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L’etica ambientale è per certi aspetti una “cenerentola” della filosofia morale, almeno in ambito europeo, poiché è guardata con sufficienza da molti ed ha solo con fatica conquistato un posto all’interno della bioetica, intesa come la riflessione sulle questioni morali suscitate dagli sviluppi delle scienze e delle tecnologie. Ma chi, se non la natura, è più direttamente coinvolto e colpito dalle conseguenze degli avanzamenti tecnologici? E siamo proprio certi che in gioco sia soltanto la nostra sopravvivenza materiale e non un quadro valoriale più complesso? La crisi ambientale, che è ormai sotto gli occhi di tutti, rappresenta in effetti secondo l’A. “la sfida più grave che oggi la società occidentale si trovi ad affrontare.” (p.14) In questo volume ne viene non solo ricostruita efficacemente la genesi, ma se ne chiariscono le implicazioni etico-filosofiche profonde, in primis l’istanza di allargamento dell’orizzonte morale, la carica “eversiva”, per così dire, rispetto ai valori etico-politici e giuridici consolidati e, aspetto a nostro avviso particolarmente interessante, il possibile ruolo “compensativo” rispetto a un vuoto dei sistemi morali che solo di recente è venuto in luce, in maniera dirompente. Infatti, le etiche tradizionali non prevedevano alcun sistema specifico di valutazione delle condotte verso il mondo non umano (vivente e non-vivente) e si trovano così in un certo senso sprovviste degli strumenti adeguati ad affrontare le implicazioni e le conseguenze di queste istanze, che non sono soltanto emergenziali, ma derivano in maniera logicamente conseguente proprio dall’estensione del potere invasivo delle società umane.
Merito del volume, in una fase dello sviluppo dell’etica ambientale nella quale alla carica rivoluzionaria iniziale ha fatto seguito un moltiplicarsi di proposte spesso in polemica tra loro, con il risultato di rischiare un ripiegamento sul conflitto ideologico piuttosto che una maturazione verso una riflessione che la renda una vera etica pratica, come per natura dovrebbe essere, è di offrire una visione ragionevole e condivisibile della sua collocazione e delle sue coordinate teoriche, tale da far intravedere finalmente la direzione nella quale le diverse istanze potrebbero trovare una composizione. Il contributo di maggior interesse è costituito dalla difesa di una ”ecologia umanistica”, in netta polemica con quanti invece nelle istanze ambientaliste hanno voluto vedere un anti-umanesimo che sposta il baricentro degli interessi dall’uomo alla natura, sminuendo, appunto, il ruolo e forse il valore proprio dell’umanità. L’A., al contrario, destituisce di ogni validità la contrapposizione tra umanesimo ed ecologismo, ritenendo che la convinzione diffusa che l’umanesimo sia all’origine del dominio tecnologico e distruttivo sulla natura sia fuorviante, fondata com’è su una identificazione semplicistica dell’umanesimo con l’antropocentrismo bruto e, per contro, dell’ecologismo con il biocentrismo fondamentalista.
Intento di questo lavoro sembra, dunque, quello di sgombrare il campo da molti fraintendimenti e pregiudizi circa le nuove istanze della riflessione morale “estesa”. Le forti resistenze ad ampliare l’orizzonte morale, alimentate da una concezione della morale come attitudine specificamente umana, mascherano un timore ingiustificato che si voglia sottrarre all’uomo parte del suo valore, tuttavia, osserva l’A., si può affermare “che l’uomo è il solo soggetto capace di valutazioni morali, senza con ciò stesso asserire che è anche l’unico soggetto degno di considerazione morale.”(p.22) Si può infatti attribuire valore morale anche a chi non è capace di provare una responsabilità morale, come i viventi non-umani, eppure rientra nella sfera della nostra responsabilità morale.
Il sostegno a questa posizione viene trovato non nelle facili suggestioni dei più recenti e goffi tentativi di delineare teorie sul valore intrinseco della natura, ma in alcuni classici del pensiero, il cui contributo fornisce un esempio di “umanesimo naturalistico”, scevro dai limiti dei diversi tipi di biocentrismo e di anti-antropocentrismo di maniera, e dà in tal modo sostanza e solidità alla tesi sostenuta nel volume: l’etica del riconoscimento di Voltaire, che configura un pianeta nel quale tutti i viventi sono accomunati da un medesimo destino, l’idea della grande città universale di Michelet, nella quale è la sofferenza, così come la povertà, ad accomunare viventi umani e non-umani e si ritrovano le tracce della ricerca di una base etica per la tutela degli animali, il paradigma etico della simpatia di Thoreau, il quale muove alla ricerca delle corrispondenze e dell’armonia che avvicina uomo e natura a formare una comunità, e infine la cura fraterna per i viventi di Gandhi, con l’esito vegetariano e non violento, che discende naturalmente dal postulato della essenziale unità del vivente, offrono i modelli di un’assunzione di responsabilità da parte dell’uomo per tutto il mondo vivente, che in ciò trova non la propria riduzione a vivente tra gli altri, di pari valore degli altri, ma la valorizzazione delle proprie più alte capacità, in particolare dell’attitudine morale, dalla quale non può derivare né orgoglio antropocentrico né presunzione di superiorità, bensì proprio “una centralità gravida di responsabilità, generatrice di cura.”(p. 40)

(Maria Antonietta La Torre)

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