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Attività

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Gianfranco Nicora

(Centro studi di Bioetica e Zoontropologia didattica Fondazione aletti Beccalli Mosca Castronno)

Perche’ una TEOLOGIA DEGLI ANIMALI?

E’ soprattutto con il teologo Paolo De Benedetti, docente di Giudaismo presso la Facoltà Teologica di Milano e di  Antico Testamento all’Università di Urbino e Trento, che nasce il termine Teologia degli Animali, titolo di un suo libro edito da Morcelliana (2007) a cura della bravissima giornalista Gabriella Caramore.
Nel Forum vorrei si aprisse una discussione su  un tema che sta rivoluzionando la teologia classica e influenzando una nuova cultura teologica cristiana, ebraica e mussulmana fondata sui più antichi testi che parlano della creazione e dell’origine del mondo.
Anche la bioetica animale si sta interessando di teologia degli animali, che più propriamente rientra nella eco teologia.
Per sintetizzare e anticipare  un importante dibattito su queste tematiche   non ho trovato testo più chiaro e illuminante di quello scritto da Gabriella Caramore come prefazione del prezioso libretto di Paolo De Benedetti.
Pertanto lo riporto integralmente ringraziando il prof. Giordano Censi, Radio Tre ( Uomini e profeti ) e la Morcelliana per la gentile collaborazione

“Nell’ultimo giorno,quello che darà inizio ai tempi nuovi, come nel primo, quello in cui ha avuto origine la nostra storia, il destino degli uomini va assieme a quello degli animali. Nel racconto biblico della creazione, l’uomo e la donna sono venuti al mondo, a immagine di Dio, lo stesso giorno, il sesto,in cui sono stati plasmati alla vita “bestiame, rettili e bestie selvatiche” ( Genesi 1,24). Per cui è una sorta di “compleanno” quello che uomini e bestie potrebbero celebrare assieme. Così come l’ultimo giorno, il giorno della consolazione e della salvezza, della pacificazione e della celebrazione, non solo le bestie feroci dimoreranno assieme a quelle miti, i lupi insieme con gli agnelli, ma i cuccioli dell’uomo non avranno timore a trastullarsi sulla buca dell’aspide, a mettere la mano nel covo dei serpenti velenosi (Isaia 11, 8)
In mezzo, però, nei millenni della storia, è corsa una grave dimenticanza di questa fraternità e sororità tra uomini e bestie, di questo sogno finale di un regno nel quale sia data a tutti uguale ospitalità, e uguale possibilità di espressione del bene di cui ciascuno è capace. Avendo perso di vista il compito affidatoci all’origine, di governare con cura, come governa Dio, “sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, e su ogni essere vivente, e che striscia sulla terra” ( Genesi 1,28 ), e avendo smesso di attendere con forza la visione di una solidarietà tra tutti gli esseri viventi,noi uomini ci siamo fatti predatori di tutto ciò che abbiamo potuto predare, di animali come di piante, indifferenti al fatto che, come noi, animali e piante sono portatori di un alito di vita, come noi hanno nascita, esistenza, morte, come noi conoscono crescita e malattia, pienezza e debolezza.
Per elaborare una “teologia” che non abbia più al proprio centro soltanto , ma,assieme a lui, l’animale, e ogni essere vivente, ci voleva un teologo come Paolo De Benedetti. Il cui pensiero si articola non intorno ad assiomi, evidenze , certezze. Ma intorno al “. Al dubbio. Alla logica dei “doppi pensieri” . Solo chi come lui ha un senso così forte della precarietà dei giudizi umani e della imperscrutabilità d quelli divini, può arrivare ad elaborare una teologia che metta continuamente in discussione se stessa: fino a spostare il centro della propria attenzione dalla creatura umana, che lo ha sempre altezzosamente occupato, alle creature “minori”, che sempre sono state ai margini. Questa la grandezza di Paolo De Benedetti: dismettere l’arroganza di una dottrina viziata dalla consuetudine di considerare se stessi al centro dell’universo, e ricominciare a pensare la questione della fede e del senso della vita a partire da un ridimensionamento del soggetto umano, da una sua spoliazione dal ruolo del signore del mondo, verso quello, più proprio, di creatura tra le creature.
Pensare che anche per i gatti e i cani, leoni e serpenti, formiche e asini, api e tartarughe, pinguini e galline ( ma anche foreste e ghiacciai, fiumi e fili d’erba) possa darsi un senso dell’esistere più articolato di quello che siamo soliti attribuire loro, più degno di essere rispettato, richiede da parte nostra un riguardo radicale anche per la loro vita, una considerazione etica che li comprenda, una educazione sentimentale ad accogliere anche loro nel nostro orizzonte, una grammatica diversa da quella che sia mo abituati ad usare. Ma parlare di “teologia degli animali” non significa per Paolo De Benedetti semplicemente richiamare a una piena “ responsabilità” nei confronti di ogni individuo, nella consapevolezza che ciascuna creatura ha, al pari dell’uomo, diritto a una esistenza vissuta in libertà e al raggiungimento di una propria pienezza. E non significa neppure fare di ogni animale una vittima della crudeltà umana. Paolo De Benedetti sa bene che ogni “bestia” è capace-sia pure per sopravvivere-di agire con soprafazione violenta nei confronti di un suo simile. Il suo ragionamento è più sottile. Egli sa cogliere negli animali una intrinseca fragilità, che si fa via via più visibile man mano che la loro vita si avvicina a quella dell’uomo: sia nel caso che una empatia da vicinanza permetta di decifrare il linguaggio della loro sofferenza muta; sia nel caso che l’avidità e la ferocia degli uomini arrivino a sfruttare o torturare animali per propria utilità o sfogo “bestiale”. In tal caso, lo sguardo dell’animale che patisce -al pari di quello del bambino che soffre, dell’uomo che muore, del perseguitato inerme- “mostra”, in maniera inequivocabile, da che parte inclina – non so se si possa davvero dire così – lo sguardo di Dio. Guardate all’animale con attenzione, con responsabilità, e in fine con amore, non è, allora, un semplice atto sentimentale.
Ma un gesto che potrebbe aiutare noi umani a spogliarci della nostra rovinosa superbia, a ricollocarci dentro una logica più ampia del vivente, che in primo luogo ci agevolerebbe, e non secondariamente, nel risolvere tutti i problemi ormai incontrollabili legati al deterioramento del nostro habitat.
Ma anche, e non secondariamente, ci potrebbe aiutare a ritrovare una più “giusta” misura del rapporto della creatura umana tra il finito del mondo che abitiamo e l’infinito dei mondi che non conosciamo. Non è da qui che dovrebbe ripartire una nuova “teologia”, un nuovo modo di pensare la relazione tra Dio e uomo, tra Dio e mondo?”

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