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Attività

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Alma Massaro

I santi e gli animali: storie di una relazione che guarisce

(Intervento al XXVI Convegno Apteba, Rapallo, 17-18 Novembre 2012)

Introduzione

Storicamente l'interazione tra uomo e animale è stata caratterizzata dalla reciprocità. L'essere umano ha, infatti, modellato l'animale adattandolo alle sue esigenze ma, a sua volta, quest'ultimo ha influenzato la vita e la cultura umane. Recenti studi di zooantropologia hanno mostrato come le società e le culture umane siano state plasmate da questo continuo rapporto con gli altri animali. Come afferma Marchesini la cultura rappresenta il più grande debito contratto dagli esseri umani con le altre specie animali, poiché non proviene dall'autarchica creatività umana bensì dal dialogo con gli animali non umani. Non stupisce, quindi, che all'interno della tradizione cristiana, nei testi ufficiali come nelle tradizioni popolari, si trovino importanti riflessioni circa tale rapporto bidirezionale. Si pensi agli animali che hanno accompagnato la vita di Gesù: passeri, asini e muli; gli animali presenti nelle vite dei santi, fossero essi i mostri da combattere o quelli che portavano da mangiare e accompagnavano le giornate dei santi; o tutti gli animali che vivano all'interno o a ridosso dei monasteri che con le loro funzioni aiutavano i monaci a svolgere le loro mansioni e ispiravano le loro riflessioni e preghiere. Gli stessi animali che accompagnavano le giornate dei fedeli di ogni tempo, animali compagni di lavoro che condividevano le fatiche quotidiane dei contadini, spartendo miserie e povertà.
Metodologicamente, un'indagine del Cristianesimo, che voglia essere esaustiva tanto sul piano teologico quanto su quello sociale e culturale, deve quindi prendere in considerazione il rapporto che tale tradizione intrattiene con gli animali. Così facendo è possibile restituirgli quel connotati troppo spesso sottovalutati, ovvero la sua dimensione cosmica e il suo indubitabile teocentrismo. Infatti, sebbene il Cristianesimo sia indiscutibilmente centrato sugli esseri umani, la presenza degli animali è pervasiva, anche nei primi testi cristiani; come afferma Enzo Bianchi, chi legge la Bibbia non impara soltanto che gli animali sono co-creature con gli uomini, ma scopre anche che essi, creature volute e benedette da Dio, sono in relazione con Dio. E questo non solamente perché Dio pensa a loro fornendo cibo con sollecitudine (cf. Sal 104, 21-28; 136,25; 147,9) o perché Dio dà loro un soffio e poi glielo toglie (cf. Sal 104, 29-30), ma perché essi comunicano con Dio servendosi di linguaggi impenetrabili e impensabili per l'uomo [...] Sta scritto che Dio con un asino ha ammonito un profeta (cf. Nm 22,21-25), con un grosso pesce ha fatto capire a Giona la direzione da prendere in obbedienza a Dio (cf. Gn 2), con un corvo ha nutrito Elia in una grotta (cf. 1Re, 17,1-6), con una colomba ha significato la discesa dello Spirito Santo su Gesù di Nazaret (cf. Mc 1,10 e par.; Gv 1,32), con un gallo ha destato Pietro alla coscienza del suo peccato (cf. Mc 14,72), con un agnello ha designato l'uomo per eccellenza, il servo di JHWH (cf. Gv 1,29.36).

La reciproca interazione tra Dio-uomo-animale è espressa in modo esemplare nel libro di Giobbe:

Ma interroga pure le bestie, perché ti ammaestrino,
gli uccelli del cielo, perché ti informino,
o i rettili della terra, perché ti istruiscano
o i pesci del mare perché te lo faccian sapere.
Chi non sa, fra tutti questi esseri,
che la mano del Signore ha fatto questo? (Gb 12,7-9)

Sebbene questa sapienza contenuta all'interno della spiritualità cristiana sia stata spesso nascosta e dimenticata dalle sue correnti ufficiali, è oggi possibile porvi una nuova attenzione. Così facendo si creano le condizioni per riscattare l'uomo contemporaneo dal ruolo infausto di parassita e distruttore dell'intero ecosistema che si è guadagnato nel corso degli ultimi secoli, da quando la spiritualità cristiana è venuta meno lasciando spazio alla violenta secolarizzazione di massa dell'uomo occidentale. L'attuale crisi ecologica, infatti, trae origini anche da questo processo di despiritualizzazione: come noi ci pensiamo e rapportiamo rispetto al resto del vivente ha delle implicazioni immediate sull'intero pianeta e sugli esseri che lo abitano. Per tale ragione, recuperare questa sapienza e metterla a disposizione dei credenti di oggi ha valore non solo religioso-culturale ma anche ecologico. In tal senso è opportuno rivolgersi alle vite dei santi poiché in grado di fornirci materiale importante per ricostruire un Cristianesimo attento alla nostra relazione con gli altri animali e con il vivente in generale, umano compreso. Ed è proprio da tali narrazioni, più che dai resoconti della teologia ufficiale, che è oggi possibile comprendere il cristianesimo vissuto dalle genti e, pertanto, pervenire ad una più completa comprensione della sua spiritualità.

Storia del rapporto uomo-animale: dalla creazione al sacrificio dell'Agnello
Nell'Antico Testamento è contenuta la storia dell'evoluzione del rapporto uomo-animale, dalla sua iniziale armonia alla rottura di tale unità. Il libro della Genesi spiega come si sia passati dall'unità alla separazione, dalla coesistenza pacifica alla realtà di lotta e separazione. Nel progetto iniziale di Dio gli animali sono compagni e aiutanti dell'uomo: nel lavoro quotidiano, durante il riposo sabbatico, nella lode al Creatore, etc. Dio, creatore dell'intero universo, affida all'uomo la cura della terra e degli animali che la abitano. In tal modo, il rapporto che esiste tra l'uomo e l'animale si rispecchia in quello esistente tra Dio e l'uomo: con le dovute proporzioni, l'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio, si prende cura degli animali allo stesso modo in cui Dio si prende cura di lui. È invece con il peccato di Adamo e, ancora, con il diluvio universale che la comunità di vita di uomo e animale viene separata in due realtà disunite, spesso antagoniste: il male fa ingresso sulla terra e corrode i rapporti esistenti non solo tra gli uomini ma anche tra questi e Dio e gli animali, portando morte e distruzione. L'uomo non è più benevolo tutore ma, al contrario, diviene temuto avversario, antagonista da cui sfuggire; allo stesso modo Dio non è più padre ma signore. L'intimità dei rapporti fa spazio alla separazione e l'unico modo per l'uomo peccatore per riconquistare una seppur fugace unione con Dio è versare il sangue di coloro che sono stati affidati alle sue cure. Di conseguenza, l'Antico Testamento, oltre a essere un documento fondamentale della spiritualità ebraica, costituisce un'importantissima testimonianza per comprendere la pratica dei sacrifici animali e dei suoi effetti transitori.
È, invece, nel Nuovo Testamento che viene narrata la storia del sacrificio perenne, dell'offerta definitiva con cui vengono lavati i peccati dell'umanità intera e grazie alla quale non sarà più necessario spargere il sangue di bestie innocenti. L'agnello di Dio, Gesù, lava con il suo sangue tutte le colpe dell'umanità. Con il suo avvento si apre un nuovo capitolo della storia della salvezza, si preparano le condizioni per realizzare ancora una volta - e questa volta definitivamente - l'unione e l'armonia originarie dell'intera creazione: l'intervento di Cristo nella storia ha reso possibile il ristabilimento dell'ordine e dell'armonia edenica e dunque l'inizio della salvezza per il mondo intero.
La comunità di vita pacifica tra l'uomo e gli altri animali, invero, si realizza nuovamente nei resoconti dei vangeli: Gesù, all'inizio del suo ministero, passa quaranta giorni nel deserto. L'evangelista Marco afferma in 1:13 [Gesù] stava tra le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Gesù, vero Dio e vero uomo, privo del peccato originale, può non solo comandare ai venti e questi gli obbediscono ma può anche vivere in perfetta sintonia con quegli animali comunemente considerati bestie pericolose. Come afferma Backham, in questo passaggio non si dice che gli animali temono [Gesù], gli si sottomettono, o lo servono. L'idea del dominio dell'uomo sugli animali inteso come vantaggio del primo rispetto al secondo è completamente assente [...] Gesù non tormentare né domina gli animali selvatici, non li addomestica, né li rende dei pet. Egli è semplicemente con loro. La relazione uomo-animale è, in tal modo, ristabilita: le bestie non temono Gesù né lo aggrediscono ma convivono pacificamente con lui. Egli è il nuovo Adamo e le bestie – come anche gli elementi naturali – lo riconoscono. Con Gesù si apre quel momento della storia della salvezza in cui l'uomo ritorna alla relazione di familiarità originaria tanto con Dio quanto con gli animali. Dio torna a essere padre amorevole e l'essere umano ritorna custode. Nell'attesa della seconda venuta di Gesù grazie alla quale l'armonia originaria sarà definitivamente ristabilita, l'umanità ha il compito di obbedire agli insegnamenti contenuti nei vangeli, insegnamenti che si riassumono nel “testamento” di Gesù: “Vi lascio un nuovo comandamento, che vi amate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Giovanni 4:34). Questo significa che nulla di quanto è stato detto dai profeti nell'Antico Testamento viene annullato bensì compiuto nel comandamento dell'amore, amore che coinvolge l'intera creazione.

I santi e gli animali
L'insegnamento relativo all'infinito amore di Dio che si estende su tutta la creazione è stato compreso nella sua pienezza nelle esperienze spirituali di quegli uomini, i santi, che nella loro vita hanno cercato di ricreare attorno a loro le condizioni del paradiso terrestre. Costoro, così facendo, sono stati in grado di ripristinare quella comunità di vita in cui l'animale non è antagonista dell'uomo, bensì suo compagno ed aiutante: non è solo il santo a curare l'animale – san Girolamo e il leone, san Macario e la iena, sant'Eligio e il cavallo, etc. – ma anche l'animale a prendersi cura del santo: il bue e l'asinello che scaldano Gesù bambino, le lontre marine che nutrono Paolo l'eremita, la lontra che asciuga san Curberto, il cane che Lecca le ferite di Lazzaro, etc. Seppure il razionalismo cristiano di derivazione cartesiana abbia a lungo proposto una lettura di tali episodi in chiave simbolica o metaforica, come afferma Laura Hobgood-Oster, leggere gli animali come sempre e solo simbolici è evasivo e serve a rinforzare la superiorità umana e il suo dominio [...] ed equivale a minimizzare il significato degli animali reali. È quindi necessario rileggere questi testi ponendo attenzione non solo all'animale simbolico ma anche all'animale reale.
Ma, prima di passare a leggere alcune di queste storie, è opportuno cercare di capire chi è il santo.
Il santo, sia egli un uomo o una donna, è colui che, attraverso l'esercizio dell'amore, è riuscito a raggiungere, o meglio a realizzare, il regno di Dio già su questa terra. Ma che cos'è questo Regno? In Matteo 4:17 Gesù afferma: “Convertitevi perché il regno dei Cieli è vicino”, che in inglese suona “Repent, for the kingdom of heaven is at hand’, a portata di mano, espressione che restituisce l'idea di un regno che è già qua in mezzo a noi, che è accessibile: basta tendere una mano per afferrarlo. Si tratta, infatti, di un Regno che è già qua, a cui possiamo accedere amando Dio. Il regno di Dio [...] non ha sede in uno spazio fisico-geografico. Nel Vangelo la parola Regno corrisponde ad un'azione ed entrare nel regno significa entrare in un regno qua [...] una dimensione dove la parola di Dio regna attraverso un'azione, un'azione che consiste nell'obbedienza ai suoi comandamenti, primo fra tutti a quello dell'amore. Pertanto, il Regno di Dio è una sfera d'azione in cui Dio regna e noi siamo in comunione con Gesù e, in lui, con l'intera creazione.
In definitiva, nella storia nuova inaugurata da Gesù, l'essere umano può, attraverso l'obbedienza e l'esercizio dell'amore, recuperare quel paradiso perduto, afferrare il regno di Dio. Come afferma Isacco di Ninive:
l'umile [colui che obbedisce alla volontà di Dio] si avvicina alle bestie feroci, e appena il loro sguardo si fissa su di lui, la loro brutalità si placa; e si avvicinano e si uniscono a lui come al loro signore e [gli] fanno festa con la loro coda e leccano le sue mani e i suoi piedi. Infatti sentono che da lui [esce] quell'odore che emanava da Adamo prima della trasgressione del comandamento.
Il santo è proprio colui che attraverso l'esercizio della spiritualità si trova in comunione con Gesù e, di conseguenza, con l'intero creato: in tal modo il paradiso dal quale Adamo fu cacciato si ricrea intorno a lui. I benefici di questa sua scelta si riversano anche sugli esseri viventi che vivono assieme a lui, siano essi umani o animali. Ecco perché le vite dei santi contengono numerosi aneddoti relativi alla simpatia e alla confidenza tra questi e gli animali, non solo domestici ma anche selvatici e feroci.

Santi e animali: un rapporto terapeutico
È nella spiritualità monastica che troviamo numerosi esempi di guarigioni attuate sia per opera del santo, sia per quella dell'animale. Il monaco, infatti, educato nella profonda spiritualità della vita ascetica e purificato il cuore nella prossimità con Dio, è in grado di ristabilire parte di quella comunione originaria descritta in Genesi 1-2. Nei resoconti riguardanti le loro vite si incontrano leoni, orsi, cervi e iene riconoscenti verso il santo per una guarigione ottenuta su si sé o sulla propria prole, o per essere stati alimentati o messi al sicuro da un pericolo. Talvolta questi animali si mettono al servizio del santo al punto che le categorie domestico-selvatico si sbiadiscono, richiamando l'episodio relativo alla vita di Gesù narrato in Marco 1. A volte in questi animali viene meno l'istinto predatorio e mutano le loro abitudini alimentari: da carnivori divengono erbivori (cf. il leone di san Gerasimo); e talvolta si rivelano essere messi divino incaricati di portare un messaggio al santo (padre Macario e la iena), poiché agli occhi del loro creatore gli animali sono degni di divenire messaggeri della sua volontà.

San Macario e la iena riconoscente
Pafunzio, discepolo [di Macario di Alessandria] ci raccontò che un giorno una iena prese il suo piccolo che era cieco, e lo portò da Macario; dopo avere bussato con la testa alla porta del cortile, entrò mentre egli stava seduto fuori dalla cella e gettò ai suoi piedi il cucciolo. Il santo lo prese, sputò sui suoi occhi e pregò: subito quello aprì gli occhi e la madre, dopo averlo allattato, lo portò via. Il giorno dopo portò in dono al santo il vello di una grossa pecora.
Nel racconto tradotto da Helen Waddell troviamo la prosecuzione di questa storia, infatti, ella racconta che quando la iena porta il dono al santo, questi la rimprovera per aver ucciso un altro essere vivente. Tuttavia padre Macario riconosce nel vello della pecora un dono divino e accetta, pertanto, il dono solo dopo essersi fatto promettere dalla iena di non uccidere mai più nessuno.

Padre Gerasimo e il leone
L'amicizia tra il leone e san Gerasimo ha origini in un atto di compassione del santo verso l'animale ferito alla zampa: gli unguenti solitamente usati per curare gli esseri umani vengono da lui generosamente usati per l'insolito malato. Il santo ha compassione dell'animale e questi gli è grato: una volta guarito non si allontana più dal monastero. Diviene, così, pari a uno degli altri animali domestici e come tale gli viene attribuita una specifica mansione, badare all'asino del monastero.
L'animale selvatico e feroce vive così in armonia non solo col santo ma anche con quell'animale che per natura sarebbe sua preda, questo perché, come abbiamo visto, il regno di Dio è appunto quel luogo dove l'armonia originaria viene ristabilita, anche se non modo non definitivo, già su questa terra. Un giorno, però, il leone perde di vista l'asino, che viene rapito da un cammelliere, e tornato presso il monastero viene accusato dai monaci di averlo divorato. Anche padre Gerasimo individua in lui il colpevole, tuttavia decide di non cacciarlo via ma di attribuirgli le mansioni fino allora svolte dall'asino. Il leone obbediente acconsente a tale nuovo incarico, fino a quando un soldato in visita al monastero, impietosito dal povero animale, dona i soldi ai confratelli per comprare un nuovo asino. Il leone, licenziato, si allontana dal monastero ma nei pressi del fiume Giordano si imbatte nel cammelliere che gli aveva sottratto l'asino. L'uomo, alla vista dell'animale feroce, scappa via, lasciando sul luogo tre cammelli carichi d'orzo e l'asino. Il leone provvede così a portare tutti gli animali al monastero, dove Geronimo e i suoi confratelli riconoscono la sua innocenza e, dandogli il nome di Giordano, lo accolgono in modo definitivo nel monastero. La storia in realtà prosegue, infatti, dopo cinque anni, durante una breve assenza del leone, padre Gerasimo muore. Al suo ritorno l'animale selvatico va in cerca del suo amico e, venuto a conoscenza della morte e del luogo dove era stato seppellito, rifiuta il cibo e l'acqua e si lascia morire sulla tomba del suo caro.

San Colombano e il cavallo bianco
San Colombano passa le sue ultime ore di vita in compagnia del suo fedele cavallo bianco che, cosciente di quanto sta per accadere, appoggia il muso sul petto del santo e inizia a piangere. Questi, vedendo uno dei suo confratelli avvicinarsi per allontanare l'animale, lo istruisce dicendo: «osserva, tu che sei un uomo e possiedi un'anima razionale non avresti mai saputo della mia prossima dipartita se non te l'avessi detto; eppure Dio ha rivelato ... a quest'animale muto e irrazionale che il suo padrone sta per andarsene via».

Padre Macario e le antilopi
Al ritorno da un pellegrinaggio, padre Macario rimane senza viveri. Allora Dio provvede ad fornirgli il sostentamento inviandogli un'antilope per aiutarlo: sarà ella stessa, aiutata dalle sue compagne, ad allattarlo per otto giorni consecutivi fino a quando il santo non farà ritorno sano e salvo al suo monastero.

Conclusione
È importante notare come in ciascuno dei racconti presentati – che costituiscono solo alcuni brevi esempi delle innumerevoli testimonianze relative al rapporto uomo-animale presenti all'interno della tradizione cristiana – l'animale si comporta in modo alternativo rispetto a quanto accade nella vita quotidiana. Infatti, è proprio quando l'uomo afferra il regno di Dio e, così facendo, ristabilisce l'armonia originaria, che all'animale è data la possibilità di esprimersi nella sua completezza: egli non sfugge più l'uomo, né lo aggredisce, non gli è neppure sottomesso ma può liberamente mostrare le sue abilità, cooperando con lui. Come non vedere in questi animali una piena realizzazione di quella collaborazione, parziale, che si cerca di realizzare oggi attraverso l'educazione del singolo animale alla pet-therapy?
In tale contesto è, infatti, possibile guardare alla terapia assistita con gli animali come a uno degli svariati modi in cui Dio ha pensato l'animale e la sua pratica come la realizzazione della sua stessa volontà. In quest'ottica, è opportuno ripensare la pet-therapy come pratica che trova la sua giustificazione teologica nella tradizione biblica e, di conseguenza, come una piena realizzazioine delle capacità specifiche di ciascun essere vivente. Praticare la pet-therapy significa, quindi, relazionarsi con il resto della creazione nel modo in cui Dio ha pensato questo rapporto: in essa l'animale co-terapeuta diviene exemplum dell'animale compagno dell'uomo.
Ripensare quindi gli animali come compagni, come aiutanti nella nostra vita quotidiana che ci accompagnano nel processo di guarigione significa restituirgli quel ruolo che Dio gli aveva attribuito al momento della loro creazione. Così facendo è possibile riscoprire la verità di quanto è contenuto all'interno della spiritualità cristiana: ovvero che l'animale è in grado di guarire i mali non solo fisici ma anche emotivi e spirituali di noi esseri umani.

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