giuridici e dei diritti pubblici soggettivi.
I “principi comunitari di gestione dell’ambiente” rappresentano il risultato di una progressiva evoluzione del diritto ambientale. Infatti, dopo il principio “chi inquina paga”,che nasconde nella semplicità della sua formula-slogan una certa ambiguità e difficoltà di applicazione, si sono affermati il principio “preventivo”, che si basa sulla certezza scientifica e considera l’impatto delle attività umane sull’ambiente un effetto abituale dell’agire individuale e sociale, ed il principio “precauzionale”, che implica un metodo generale e giuridicamente strutturato di valutazione dei rischi impliciti nelle azioni umane. Mentre, però, il principio di prevenzione fa riferimento a rischi certi, cioè conosciuti e scientificamente dimostrabili, il principio di precauzione fa riferimento a rischi incerti, che da dati scientifici disponibili risultano solo potenziali. Va sottolineato che il principio precauzionale, rappresenta una delle “frontiere” più interessanti e controverse del diritto ambientale poiché fonda le sue basi su paure e contraddizioni della nostra epoca, specialmente in relazione all’uso di alcune tecnologie, e riaccende il dibattito sui rapporti tra diritto e scienze esatte. Tale principio, inoltre, consente di affrontare aspetti fondamentali legati al diritto all’informazione ed alla partecipazione democratica nella gestione dei rischi.
La comunicazione ambientale, o meglio, l’informazione su questioni ambientali, nasce, pertanto, come una presa di coscienza collettiva e diventa un elemento costitutivo dei diritti di cittadinanza. Essa, però, per essere efficace, deve: 1) passare da un’informazione volta a sensibilizzare, ad una che corresponsabilizza; 2) essere interattiva piuttosto che unidirezionale; 3) essere continua e di prevenzione e non episodica e di emergenza; 4) essere più rigorosa sulle fonti ed i dati informativi, che devono essere comprensibili, aggiornati e confrontabili.
L’opinione pubblica, grazie ad una maggiore informazione, ha manifestato in questi ultimi decenni una crescente sensibilità verso le questioni ambientali ed ha cominciato a percepire il pianeta come un grande macroecosistema. I cittadini sono diventati più attenti alle scelte politiche, sociali ed ambientali operate nelle zone più disparate della terra e sono più consapevoli dell’importanza del raggiungimento di uno sviluppo sostenibile, che subordina lo sviluppo economico alla salvaguardia dell’equilibrio naturale. Mentre, però, aumenta la sensibilità complessiva dell’opinione pubblica rispetto ai temi ambientali, non sempre i cittadini evidenziano comportamenti e stili di vita ecocompatibili. Infatti, se a parole essi sono consapevoli dell’importanza dell’ambiente, come fattore cruciale per la qualità della vita, spesso non sono disposti a mettere in discussione i propri modelli di consumo per rispettare l’ambiente. Non è errato dire, quindi, che non si può ancora parlare di cultura ambientale, specialmente se si considerano le fratture tra mondo “ricco” e quello “povero”. Una cultura ambientale corretta presupporrebbe, infatti, il passaggio dall’io al noi, dall’avere all’essere, dal singolare al plurale. In questa ottica, affrontare le minacce al patrimonio naturale del pianeta, deve essere visto anche come lotta alla povertà, perchè le comunità povere hanno minori possibilità di scelta per la conservazione delle proprie risorse naturali.
La realizzazione dello sviluppo sostenibile e la lotta alla povertà non comportano, perciò, solo un cambiamento nelle modalità di sfruttamento ambientale, secondo una logica di protezione dell'ambiente, ma la messa in pratica di comportamenti ecologici che possono determinare cambiamenti nei meccanismi di produzione e di consumo in una direzione più equa, grazie alla conservazione ed alla ricanalizzazione delle risorse in direzione del soddisfacimento di tutti, adesso e nel futuro. Occorre realizzare uno sviluppo sostenibile che gravita intorno a due concetti chiave: quello di equità intra-generazionale, che soddisfa le esigenze del mondo povero, migliorandone le condizioni, e quello di equità inter-generazionale, che si traduce nell'opportunità, oggi, di limitarsi nello sfruttamento dell'ambiente per evitare di danneggiare le generazioni di domani.
Il problema ambientale presenta, quindi, anche aspetti etici che non possono essere disgiunti da riferimenti di carattere socio-economico, da una parte, e di carattere culturale, dall'altra. L'etica dell'ambiente si propone, perciò, non come presa d'atto di presunti "diritti dell'ambiente", ma come operazione avvalorante delle relazioni umane con il mondo. Su tale presupposto, l'accresciuta potenza della tecnologia e del mercato, da un lato, e la più grande vulnerabilità dei beni naturali e culturali, dall'altro, conferiscono all'uomo una responsabilità, presente e futura, sempre più grave e fa dell'ambiente uno speciale oggetto di cura.

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA 1) D. AMIRANTE, Diritto ambientale italiano e comparato.Principi, ed. Jovene,2003.
2) ATLANTE DI GAIA, Un pianeta da salvare, a cura di Norman Myers, Zanichelli, 1989.
3) COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Bioetica e Ambiente, 21 settembre 1995.
4) E. FRUMENTO, Lo stato ambientale e le generazioni future: per una tutela del diritto fondamentale all'ambiente,in www.ambientediritto.it
5) M.A. LA TORRE, La domanda sociale di natura e la cura per l’altro, in Bioetica e diritti umani, a cura di M.A. La Torre, Luciano Editore,2004.
6) S. MAZZATA, Comunicare l’ambiente oggi, Spunti di analisi critica, articolo originale con spunti dal capitolo “’Comunicare’ l’ambiente”in "Per abitare la Terra, un’educazione sostenibile" a cura di Pierluigi Malavasi Pubblicazioni dell’I.S.U. Università Cattolica,2003.
7) R. PARIGI, Educazione ambientale? Roba da bambini , articolo in www.tuttoambiente.it
8) R.A. RICCI, Etica ambientale e informazione scientifica, pubblicato su L'Avanti, 11 maggio 2003.
9) L. VALLE, Lezioni di Diritto dell’ambiente a.a. 2006/07,da www.unive.it
10) Ambiente: introduzione, articolo da www.europa.eu/scadplus/leg/it
11) www.dirittoambiente.com
12) www.istitutobioetica.org

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