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Attività

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V CONVEGNO REGIONALE DI BIOETICA PER LA SCUOLA
“Il Valore Ambiente”

AMBIENTE E CONVENZIONI INTERNAZIONALI
Silvana Schiavone
docente di Lettere
Liceo Scientifico “E.Amaldi”- S.Maria C.V.(CE) Negli ultimi trent’anni, in conseguenza del degrado dello stato di salute del pianeta e dei frequenti disastri ecologici, si è sempre più sentita, da parte della comunità internazionale, l’esigenza di proteggere l’ambiente, preoccupandosi di stabilire linee programmatiche da seguire per garantirne la salvaguardia e arginarne il deterioramento. Davanti ai danni causati dall’inquinamento la legislazione nazionale adottata nei vari Paesi si è dimostrata ben presto insufficiente e ci si è resi consapevoli di dover intervenire a livello mondiale con una politica ambientale ed una regolamentazione giuridica ben definita. In particolare, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (UNCHE, United Nations Conference on Human Environment), tenutasi a Stoccolma nel 1972, ha segnato l’inizio di una presa di coscienza a livello globale ed istituzionale dei problemi legati all’ambiente. Si legge nella dichiarazione finale:” Siamo arrivati ad un punto della storia in cui dobbiamo regolare le nostre azioni verso il mondo intero, tenendo conto innanzitutto delle loro ripercussioni sull’ambiente”. Da quel momento la protezione ed il miglioramento dell’ambiente sono divenute, nelle intenzioni delle Nazioni Unite, priorità di capitale importanza, in quanto presupposto del benessere dei popoli e del progresso del mondo intero. L’attenzione della Conferenza di Stoccolma si concentrò sulla cooperazione internazionale e come esito furono istituiti ministeri e agenzie dell’ambiente in più di 100 Paesi e in 20 anni si stima che furono formate circa 100.000 organizzazioni. Ciò ha indotto gli Stati a stipulare convenzioni multilaterali, regionali, bilaterali e a predisporre strumenti volti a proteggere l’ambiente in ogni sua forma. Le Convenzioni in generale, stabiliscono obblighi di cooperazione in funzione preventiva. Per l’inquinamento dell’ARIA e la protezione della fascia di OZONO

CONVENZIONE DI VIENNA 1985 e relativi Protocollo di Montreal 1987 poi successivamente modificato
Tale accordo prevede l’eliminazione completa dell’uso delle sostanze inquinanti entro il 1996. Tappe differenziate per i Paesi in via di sviluppo. Sono entrati Cina, India e Brasile e successivamente quasi tutti i Paesi in via di sviluppo.
Viene vietata la produzione, la messa in commercio, l’uso in processi produttivi, la limitazione all’importazione e all’esportazione di una serie di gas, i clorofluorocarburi, il tetracloride, tricloroetano, gli idrobromofluorocarburi e gli altri indicati negli allegati al Regolamento UE n°20037/2000.
I cluorofluorocarburi sono perciò proibiti negli aerosol, come solventi,come sostanze refrigeranti. Sono consentite delle eccezioni in alcuni casi in cui tali sostanze servono ad usi essenziali, ad es. medici, di ricerca o militari. Si devono osservare cautele anche nella dismissione di que beni (es:frigoriferi, estintori) che contengano queste sostanze. CONVENZIONE DI GINEVRA 1979 sull’inquinamento transfrontaliero a lunga distanza.
Programma di cooperazione per il monitoraggio delle sostanze che inquinano l’atmosfera in Europa. Riduzione delle emissioni di zolfo e loro flussi transfrontalieri. CONVENZIONE DI STOCCOLMA 2001.
Si pone come obiettivo l’eliminazione e la diminuzione dell’uso di alcune sostanze nocive per la salute umana e per l’ambiente definite Inquinanti Organici Persistenti (POP). I POP, altamente tossici, si propagano nell’aria, nell’acqua o nel terreno e a causa della loro scarsa degradabilità, risiedono nell’ambiente per lungo tempo. Nonostante questo divieto, alcune di queste sostanze sono ancora utilizzate. La Convenzione è entrata in vigore il 17 maggio 2004 ed hanno aderito 150 paesi tra cui gli stati membri dell’Unione Europea. Alcune deroghe ai divieti sono accordate ad esempio per il DDT che resta indispensabile per i paesi in via di sviluppo per la lotta contro la malaria. I paesi industrializzati si obbligano a fornire assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo e ai paesi ad economia di transizione per aiutarli a conformarsi agli obblighi della Convenzione. Per le Attività Industriali a rischio di incidente rilevante,la CONVENZIONE DI HELSINKI del 1992 si fonda sul principio della prevenzione: gli stati devono adottare delle politiche e delle strategie volte a ridurre i rischi di incidenti industriali. Devono stabilire delle norme di sicurezza, eventualmente istituire dei sistemi di autorizzazione, permettere una valutazione dei rischi, applicare le tecnologie più appropriate, sorvegliare le attività pericolose.
Esempi di incidenti: Seveso 1976; Romania 2000. Un’impresa di lavorazione dell’oro ha causato la fuoriuscita di circa 100.000 metri cubi di acqua mescolata a cianuro nel fiume Lapus; tali acque si sono poi riversate nel Danubio.
Olanda2000. Esplosione di una fabbrica di fuochi d’artificio.
Tolosa, Spagna 2001. Esplosione di una fabbrica di fertilizzanti. Il fine della Convenzione è dunque quello di prevenire gli incidenti e limitarne i loro effetti sull’uomo e sull’ambiente. Inquinamento del mare e delle acque. Le prime convenzioni sul diritto del mare vengono siglate nel contesto delle Nazioni Unite nel 1958; queste si occupano però più della delimitazione degli spazi marittimi che dell’inquinamento delle acque. Di diverso tenore è invece la CONVENZIONE DELLE NAZIONI UNITE firmata a Montego Bay nel 1982 (ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 2 Dicembre 1994, n°689), con la quale gli Stati si impegnano a proteggere e a rispettare l’ambiente marino, soprattutto a vigilare che le attività poste sotto la loro giurisdizione e il loro controllo non mettano in pericolo l’ambiente di altri Stati o non pregiudichino l’ambiente in zone al di là di quelle sulle quali esercitano la loro sovranità. ( Si deve tener presente che il mare è diviso in varie zone e lo Stato esercita la sua sovranità sulle acque interne e sul mare territoriale fino a 12 miglia dalla costa, diritti sovrani sullo sfruttamento della Zona Economica Esclusiva, (ZEE), ossia sulle acque fino a 200 miglia dalla costa, e sulla piattaforma Continentale, ossia il fondo marino e il sottosuolo fino a 200 miglia dalla costa. L’alto mare, oltre la ZEE, è libero). La Convenzione si occupa di contrastare l’inquinamento di origine tellurica, di origine atmosferica, proveniente dai fiumi e dagli oleodotti, quello derivante dalle attività di immersione e attività di navigazione. Devono essere preservati gli ecosistemi rari e gli habitat delle specie in pericolo. Le misure introdotte sono destinate a evitare l’inquinamento derivante dal ricorso a tecnologie o all’introduzione intenzionale o accidentale di specie non indigene che rischino di introdurre mutamenti considerevoli e nocivi all’ambiente.
Casi famosi di inquinamento:
A partire dal 1953 gli abitanti della baia di Minamata in Giappone furono vittima di una strana epidemia. Le inchieste svolte finirono per accertare la responsabilità delle industrie locali che per anni avevano riversato mercurio nel mare che si era accumulato nei pesci e nei molluschi che erano stati consumati dalla popolazione con la conseguenza di morti, malformazioni nei feti, ecc….
1967-La petroliera gigante Torrey Canyon si spezzò al largo delle coste della Cornovaglia riversando 10.000 tonnellate di greggio che andarono a macchiare le coste francesi e inglesi. Questa fu la prima catastrofe ambientale resa nota dai media, ciò portò alla presa di coscienza della fragilità dell’ambiente marino e dei problemi economici che potevano derivare da un tal genere di inquinamento.
1999- La petroliera Erika che navigava con bandiera maltese e trasportava idrocarburi per conto della società Total si è spezzata in due a sud della punta Finistere, in Bretagna. Ne sono fuoriuscite 20.000 tonnellate di petrolio che hanno inquinato oltre allo spazio marittimo, circa 400 km di costa atlantica.
2002-La petroliera Prestige, battente bandiera delle Bahamas, che trasportava 77.000 tonnellate di petrolio si è trovata in difficoltà al largo delle coste spagnole. Dopo essere stata rimorchiata per cinque giorni, il suo scafo si è rotto ed è affondata.
Questi due ultimi eventi scossero molto l’opinione pubblica, ciò ha contribuito a prendere misure giuridiche a livello internazionale e a livello comunitario.
Per quanto riguarda l’inquinamento derivante dalle attività di navigazione la Convenzione prevede obblighi degli Stati diretti ad introdurre forme di controllo sulle navi, da esercitarsi non solo da parte dello Stato di bandiera della nave, ma anche dallo Stato del porto in cui la nave volontariamente attracchi, e dallo Stato costiero relativamente al mare territoriale e alla zona economica esclusiva (ZEE). LA CONVENZIONE MARPOL, sull’inquinamento marino,1973 ha come scopo di mettere fine all’inquinamento da idrocarburi ed altre sostanze nocive e di ridurre il riversarsi in mare di questo tipo di sostanze. SI prevede la progressiva sostituzione delle petroliere a scafo semplice. Per le risorse idriche il problema non è solo quello della tutela contro l’inquinamento ma anche quello della loro gestione, per permettere anche alle generazioni future l’utilizzo di questa risorsa.
L’inquinamento è diverso a seconda dell’utilizzazione delle acque, domestica, industriale, agricola, per la navigazione, per la produzione idroelettrica….e può derivare da : scarico di sostanze nocive diretto o indiretto ( es attraverso il suolo); di tipo termico come quello dell’acqua utilizzata per raffreddare le centrali elettriche; da fosfati e nitrati presenti nei fertilizzanti.
Convenzione sulla protezione e utilizzazione dei corsi d’acqua transfrontalieri e dei laghi internazionali 1992. LA CONVENZIONE SULLA DIVERSITA’ BIOLOGICA elaborata in occasione della Conferenza su Ambiente e Sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro tra il 3 e 14 Giugno 1992, mirava a promuovere un accesso equilibrato alle risorse biologiche degli ecosistemi ed invitava alla cooperazione internazionale gli Stati. La Convenzione ha posto la vitale necessità di conservare in situ gli ecosistemi e gli habitat naturali e di mantenere e ricostituire le popolazioni di specie vitali nei loro ambienti naturali. Ha indicato una serie di obiettivi su cui elaborare opportune strategie per un’efficace conservazione della biodiversità, per l’accesso alle risorse genetiche ed il trasferimento delle biotecnologie, per la sensibilizzazione delle popolazioni. LA CONVENZIONE DELLE NAZIONI UNITE per la lotta contro la desertificazione adottata a PARIGI il 17 giugno 1994, ha l’obiettivo “di combattere la desertificazione e mitigare gli effetti dell’aridità in Nazioni che stanno soffrendo a causa di gravi siccità e/o desertificazioni, particolarmente in Africa”.
La Convenzione ha invitato i contraenti alla massima cooperazione ed ha auspicato il miglioramento della produttività delle terre coltivate, il loro recupero, la loro conservazione, nell’ottica di prevenire le conseguenze a lungo termine della desertificazione, comprese estinzione delle specie animali e cambiamento climatico. Soprattutto la Convenzione ha chiamato le Nazioni industrializzate ad un impegno solidale nei confronti delle popolazioni più povere affinchè offrano un sostegno concreto ai Paesi in via di sviluppo partecipanti alla Convenzione fornendo loro risorse finanziarie, facilitando l’accesso alle tecnologie ed alle conoscenze.Essa ha stabilito inoltre il dovere delle Nazioni colpite dalla desertificazione e dalla siccità di dare prioritaria importanza alla lotta contro tali problemi, promuovendo la consapevolezza e la partecipazione delle popolazioni locali, sviluppando piani di azione locale per combattere la desertificazione mediante una partecipazione delle zone rurali del Paese e di quelle persone che vivono dell’agricoltura. Con LA CONVENZIONE QUADRO sui cambiamenti climatici, si è fissato l’obiettivo di stabilizzare la concentrazione in atmosfera dei gas serra dovuta all’impiego di combustibili fossili,ad un livello tale da impedire pericolose conseguenze per il sistema climatico. Ai Paesi industrializzati, veniva richiesto il maggiore sforzo economico ed assegnato l’onere dell’avvio delle misure che avrebbero dovuto condurre alla riduzione, nei successivi 10 anni, delle emissioni di anidride carbonica ai livelli del 1990.
La Conferenza delle Parti (COP), Organo Supremo sul clima, divenuto la massima autorità della Convenzione, riunitasi per la prima volta a Berlino nel marzo 1995 è stata convocata, da allora, annualmente per verificare l’effettivo rispetto degli impegni assunti dai Paesi firmatari della Convenzione.
Ad oggi vi sono già state9 Conferenze delle Parti: Berlino, Ginevra, Kyoto, Buenos Aires, Bonn, Aja, Marrakech, Nuova Delhi, Milano. Le Conferenze hanno visto lunghe e travagliate trattative sul problema del clima: una volta adottato nel corso della 3° Conferenza delle Parti a Kyoto nel 1997, il Protocollo di attuazione (Protocollo di Kyoto), nelle sessioni successive di Buenos Aires(1998), Bonn(1999)e l’Aja(2000), gli sforzi sono stati tutti rivolti alla ricerca di una base comune al fine di ratificare il Protocollo stesso e di darvi concerta attuazione. La fuoriuscita degli Stati Uniti e la reticenza dei Paesi come la Russia, il Canada,il Giappone, hanno tuttavia ostacolato il raggiungimento del numero minimo dei Paesi (55 Nazioni che, rappresentino il 55% delle emissioni mondiali di gas serra del 1990), dai quali il Protocollo di Kyoto deve essere ratificato per entrare in vigore.
Il Protocollo impegna i paesi industrializzati e quelli ad economia in transizione (i paesi dell’Est Europeo) a ridurre complessivamente del 5,2 per cento le principali emissioni antropogeniche di gas serra entro il 2010 e, più precisamente, nel periodo compreso tra il 2008 e il 2012. Il paniere di gas serra considerato nel Protocollo include sei gas: l’anidride carbonica, il metano, il protossido d’azoto, i fluorocarburi idrati, i per fluorocarburi, l’esafloruro di zolfo.
L’anno di riferimento per la riduzione delle emissioni dei primi tre gas è il 1990, mentre per i rimanenti tre (che sono gas lesivi dell’ozono stratosferico e che per altri aspetti rientrano nel Protocollo di Montreal) è il 1995. La riduzione complessiva del 5,2% non è uguale per tutti i Paesi. Per i paesi membri dell’Unione Europea nel loro insieme la riduzione dovrà essere pari all’8%, per gli USA al 7%, per il Giappone al 6%.
Il Protocollo incoraggia i governi a collaborare tra loro, a migliorare la loro efficienza nel settore dell’energia, a riformare i settori dell’energia e dei trasporti, a promuovere forme di energia rinnovabile, eliminare inappropriate misure fiscali e imperfezioni del mercato, limitare le emissioni di metano provenienti dalla gestione dei rifiuti e dal sistema energetico, e a proteggere le foreste e altre “fonti” di carbone.
Si individuano tre diverse categorie di Paesi:
1) Paesi in via di sviluppo, che non sono sottoposti ad obblighi di riduzione di gas ad effetto serra ma esclusivamente a obblighi di cooperazione e scambi diinformazioni.
2) Paesi in transizione verso un’economia di mercato, che sono tenuti ad obblighi ridotti quanto alle emissioni di gas ad effetto serra.
3) Paesi economicamente avanzati, per i quali il Protocollo fissa mediamente al 5% la percentuale di riduzione delle emissioni di gas per il periodo 2008-2012.
La resistenza della Russia e l’opposizione degli Stati Uniti alla ratifica del Protocollo sono legate ai criteri utilizzati per la distribuzione dei costi per il raggiungimento degli obiettivi di contenimento dei fenomeni di cambiamento climatico previsti per il primo periodo di attuazione del Protocollo (2008-2012). In questa prima fase i costi graveranno solo sui Paesi industrializzati. La debolezza di questo criterio deriva dal fatto che probabilmente alla fine del primo periodo di applicazione (2012) altri paesi in via di sviluppo (Cina, India, Brasile)raggiungeranno e potranno persino superare i livelli di emissioni dei paesi industrializzati. Cosicchè il contenimento imposto ai Paesi più sviluppati rischia di essere compensato dall’incontrollato aumento delle emissioni da parte di quei paesi in via di sviluppo che si stanno incamminando sulla strada dello sviluppo economico.
La Conferenza di Marrakech del 2001 ha prodotto gli accordi di Marrakech sull’applicazione del Protocollo di Kyoto. Secondo tali accordi ciascuno Stato vedrà attribuirsi una quota percentuale di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra denominata diritto di emissione. Se uno Stato produce una percentuale di gas ad effetto serra maggiore di quella autorizzata, godrà della possibilità di acquistare, da un Paese che ne produce di meno, la sua eccedenza di diritti di emissione.
Grazie alle misure previste e all’utilizzo dei meccanismi di Kyoto, l’Unione Europea riuscirà a ridurre entro il 2010 le proprie emissioni del 9,4% rispetto all’anno di riferimento. I dati più recenti rivelano una diminuzione delle emissioni pari ad appena l’1,7% rispetto al 1990.
Iniziative utili alla riduzione delle emissioni:
1) Diffusione delle fonti di energia rinnovabile.
2) Miglioramento dei metodi di combustione degli autoveicoli
3) Miglioramento dell’efficienza degli edifici.
4) Diffusione dell’idrogeno rinnovabile.
5) Fissione nucleare
6) Migliore gestione delle risorse agricole e forestali.
Le fonti principali di energia rinnovabile sono quella solare, idroelettrica, eolica e da biomassa. Queste forme di energia sono nella maggior parte del mondo le uniche risorse locali disponibili. Esse derivano direttamente o indirettamente da quella solare ed hanno il vantaggio di presentare generalmente un basso impatto ambientale, ad esclusione dell’incenerimento della biomassa o dei rifiuti urbani. Alcune di queste risorse (celle solari) producono energia a costi attualmente maggiori di quelle fossili e nucleari. La Dichiarazione Politica sullo Sviluppo Sostenibile
Si ricorda,infine, tra le altre iniziative avanzate allo scopo di eliminare la povertà e porre le Nazioni sottosviluppate in condizione di progredire e svilupparsi, LA DICHIARAZIONE POLITICA SULLO SVILUPPO SOSTENIBILE firmata dagli Stati in occasione del summit mondiale tenutosi a Johannesburg tra il 26 agosto e il 4 settembre 2002, in cui si ribadiscono gli impegni sottoscritti nei precedenti vertici evidenziando le interdipendenze tra i problemi ambientali e quelli sociali e sottolineando l’importanza di ridurre “il profondo contrasto che divide la società tra ricchi e poveri ed il crescente divario tra mondi sviluppati e quelli in via di sviluppo”.
Il piano d’azione adottato in occasione del summit, definisce concretamente alcuni obiettivi prioritari:
1) La cooperazione, per cui si è deciso di destinare ad un fondo per la solidarietà lo 0,7% del prodotto interno lordo dei Paesi ricchi e si sono stabiliti ben 562 progetti bilaterali tra Paesi industrializzati e Paesi poveri relativi a diverse aree di intervento (tra queste povertà, energie rinnovabili, purificazione delle acque.)
2) Risorse idriche in relazione alle quali si è assunto l’impegno di dimezzare entro il 2015, il numero delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile ed ai servizi igienici.
3) L’energia, per la quale gli Stati aderenti si sono impegnati ad un “sostanziale incremento dell’uso di fonti rinnovabili di energia (eolica, solare,biomassa ecc…)
4) La protezione della biodiversità attraverso una significativa riduzione, entro il 2010, del ritmo di estinzione delle varietà delle specie viventi, ed il mantenimento dell’abbondanza e delle varietà delle specie ittiche, mediante messa al bando di tecniche di pesca devastanti ed imposizione del rispetto dei periodi di riproduzione.
5) Eliminazione delle sostanze chimiche tossiche e nocive (in particolare dei pesticidi in agricoltura) entro il 2020.
6) Il clima, in relazione al quale sono stati ribaditi gli impegni assunti nella Convenzione di Rio sui cambiamenti climatici, e si è fatto appello per la ratifica del Protocollo di Kyoto a quei Paesi che ancora non lo avessero fatto.
Con il vertice sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg si è cercato quindi, di affrontare il nodo centrale di come raggiungere oggi lo sviluppo economico e sociale , ma soprattutto di come renderlo sostenibile rispetto all’ambiente e al futuro del genere umano.
Tuttavia i progressi raggiunti negli ultimi anni in termini di miglioramento dell’ambiente e di sviluppo sostenibile sono stati minimi. A 10 anni di distanza dal primo summit di Rio, si è dovuto, infatti, constatare che, pur avendo quest’ultimo provocato una presa di coscienza globale sulle priorità ambientali ed innescato una quantità di processi istituzionali di successo, non ha però prodotto tangibili risultati globali: l’equilibrio ecologico si è deteriorato, (si pensi al continuo aumento della concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera o alla inesorabile diminuzione delle foreste) la povertà mondiale è aumentata e il bisogno fondamentale di cambiare radicalmente i modelli di produzione e consumo è stato pressoché ignorato. Di fronte a questa realtà è parso chiaro che gli sforzi profusi per evitare e prevenire i rischi e le violazioni in materia ambientale non hanno purtroppo raggiunto l’obiettivo in modo soddisfacente. APRILE 2007 B I B L I O G R A F I A

LAURA VALLE - Lezione di diritto dell’ambiente
FEDERICO ANTICH – Origine ed evoluzione del diritto internazionale ambientale

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