Gianfranco Nicora
Tobia, il cane e l’Angelo
Premessa La tradizione cristiana è la più arretrata nel riconoscimento e rispetto del mistero degli animali.Molti teologi o religiosi ammutoliscono o, se aprono bocca, parlano a sproposito quando sentono parlare di Teologia degli Animali e non si rendono conto che anche noi siamo animali,esseri animati dal soffio divino che dona la vita a angeli, uomini, viventi non umani: cani ,gatti, bestiame, volatili, animali selvatici, pesci, alberi, foreste , fiori, erbe, frumento, viti… e che quindi la Teologia degli Animali altro non è che un discorso ( logos) sul rapporto tra DIO (TEOS) e le sue creature, che hanno un’anima.
Alla luce di queste premesse mi piace partire dal Libro di Tobia, che contiene tutti i personaggi umani e non umani viventi e il prezioso cameo sul cane.
Questo grazioso libretto e’ un grande affresco che descrive il viaggio come simbolo della vita. L'immagine biblica di Tobia, che parte per un lungo viaggio accompagnato da un angelo e dal suo cane “Il giovane partì insieme con l’angelo e anche il cane li seguì e s’avviò con loro” (Tobia 6,1), è la parabola del nostro cammino sulla terra, durante il quale animali e angeli ci sono compagni, fratelli e amici. Se è vero che noi ci prendiamo cura di loro è ancor più vero che loro si prendono cura di noi e in molteplici circostanze ci dimostrano il loro affetto e i loro sentimenti ll libro di Tobia nulla ha a che vedere con la storia, si tratta infatti di un racconto popolare a lieto fine il cui scopo è sapienziale-didattico.Lo scopo principale dell'autore è quello di esaltare la fedeltà alla Legge di un ebreo della diaspora, costretto a vivere in mezzo a popoli pagani. Questo scopo è delineato con uno stile che si può definire “romanzesco”, fatto com'è di colpi di scena, di trovate geniali e di irruzioni del Soprannaturale nella vita quotidiana, che lasciano il lettore con il fiato sospeso fino al lieto fine.La parte centrale del testo è dedicata alle vicende di un uomo non vedente, chiamato Tobi e di suo figlio Tobia, che viene inviato dal padre a ritirare del denaro, che un parente gli doveva.Tobia si mette in cammino accompagnato dal suo cane e da Azaria, che si offre di proteggerlo durante il viaggio.Il giovane non immagina certo che Azaria sia un Angelo, che si cela sotto le spoglie del viandante, anche se questi dimostra subito una sapienza non comune, consigliando ad esempio al suo protetto di conservare il fiele, il cuore e il fegato di un pesce da lui catturato nel grande fiume Tigri. È sempre lo stesso Azaria ad informare Tobia della triste vicenda di sua cugina Sara, condannata dal demonio ad essere perennemente vedova. Tobia si innamora di lei e la chiede in sposa.Asmodeo, lo spirito maligno, è però in agguato e progetta l’uccisione di Tobia. Azaria/Raffaele è pronto però con un esorcismo: brucia il cuore e il fegato del pesce, (seguendo probabilmente un rituale ebraico antichissimo per allontanare il Maligno), ed Asmodeo fugge per sempre. Infine Tobia, Sara ed Azaria fanno rientro a Ninive: “partirono; venne anche il cane dietro a loro” ( Tobia 11,4 ).
Si arriva così alla parte conclusiva del viaggio: il padre Tobi guarisce dalla cecità non appena il figlio gli applica sugli occhi il fiele del pesce. A questo punto il padre vorrebbe ricompensare Azaria, che invece manifesta la sua natura angelica ritornando in Cielo tra lo stupore dei protagonisti.Il capitolo 13 contiene un brano di alta poesia, il cosiddetto Cantico di Tobia, un vero e proprio inno a Sion, che testimonia l'appassionata nostalgia dell'Ebreo della diaspora nei confronti della Città Santa, attraverso immagini di beatitudine che preannunciano l'Apocalisse di Giovanni.Oltre a tutti i personaggi appena descritti e presenti in questa storia compaiono altri esseri viventi non umani:
Il cane domestico, che accompagna Tobia: “Il giovane partì insieme con l’angelo e anche il cane li seguì e s’avviò con loro”( Tobia 6,1) e nella strada del ritorno “ venne anche il cane dietro a loro” ( Tobia 11,4 ).
La Bibbia cita frequentemente i cani. Erano usati come da guardia per le case e proteggevano e controllavano greggi di pecore e di capre. Erano allevati specialmente per la caccia. Vi erano numerosi branchi di cani selvatici che vivevano fuori città presso i depositi di rifiuti. Erano così feroci e temuti che nemici crudeli erano spesso loro paragonati. Il cane era considerato impuro e quindi non lo si poteva mangiare.
Nel VI secolo a. c. la cultura considerava il cane come essere immondo. Qui il cane viene presentato per la prima volta come amico e compagno, assieme all’angelo e in contrapposizione al demonio Asmodeo.
Il pesce: “si fermarono a passare la notte sul fiume Tigri. Il giovane scese nel fiume per lavarsi i piedi, quand'ecco un grosso pesce balzò dall'acqua e tentò di divorare il piede del ragazzo, che si mise a gridare. Ma l'angelo gli disse: -Afferra il pesce e non lasciarlo fuggire-. Il ragazzo riuscì ad afferrare il pesce e a tirarlo a riva. Gli disse allora l'angelo: - Aprilo e togline il fiele, il cuore e il fegato; mettili in disparte e getta via invece gli intestini. Il fiele, il cuore e il fegato possono essere utili” (Tobia 6,3-10.
I passeri, accusati di aver causato la cecità di Tobi “ Per il caldo che c'era tenevo la faccia scoperta, ignorando che sopra di me, nel muro, stavano dei passeri. Caddero sui miei occhi i loro escrementi ancora caldi, che mi produssero macchie bianche, finché divenni cieco del tutto”.
Il capretto che entra in casa belando “…fecero dono di un capretto per il desinare. Quando il capretto entrò in casa mia, si mise a belare” (Tobia 2,12-13).
L’angelo: Il nome Raffaele significa “Il Signore guarisce”. Nel libro di Tobia viene ampiamente sviluppato il tema dell'angelologia ebraica, ripresa anche dal libro di Daniele e da molti apocrifi. Questa è una prova della composizione assai tardiva del libro, perchè l'angelologia e la demonologia si svilupparono principalmente sotto l'influsso ellenistico. Raffaele, che si è sempre comportato come un'entità personale dotato di propria volontà e non come un alter ego di JHWH, dice di sé stesso: “Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre pronti ad entrare alla presenza della maestà del Signore” (Tobia 12,15 ).Quanto alla parola "angelo", essa deriva dal greco "messaggero"; agli angeli vengono contrapposti i demoni, visti dall'ebraismo e poi dal cristianesimo come angeli caduti, nemici di Dio e degli uomini. La parola greca "daimones" indicava i "geni", esseri intermedi fra gli déi e gli uomini. Solo in epoca ellenistica demone diventa sinonimo di spirito maligno, in precedenza tale parola non possedeva alcuna connotazione negativa.
Animali e angeli nella cultura teologica vengono scarsamente considerati, forse perché della loro esistenza non siamo molto convinti e soprattutto perché non ci accorgiamo della loro presenza Appaiono e poi spariscono.” (come tre mila anni fa nella vicenda di Tobia).
Il diavolo: in Tobia 3,8 compare uno dei pochi demoni chiamati dalla Bibbia con il suo nome: Asmodeo. Il suo nome deriva dal persiano "Aeshma Deva", cioè "colui che fa morire” anche in contrapposizione a Raffaele, che significa "Dio guarisce". Certamente Asmodeo era un personaggio preesistente al libro di Tobia e ben noto alle leggende ebraiche; compare ad esempio nell'apocrifo "Testamento di Salomone" dove è presentato proprio come nemico dell'unione coniugale. La descrizione della cacciata di Asmodeo da parte di Raffaele in Tobia (6, 17-18) è legata proprio ad antichissime pratiche esorcistiche: nell'Oriente antico si era convinti che il fumo nauseabondo fosse indigesto a spiriti e demoni e che quindi li facesse fuggire. Si noti però che questo rito, un po' ingenuo e quasi sciamanico, non basterebbe da solo a salvare Tobia se lo stesso Raffaele non intervenisse ad incatenare il demonio. Che dire, in conclusione, di un libro come quello di Tobia? Le parole più adeguate a descriverlo sembrano quelle usate da Martin Lutero: “Se si tratta di storia, è storia sacra; se si tratta di poesia, è un poema davvero bello, salutare e proficuo, opera di un poeta geniale, commedia fine e amabile”.
In questa storia sacra tutti i personaggi, umani e non umani, in particolare cane e Angelo, con le loro vicende ci rimandano ai più noti testi di Genesi.
Qui l’affresco diventa cosmico e il viaggio ha inizio dalle profondità dei millenni quando tutto il creato (cielo, terra, acqua, fuoco, sole, luna, piante, animali, uomo, angeli) nasce dal soffio dello spirito di Dio.
Il primo racconto della creazione
E’ il primo testo di ecoteologia (οἶκος, "casa", "ambiente").
La struttura del racconto vede in Dio un architetto, che prepara gli ambienti, le stanze e poi vi colloca gli abitanti, che vivono tutti sotto lo stesso tetto nei diversi piani della casa.
Il testo è poetico e il suo genere letterario è didattico; in un contesto culturale politeista e manicheo insegna che:
· l’universo è opera di Dio;
· tutte le creature (anche l’ erba verde) sono opera della Sua Bontà e della Sua Bellezza;
· ogni creatura è immagine di Dio, che vi si rispecchia (Gen 1,31 “vide che era cosa molto buona”, in ebraico tov significa sia buono che bello);
l’uomo (maschio e femmina) [“lo”, nel testo ebraico: אֹתֹו (otò)], creato a immagine di Dio, deve prendersi cura del creato, esattamente come fa Dio nei confronti di tutte le sue creature. Il senso del verbo kavash non è tanto “soggiogare”,quanto piuttosto prendersi cura della terra in un rapporto amoroso, armonioso e ordinato. Quanto al verbo tradotto usualmente con “dominare”, radah, indica reggere, guidare, con un’azione che è quella del pastore, che ama il suo gregge .
· In questi testi la visione è teocentrica perché tutte le creature riflettono la bellezza e la bontà di Dio e il rapporto uomo/animali si può ricondurre al modello della fraternità, della bellezza e della bontà che ritroviamo anche ne:
1.3.2 Il secondo racconto della creazione
dove si ha l’immagine di Dio come di un Vasaio. Il Creatore prende del fango e lo modella a corpo umano, cui dà poi vita con il suo alito vitale “Tu mandi il tuo spirito, ed essi sono creati” (Sal. 104,30).
Il racconto prosegue con tre quadri, in cui non avviene nessun cambiamento di scena se non l’ingresso o l’uscita di un personaggio. Nel terzo quadro fa la sua apparizione la donna.
Primo quadro. Appare Dio che delibera: “Non è bene che l'uomo sia solo; io gli farò un aiuto conveniente a lui” (Gn 2:18). La scena è suggestiva: Tutto appare perfetto, ma Dio si ferma per riflettere su un vuoto che ha notato nella sua creazione. “Il terroso” (הָאָדָם, haadam, “Adamo”) che Dio “pose nel giardino dell'Eden” (v. 15), ovvero ἐν τῷ παραδείσῳ , “nel paradiso”, non poteva essere felice stando da solo: “Non è bene che l’uomo stia solo” (Gn 2:18, ). Il maschio non è un essere umano completo. E Dio dice: “Gli farò un sostegno come una che gli sta di fronte [עֵזֶר כְּנֶגְדֹּו]” .
Secondo quadro. Adamo passa in rassegna gli animali, “ma per l'uomo non si trovò un sostegno come una che gli sta di fronte”. L’unico risultato è che Adamo dà il nome a tutti gli animali: “In qualunque modo l'uomo avesse chiamato ogni essere vivente, quello doveva essere il suo nome. E l'uomo diede dei nomi a tutto il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi” (Gen. 19,20). Nel linguaggio biblico, imporre il nome significa riconoscere la propria paternità su chi riceve il nome.
Terzo quadro. Dio dà una compagna femmina tratta dalla sua metà (Gn 2:21,22). “Questa finalmente è ossa delle mie ossa e carne della mia carne” (v. 23). La chiama “uoma אִשָּׁה (ishà); femminile di אִישׁ (ysh), “uomo”] perché è stata tratta dall'uomo [אִישׁ(ìsh)]” (v. 23). Ora Adamo non è più semplicemente un “terroso” (אָדָם, adàm): ora lui è אִישׁ (ysh), “uomo”, e lei è אִשָּׁה (ishà), “donna”.
Anche questo racconto appartiene al genere letterario didattico e in un contesto culturale maschilista in cui la donna è sottoposta all’uomo e quasi considerata allo stesso piano della farina di frumento che impasta, della macina, che frantuma i chicchi di grano e dell’asino, che fa girare la pietra, insegna che:
· femmina e maschio hanno pari dignità e sono complementari l’una all’altro;
· l’uomo è animato dallo stesso alito di vita che lo accomuna a tutti gli altri esseri viventi;
Ritroviamo anche qui il modello della fraternità.
Il rapporto tra l’ uomo e gli altri esseri viventi è un rapporto padre-figlio, come Dio è Padre per noi così gli altri esseri viventi sono nostri fratelli, anzi nostri figli. Come non ricordare a tal proposito la pecorella di 2 Sam 12,3 cresciuta nella casa del povero “insieme con i figli, mangiando il suo pane, bevendo alla sua coppa e dormendo sul suo seno… come una figlia”.
Il primo atto compiuto dall’uomo dopo la creazione è quello di dare il nome ad ogni animale introducendolo così nella sfera dei viventi; nella tradizione ebraica dare il nome ad un individuo significava riconoscerlo come figlio.
Gli animali che popolano la terra non solo sono esseri viventi, ma in un certo senso, ricevendo il nome dall’uomo, ne ricevono lo stesso soffio di vita e ne sono figli. Possiamo sicuramente dire che esiste un rapporto di fratellanza interspecifica e universale.
Coltivare e custodire il giardino dell’Eden e il Creato pullulante di energia e vita sono verbi che indicano non solo il prendersi cura (custodire), ma anche lo sviluppare, il far crescere, il far evolvere l’Universo.
Anche i vegetali nascono crescono e si sviluppano come tutti i viventi e offrono abbondante nutrimento all’uomo e agli animali.
L’uomo, espulso dal Paradiso terrestre trascina in questo percorso rovinoso anche gli altri esseri viventi; gli animali non peccano, ma sono travolti inconsapevolmente dal peccato dell’uomo.
Non solo ma vengono travolti anche dal primo disastro ecologico: il Diluvio, da cui Dio risparmia Noè con tutta la sua famiglia di viventi umani e non umani.
Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male, si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Il Signore disse: "Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti" (Gen 6 5-7).
Allora Dio disse a Noè: "Ecco io manderò il diluvio, cioè le acque, sulla terra, per distruggere sotto il cielo ogni carne, in cui è alito di vita; quanto è sulla terra perirà. Ma con te io stabilisco la mia alleanza. Entrerai nell'arca tu e con te i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli. Di quanto vive, di ogni carne, introdurrai nell'arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te: siano maschio e femmina. Degli uccelli secondo la loro specie, del bestiame secondo la propria specie e di tutti i rettili della terra secondo la loro specie, due d'ognuna verranno con te, per essere conservati in vita. Quanto a te, prenditi ogni sorta di cibo da mangiare e raccoglilo presso di te: sarà di nutrimento per te e per loro. Noè eseguì tutto, come Dio gli aveva comandato, così egli fece”. ( Gen 6,8-22 )
“Perì ogni essere vivente che si muove sulla terra, uccelli, bestiame e fiere e tutti gli esseri che brulicano sulla terra e tutti gli uomini. Ogni essere che ha un alito di vita nelle narici, cioè quanto era sulla terra asciutta morì. Così fu sterminato ogni essere che era sulla terra: con gli uomini, gli animali domestici, i rettili e gli uccelli del cielo; essi furono sterminati dalla terra e rimase solo Noè e chi stava con lui nell'arca”. (Gen 7,21-23 ) “ Dio si ricordò di Noè, di tutte le fiere e di tutti gli animali domestici che erano con lui nell'arca. Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si abbassarono. Nel secondo mese, il ventisette del mese, tutta la terra fu asciutta.” (Gen 8, 1 e 8,14). Dio benedisse Noè e i suoi figli e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite la terra.”( Gen 9,1)
Dio disse a Noè e ai suoi figli con lui: "Quanto a me, ecco io stabilisco la mia alleanza con i vostri discendenti dopo di voi; con ogni essere vivente che è con voi, uccelli, bestiame e bestie selvatiche, con tutti gli animali che sono usciti dall'arca. Io stabilisco la mia alleanza con voi: non sarà più distrutto nessun vivente dalle acque del diluvio, né più il diluvio devasterà la terra.
Dio disse: "Questo è il segno dell'alleanza, che io pongo tra me e voi e tra ogni essere vivente che è con voi per le generazioni eterne. Il mio arco pongo sulle nubi ed esso sarà il segno dell'alleanza tra me e la terra. Quando radunerò le nubi sulla terra e apparirà l'arco sulle nubi ricorderò la mia alleanza che è tra me e voi e tra ogni essere che vive in ogni carne e non ci saranno più le acque per il diluvio, per distruggere ogni carne. L'arco sarà sulle nubi e io lo guarderò per ricordare l'alleanza eterna tra Dio e ogni essere che vive in ogni carne che è sulla terra". (Gen 9, 8-16 ).
La teologia degli animali qui raggiunge il culmine, perché Dio stringe un patto indelebile con ogni essere che vive sulla terra, e quindi anche con tutti gli animali, e anzi poiché il testo parla di essere vivente dobbiamo certamente estendere l’alleanza anche al mondo vegetale. Dopo il diluvio rinasce una nuova terra, un nuovo ambiente popolato da tutti gli abitanti dell’Arca-Casa, si riaccende la speranza di un nuovo ecos.
L’uomo ha però presto dimenticato la solidarietà tra uomini e esseri viventi e di conseguenza anche l’alleanza con Dio.L’uomo di nuovo pretende di essere il signore, il padrone della terra e di tutti gli esseri viventi; la sua signoria non è più il prendersi cura, ma è la padronanza assoluta e indiscussa su tutta la terra.
Dopo la tragedia del Diluvio Noè è autorizzato a mangiare tutto ciò che si muove e ha vita (Gen 9,2) e da quel momento comincia la rottura tra coloro che erano riuniti nella stessa Arca (Gen 9,3) e quindi gli animali sono sottoposti alla malvagità e alla dittatura dell’uomo.
Gli animali, che non hanno preteso di essere come Dio, come invece hanno fatto le altre creature (alcuni angeli e gli uomini), iniziano un cammino di sofferenza, che non è ancora terminato ai nostri giorni.
Gli Ebrei non hanno però dimenticato che questi viventi, innocenti e privi di malizia, sono a loro così prossimi da essere utilizzati nel sacrificio a Dio.
L’uso dell’animale per il sacrificio è sicuramente una forma arcaica di culto, legata alle culture dell’epoca, ma sottolinea il valore di questo essere vivente offerto a Dio, la cui vita è sullo stesso piano della vita umana.
Da questa convinzione scaturisce anche la proibizione di mangiare il sangue degli animali sacrificati o uccisi perché il sangue è la vita di ogni essere vivente, che è fratello dell’uomo. “Soltanto non mangerete la carne con la sua vita, cioè il suo sangue. Del sangue vostro anzi, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto ad ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell'uomo all'uomo, a ogni suo fratello.”( Gen. 9,4-5 ).
Nella Bibbia e nella tradizione rabbinica si introduce poi gradualmente, ma costantemente, la convinzione etica che la compassione è il primo criterio, che deve guidare il nostro comportamento verso gli animali. Possiamo quindi ritenere che la visione antropocentrica iniziale si vada moderando gradualmente con tutta una serie di precetti etici.
In essa numerose sono le norme che tendono a limitare la sofferenza negli animali: gli animali ad esempio hanno diritto al riposo sabbatico, così pure non bisogna arare un campo con un bue legato con il giogo ad un asino per evitare la sofferenza che ne deriverebbe dalla disparità di forza, e’ vietato mettere la museruola al bue mentre trebbia, perché ha diritto di nutrirsi del prodotto del suo lavoro.
Possiamo quindi ben sostenere che nella Scrittura troviamo anche un antropocentrismo moderato.
Alla nascita del Messia a Betlemme sono presenti lo splendore degli astri, le armonie degli angeli, la semplicità dei pastori e l’innocenza degli animali, che pascolano.
Nella sua predicazione Gesù spesso ricorda la mitezza dei greggi, delle pecore, degli agnelli, degli asini, la dolce compassione del cane, che lenisce le piaghe del povero, la semplicità della colomba e l’ astuzia del serpente. Particolarmente significativo è l’invito di Cristo a vedere negli uccelli del cielo e nei fiori del campo la bontà e la bellezza del Padre, che li nutre e li riveste di splendore.
Nel messaggio evangelico Cristo si riferisce a Dio come Padre: il Creatore è Padre e il Creato è figlio e tutti gli esseri viventi sono fratelli.
Cristo poi abolisce, proprio durante la Pasqua, alla vigilia della sua morte, ogni rituale sacrificale per sostituirlo con il pane e il vino, frutti della terra e del lavoro dell’uomo, che sono gli alimenti del banchetto del Regno dei Cieli.
Da questo rapporto di bontà, bellezza e fratellanza interspecifica e universale deriva la conseguenza che anche gli animali non umani hanno una coscienza, hanno e provano dei sentimenti, sono degli individui intelligenti, capaci di gioire e di avvertire il dolore fisico e provare emozioni.
Secondo la Bibbia e la tradizione ebraica tutti gli animali sono chiamati a esprimere il proprio sentimento religioso: pregano.
"Benedite, mostri marini e quanto si muove nell'acqua, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benedite, uccelli tutti dell'aria, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli." (Daniele 3,79-81)
E la loro preghiera è ascoltata : nel libro del profeta Giona quando a Ninive il re impone penitenza a "uomini e animali, grandi e piccoli" (Giona 3,7-8), Dio risparmia la città anche perché in essa vi è "una grande quantità di animali" (Giona 4,11).
"Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa per dissetare il mio popolo, il mio eletto. Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi." (Isaia 43,20-21)
"Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e intorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti e di dietro. Il primo vivente era simile a un leone, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentre vola. I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere:
Santo, santo, santo
il Signore Dio, l'Onnipotente,
Colui che era, che è e che viene!"
(Apocalisse 4,6-8)
È poi da ricordare che la stessa Apocalisse conferma che tutte le creature lodano il Signore:
"Tutte le creature nel cielo e sulla terra, sotto terra e nel mare, e tutti gli esseri che vi si trovavano, udii che dicevano:
A Colui che siede sul trono e all'Agnello
lode, onore, gloria e potenza,
nei secoli dei secoli."
(Apocalisse 5,1)
Pregano infatti anche tutti gli angeli, prega ogni essere creato, pregano gli animali e le fiere..
D’altronde il noto Salmo 148 esorta tutte le creature, animate ed inanimate, a lodare il Signore: il sole, la luna, le fulgide stelle, i monti, le colline, gli alberi, le fiere, tutte le bestie e gli uccelli alati.
Salmo 148 Invito alla lode cosmica
Alleluia.
Lodate il Signore dai cieli,
lodatelo nell’alto dei cieli.
Lodatelo, voi tutti, suoi angeli,
lodatelo, voi tutte, sue schiere.
Lodatelo, sole e luna,
lodatelo, voi tutte, fulgide stelle.
Lodatelo, cieli dei cieli,
voi, acque al di sopra dei cieli.
Lodino il nome del Signore,
perché al suo comando sono stati creati.
Li ha resi stabili nei secoli per sempre;
ha fissato un decreto che non passerà.
Lodate il Signore dalla terra,
mostri marini e voi tutti, abissi,
fuoco e grandine, neve e nebbia,
vento di bufera che esegue la sua parola,
monti e voi tutte, colline,
alberi da frutto e voi tutti, cedri,
voi, bestie e animali domestici,
rettili e uccelli alati.
I re della terra e i popoli tutti,
i governanti e i giudici della terra,
i giovani e le ragazze,
i vecchi insieme ai bambini
lodino il nome del Signore,
perché solo il suo nome è sublime:
la sua maestà sovrasta la terra e i cieli.
Ha accresciuto la potenza del suo popolo.
Egli è la lode per tutti i suoi fedeli,
per i figli d’Israele, popolo a lui vicino.
Alleluia
Un cenno agli animali che pregano si trova anche nel trattato "Orazione" di Tertulliano sacerdote di Cartagine II secolo d.C. "Animali domestici e feroci pregano e piegano le ginocchia e, uscendo dalle stalle o dalle tane, guardano il cielo non a fauci chiuse, ma facendo vibrare l'aria di grida nel modo che a loro è proprio. Anche gli uccelli quando si destano, si levano verso il cielo, e al posto delle mani aprono le ali in forma di croce e cinguettano qualcosa che può sembrare una preghiera."
Mi piace qui ricordare Adriana Zarri e il suo amore per gli animali. Nel libro intervista Tutto è grazia, edito da Aliberti, tra le altre cose, si parla anche di animali. Riporto alcuni passi che ben evidenziano la concretezza dell’amore per gli animali, per tutti gli animali (con preferenza per i gatti).
Avete presente lo scambio della pace durante la messa? Scrive la Zarri:
Quando durante la liturgia c’è il segno della pace, ci si dà la mano. Se non c’è nessuno vado a prendere la zampina della mia gatta.
A proposito dell’anima degli animali e sulla loro resurrezione, la scrittrice annota:
Sono questioni difficili: i teologi parlano in modo difficile. Ma dobbiamo credere che il mondo animale fa parte del regno di Dio perché quando Dio ha parlato dell’Alleanza per la prima volta l’ha fatta anche con gli animali… È la prima volta che si parla di Alleanza dopo il diluvio. Se gli animali fanno parte dell’Alleanza vuol dire che fanno parte del regno di Dio. Vuol dire che risorgeranno! Penso di sì!
E ritorna sul tema della preghiera:
Al mattino quando faccio la liturgia di solito sono vicino all’altare e vedo la mia gatta, la sua contentezza; il suo affetto è il suo modo di pregare. E allora la tengo lì e preghiamo insieme.
Sentimento materno e filiale
Il profeta Natan viene inviato dal Signore a redarguire il re David; il profeta si serve di un racconto che narra la storia di un povero che aveva allevato una pecorella piccina insieme ai suoi figli, e l’amava tanto da farla mangiare dal suo piatto e bere dalla sua coppa, e le permetteva anche di dormirgli in grembo.” Era per lui come una figlia” 2 Sam 12,3 Finché un ricco prepotente, anziché sacrificare un suo capo di bestiame, rubò al povero l’agnellina per offrirla come cena ad un ospite. Il racconto accese l’ira di David verso quell’uomo crudele, ma il profeta fece notare al re che era lui stesso a comportarsi in quel modo. La parabola non avrebbe senso se «l’intimità affettuosa e tenera tra il povero e la sua agnellina non fosse preziosa agli occhi di Dio».
Nella sua predicazione Gesù spesso ricorda la mitezza dei greggi, delle pecore, degli agnelli, degli asini, la dolce compassione del cane, che lenisce le piaghe del povero, la semplicità della colomba e l’ astuzia del serpente. Particolarmente significativo è l’invito di Cristo a vedere negli uccelli del cielo e nei fiori del campo la bontà e la bellezza del Padre, che li nutre e li riveste di splendore.
Nel messaggio evangelico Cristo si riferisce a Dio come Padre: il Creatore è Padre e il Creato è figlio e tutti gli esseri viventi sono fratelli.
E ora veniamo a ”.quell’enorme problema, che non esiterei a definire come il più grande che la teologia ha da affrontare, che è la sofferenza degli animali”.
La Bibbia prescrive di non farli soffrire, ma è davvero possibile? Gli animali capiscono, e tengono alla vita come noi! Ad esempio il dromedario, che pure è forte e vendicativo, quando sta per essere ucciso, piange.
Balaam percosse l'asina per rimetterla sulla strada." (Numeri 22,23)
Il racconto ci dice che l'asina ascolta e comprende il Signore e parla a Balaam.
Balaam, il più grande degli indovini dei popoli stranieri, in definitiva ne sa meno di un asino; questa pare essere l'insegnamento che se ne deduce.
Il racconto però comporta anche un'altra nozione.
Gli animali sono in grado di parlare col Signore.
Il Signore non è in lite con gli animali tanto che al versetto 33 dice "Tre volte l'asina mi ha visto ed è uscita di strada davanti a me; se non fosse uscita di strada davanti a me, certo io avrei già ucciso te e lasciato in vita lei."
Nel caso specifico si può dedurre
ci fu un tempo in cui gli uomini s'intendevano con gli animali, ma ciò non è più;
l'animale è più amico dell'uomo di quanto l'uomo dell'animale;
l'animale sente con maggiore spontaneità dell'uomo il proprio Creatore.
Vi sono, infatti, precetti per ridurre le loro sofferenze come il divieto di:
uccidere il piccolo e la madre nello stesso giorno (Levitico 22,28);
cuocere il capretto nel latte della madre (Esodo 23,19; 34,26; Deuteronomio 14,21);
prendere un uccellino che sta covando (Deuteronomio 22,6-7);
mettere la museruola al bue che trebbia (Deuteronomio 25,4);
togliere il piccolo alla madre nei primi 7 giorni (Levitico 22,26-27; Esodo 22,28-29).
Vi sono anche precetti in loro aiuto come:
il far godere agli animali domestici il riposo del sabato (Esodo 20,10; Deuteronomio 5,13-14);
il non gravarli di lavori impossibili che li sfianchino come aggiogare allo stesso aratro un bue e un asino (Deuteronomio 22,10) data la loro diversa resistenza;
il diritto ai prodotti spontanei dell'anno sabbatico (Esodo 23,11).
favorire gli animali del nemico (Esodo 23,4-5; Deuteronomio 22,1-3): "Quando incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, glieli dovrai ricondurre. Quando vedrai l'asino del tuo nemico accasciarsi sotto il carico, non abbandonarlo a se stesso: mettiti con lui ad aiutarlo." (Levitico 23,4-5)
I profeti avevano compreso l'errore del sacrificare gli animali e annunciavano quanto lo spirito di Dio suggeriva loro, ma gli oracoli che pronunciavano in Suo nome non erano ascoltati, troppo grande e profondo ormai era il distorto sentire:
Geremia 6,20b "I vostri olocausti non mi sono graditi e non mi piacciono i vostri sacrifici";
Salmo 50,13-14 di Asaf "Mangerò forse la carne dei tori, berrò forse il sangue dei capri? Offri a Dio un sacrificio di lode e sciogli all'Altissimo i tuoi voti";
Salmo 51,18 "...non gradisci il sacrificio e, se offro olocausti, non li accetti";
Isaia 1,11 "Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero? - dice il Signore - Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco."
Al riguardo dello spirito comune a uomini e bestie, il Qoelet o Ecclesiaste porta le seguenti considerazioni:
3,18-21 "Riguardo ai figli dell'uomo mi sono detto: Dio vuol provarli e mostrare che essi di per sé sono come bestie. Infatti, la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c'è un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell'uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità. Tutti sono diretti verso la medesima dimora: tutto è venuto dalla polvere e tutto ritorna nella polvere. Chi sa se il soffio vitale (spirito) dell'uomo salga in alto e se quello (lo spirito) della bestia scenda in basso nella terra?"
12,1-7 "Ricordati del tuo creatore nei giorni della tua giovinezza prima che torni polvere alla terra, com'era prima e lo spirito torni a Dio che l'ha dato."
· Il profeta Isaia nel profilare l'avvento dei tempi del Messia rievoca la situazione privilegiata e in pace dello stato di vita nel primitivo giardino terrestre:
"Il lupo dimorerà insieme con l'agnello,
la pantera si sdraierà accanto al capretto;
il vitello e il leoncello pascoleranno insieme
e un fanciullo li guiderà.
La vacca e l'orsa pascoleranno insieme;
si sdraieranno insieme i loro piccoli.
Il leone si ciberà di paglia, come il bue.
Il lattante si trastullerà sulla buca dell'aspide;
il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi." (Isaia 11,6-8)
Paolo di Tarso, sopra a tutti, capì la portata e la conseguenza della Resurrezione di Cristo su tutta la creazione, destinata a rinascere (nuovi cieli e nuova terra).
La Resurrezione è il fondamento di una nuova etica nei confronti degli esseri viventi e “… anche nei confronti delle creature vegetali. Ma dico di più: se tutto ciò che ha avuto l’essere, l’esistenza, dal creatore e l’ ha persa nella morte non l’avesse di nuovo, bisognerebbe concludere che la morte è più potente di Dio, perché vince sull’esistenza. Questo è stato realmente un pericolo per Dio, che ha voluto perciò scegliere la propria morte per annunciare la resurrezione. Se, non solo un filo d’erba, ma un sassolino non avesse di nuovo l’esistenza, sarebbe falsa la domanda di Paolo: “ O morte, dov’è la tua vittoria? (1 Cor 15,55 )” Paolo De Benedetti in “ Il Filo d’erba ” pagg. 36-37 Morcelliana.
Dopo la resurrezione di Cristo la rinascita di tutta la creazione è in gestazione, infatti «La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio; essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto» (Rm 8,19-22).
Questa sofferenza è dovuta al fatto che la creazione, senza sua colpa, è stata trascinata dall’uomo nello stato di vanità e corruzione; questo stato però non è definitivo, c’è una speranza per il creato legata direttamente a Cristo.
Con Paolo di Tarso si arriva così ad una Visione Cristocentrica di tutto il creato.
Nella concezione teologica di Paolo infatti per mezzo di Cristo sono state create tutte le cose: "Egli è l'immagine del Dio invisibile, il primogenito di tutta la creazione, perchè per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili... Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e per lui. Egli è la prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui". ( Colossesi 1,15-17).
Questa visione profetica dell’Apostolo offre l’occasione per toccare il problema, oggi così dibattuto, della presenza o meno di un senso e di un progetto divino interno al creato, senza con ciò voler sovraccaricare il testo paolino di significati scientifici o filosofici, che evidentemente non ha.
La ricorrenza del bicentenario della nascita di Darwin (12 febbraio 1809) rende ancora più attuale una riflessione in tal senso.
Nella visione di Paolo, Cristo è all’inizio e al termine della storia del mondo. Il tema della liberazione finale della creazione e della sua partecipazione alla gloria dei figli di Dio trova una conferma nel tema dei “cieli nuovi e terra nuova” della Seconda Lettera di Pietro (3,13) e dell’Apocalisse (21,1).
La prima grande novità di questa visione è che essa ci parla di liberazione della materia, non di liberazione dalla materia, come invece avveniva in quasi tutte le concezioni antiche della salvezza: platonismo, gnosticismo, docetismo, manicheismo, catarismo.
Sant’Ireneo ha combattuto tutta la vita contro l’affermazione gnostica secondo cui “la materia è incapace di salvezza” (Cf. S. Ireneo, Adv. haer. V, 1,2; V,3,3.).
Nel dialogo attuale tra scienza e fede, il problema si presenta in termini diversi, ma la sostanza è la stessa. Si tratta di sapere se il cosmo è stato pensato e voluto da qualcuno, o se è frutto del caso e della necessità, se il suo cammino mostra i segni di un’intelligenza e avanza verso un traguardo preciso, o se si evolve per così dire alla cieca, obbedendo solo a leggi proprie e a meccanismi biologici.
La tesi dei credenti a questo riguardo ha finito per cristallizzarsi nella formula che in inglese suona “Intelligent design”.
Chi ha aperto il discorso sull’evoluzione a una dimensione nuova è stato Pierre Teilhard de Chardin.
L’apporto di questo studioso nella discussione sull’evoluzione è consistito essenzialmente nell’aver introdotto in essa la persona di Cristo, di averne fatto un “problema cristologico” (F. Mooney, Teilhard de Chardin et le mystère du Christ, Aubier, Paris 1966).
Il suo punto di partenza biblico è l’affermazione di Paolo, secondo cui “tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui” (Col 1,16). Cristo appare in questa visione come il Punto Omega, cioè come senso e approdo finale dell’evoluzione cosmica, che è in costante tensione di adattamento tra la volontà divina e la libertà umana.
Si possono discutere il modo e gli argomenti con cui lo studioso gesuita giunge a questa conclusione, ma non la conclusione stessa. Ne spiega bene il motivo Maurice Blondel in una nota scritta in difesa del pensiero di Teilhard de Chardin: “Davanti agli orizzonti ingranditi della scienza della natura e dell’umanità, non si può, senza tradire il cristianesimo, rimanere su spiegazioni mediocri e a modi di vedere limitati che fanno del Cristo un incidente storico, che lo isolano nel Cosmo come un episodio posticcio, e sembrano fare di lui un intruso o uno spaesato nella schiacciante e ostile immensità dell’Universo” (M. Blondel et A. Valensin, Correspondance, Aubier, Parigi 1965).
Nel versetto finale l’Apostolo fissa questa visione di fede in una immagine ardita e piena di vita: l’intera creazione è paragonata a una donna che soffre e geme nei dolori del parto. Nell’esperienza umana, questo è un dolore sempre misto a gioia, ben diverso dal pianto silenzioso del mondo, che Virgilio ha racchiuso nel noto verso dell’Eneide: “sunt lacrimae rerum”, piangono le cose (Virgilio, Eneide, I, 462).
L’accenno al travaglio da parto della creazione è fatto però nel contesto del discorso di Paolo sulle diverse operazioni dello Spirito. Egli vede una continuità tra il gemito della creazione e quello del credente, che è messo apertamente in rapporto con lo Spirito: “Essa (la creazione) non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente”.
Lo Spirito è la forza misteriosa, l’energia potente che spinge la creazione verso il suo compimento e lo Spirito, che aleggiava agli albori della Creazione, è uno e unico per le stelle, il mare, gli alberi, le gazzelle, gli uomini e gli angeli e questo essere uno e unico, che il teologo Vito Mancuso, chiama energia, è lo Spirito (Vito Mancuso L’anima e il suo destino Cortina Editore pagg. 55-57).
“La parola greca che viene tradotta con spirito significa letteralmente soffio unito al fuoco e indicava nell’ antichità quella nozione che la scienza odierna indica con la parola energia” (Simone Weil, La prima radice, tr di Franco Fortini, Leonardo, Milano p. 218).
Con un accenno velatamente autobiografico, l’Apostolo scriveva ai Corinzi: “Se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,16). L’evoluzione dello spirito non si svolge nell’essere vivente parallelamente a quello del corpo, ma in senso contrario. Si è parlato molto di un film intitolato” Il caso curioso di Benjamin Button”, tratto da un racconto dello scrittore Francis Scott Key Fitzgerald. È la storia di un uomo che nasce vecchio e, crescendo, ringiovanisce fino a morire da vero bambino. La storia è naturalmente paradossale, ma può avere un’applicazione quanto mai vera se trasferita sul piano umano. Noi nasciamo “uomini vecchi” e dobbiamo diventare “uomini nuovi”. Tutta la vita, non solo l’adolescenza, è una “età evolutiva”!
Secondo il Vangelo, bambini non si nasce ma si diventa; san Massimo di Torino, Padre della Chiesa, definisce la vita come un passaggio dalla vecchiaia alla gioventù. Eravamo infatti decrepiti per la vecchiaia dei peccati, ma per la risurrezione di Cristo siamo stati tutti (animali, vegetali, minerali…) rinnovati nell’innocenza dei bambini.
In Cristo Pantocratore tutto il creato risorge e il segno di questo rinnovamento lo troveremo proprio nella ricomposta armonia intraspecifica e infraspecifica tra uomini e animali: il lupo pascolerà con l’agnello e i bimbi giocheranno con i cuccioli dei serpenti.
Da questa visione biblica sgorga impellente per i cristiani una nuova etica nei confronti di animali e vegetali, basata sul rispetto e la salvaguardia del creato, perché la natura è sottoposta, ancora una volta, a una corruzione, che deriva dall’egoismo dell’uomo.
L’assoluta non violenza nei confronti degli animali e il vegetarianismo sono aspetti fondamentali e profetici di una nuova etica, che si sta sviluppando anche nel cristianesimo nello spirito del Cantico delle Creature di Francesco, che riscopre, per innocenza e grazia, qualcosa del lessico che in qualche modo ci fu alle origini nel primo mattino del mondo fra Adamo e tutte le creature.
In Francesco emerge quella teologia ecologica e cosmica, che fu di Paolo di Tarso alle origini del Cristianesimo, di Humphry Primatt nel settecento e di Teilhard de Chardin nel novecento e infine di Nazareno Fabbretti, di Luisella Battaglia e di Paolo De Benedetti ai nostri giorni.
Concludo ricordando il Cantico delle Creature perché è il più semplice e il più profondo inno cristologico: chi loda il Signore per bocca di Francesco è il Cristo Risorto.
Il poverello di Assisi si era così immedesimato con Gesù morto e risorto da riceverne le stimmate e da essere così l’immagine vivente del Cristo risorto, che si presenta ai suoi discepoli con i segni dei chiodi e la ferita del costato e eleva la voce di lode al Padre da parte di tutto il creato.
Si è osservato che, stranamente, nel Cantico non sono citati gli animali, ma Francesco quando parla di “quelli che perdonano per lo Tuo amore et sostengono infirmitate et tribulatione”, pensa a tutti gli esseri viventi (animali compresi), che ancora oggi soffrono a causa nostra, ma che nonostante tutto continuano ad amarci e a perdonarci.
La Gaudium et spes ripropone questa visione escatologica accogliendo proprio le parole di San Paolo ai Romani: "In quel giorno, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo e ciò che fu seminato nella debolezza rivestirà l'in corruzione; e, restando la carità con i suoi frutti, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà che Dio ha creato proprio per l'uomo"28.
Dalla teologia degli animali deriva impellente per i cristiani l’impegno per una nuova etica della cura nei confronti di tutti gli esseri viventi, etica della cura amorevole e fraterna verso tutte le creature anche le più piccole, che esclude come delittuose tutte le pratiche di sperimentazioni e allevamenti intensivi lager che oltretutto eliminerebbero la sofferenza e la morte di milioni di persone soprattutto bambini, privi di cibo, perchè tutti i cereali risparmiati per gli allevamenti intensivi sarebbero più che sufficienti a sfamare tutta l’umanita’
Relazione all’Università di Genova il 12 Maggio 2012 per la conferenza “ La vita emotiva degli animali”, organizzata da Minding Animals Italy (Manita) in collaborazione con la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Genova e l’Istituto italiano di Bioetica