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La morte del neonato. Etica di fine vita all’inizio della vita: i dilemmi della terapia intensiva

Concetta Cascioli e Luciano Pinto

(testo della lezione tenuta al Corso di Perfezionamento in Bioetica II livello, Napoli 30/4/03)

1° Parte
Duff e Campbell in un articolo pubblicato nel 1973, sul New England Journal of Medicine hanno ammesso esplicitamente che, su 300 neonati deceduti nel loro reparto negli anni 70-72, ben 43, il 14%, erano morti perché la terapia intensiva era stata sospesa o neppure iniziata; si trattava di neonati affetti da gravi anomalie congenite che, anche con l’uso di tecniche spinte di terapia intensiva, avevano pochissime probabilità di sopravvivere oltre i primi giorni di vita per cui in seguito ad una decisione che coinvolgeva i genitori, il medico, l’infermiera, l’assistente sociale e il cappellano, il trattamento era stato sospeso .(1)
Quindici anni dopo Campbell ha pubblicato un secondo lavoro, nel quale ha dichiarato che su un totale di 185 decessi in epoca neonatale, in 80 casi la terapia intensiva era stata sospesa per lasciare morire in pace il neonato e in 33 la morte era sopravvenuta “ nonostante ogni tentativo di trattamento eroico” . Nell’arco di 15 anni la percentuale dei decessi, conseguenti alla sospensione delle cure intensive, era salita dal 14% al 39% con la comparsa di una nuova categoria, costituita da neonati estremamente pretermine. (3-8)
Oggi, queste problematiche sono in continuo aumento poiché da un lato i progressi della medicina e della tecnologia hanno notevolmente migliorato la prognosi di molte malattie neonatali dall’altro la disponibilità di tecniche assistenziali sempre più avanzate e sofisticate hanno creato problematiche etiche maggiori rispetto al passato sulle giuste terapie da attuare.
Semplificando al massimo, le problematiche di ordine etico in Neonatologia riguardano principalmente tre categorie di pazienti :
- neonati estremamente immaturi, sotto le 24 settimane di gestazione;
- neonati affetti da anomalie congenite o da gravi malformazioni multiple;
- neonati per i quali la prognosi è sfavorevole o quoad vitam e/o quoad valetudinem.(6-8-9-10)
Per contribuire alla riflessione vi riporto alcuni casi clinici osservati nella terapia intensiva e subintensiva dell’ azienda universitaria Federico II di Napoli:
i primi due, entrambi nati nel 1999 sono risultati affetti da un’anomalia cromosomica denominata triploidia perché il loro corredo cromosomico è costituito da 69 cromosomi invece dei normali 46 la qual cosa determina uno scarso accrescimento intrauterino, gravi malformazioni del cervello, del cuore, dell’ intestino, del rene e vari dimorfismi del viso, delle mani e dei piedi; solo rari pazienti sopravvivono fino al III mese di vita.
Il primo nasce a 33ws e pesa 720 gr, viene rianimato in sala parto e poi trasferito in terapia intensiva e connesso al respiratore; il quadro clinico è suggestivo per uno stato di triploidia ma riceve ugualmente 3 dosi di surfattante per via endotracheale, prostaglandine per ostacolare la chiusura del dotto di Botallo in attesa dell’intervento di correzione di coartazione aortica, plasma, piastrine ed emazie concentrate. Decede dopo 6 giorni; la risposta del cariotipo è 69 xxy.
La seconda nasce a 41 ws e pesa 1400 gr ed è già noto che risulta affetta da triploidia dalla 21 ws. Viene rianimata in sala parto trasferita in terapia intensiva e connessa al respiratore; il quadro clinico concorda con la diagnosi prenatale per cui si decide di assicurare solo il minimo supporto vitale. Decede dopo 24 ore. Il cariotipo postnatale conferma la triploidia.
Il terzo caso riguarda un bambino che attualmente ha sei mesi di vita postnatale ed è ancora ricoverato in terapia intensiva perchè totalmente dipendente dal respiratore. Nato alla 24 ws con peso di 660 gr ha avuto bisogno di intensa e prolungata rianimazione alla nascita per grave asfissia . Trasferito in Terapia Intensiva ha presentato la classica insufficienza respiratoria del pretermine che è purtroppo evoluta in broncodisplasia tanto severa da richiedere tuttora ventilazione meccanica con parametri respiratori sempre più sostenuti e convulsioni tonico-cloniche generalizzate oltre a continui episodi di ipossia ad ogni manovra di accudimento, malgrado la terapia sedativa e l’adeguata assistenza ventilatoria, ascrivibili ad un quadro ingravescente di distrofia cerebrale secondaria a grave e protratta sofferenza ischemica come evidenziato dalle numerose ecografie cerebrali. La sua vita, è quindi legata alle macchine e a causa dell’imponente interessamento cerebrale è sicuramente gravata da notevoli handicaps qualora riuscisse a sopravvivere in modo autonomo.
I possibili interrogativi sui tre casi sono se :
a) iniziare o meno una rianimazione in sala parto, in un soggetto con scarse possibilità di sopravvivenza e con alte probabilità di deficit gravi permanenti;
b) intervenire o meno chirurgicamente per correggere anomalie incompatibili con la vita in soggetti che hanno scarse possibilità di vivere per un difetto cromosomico di base;
c) continuare oppure sospendere l’assistenza intensiva in reparto di terapia intensiva in un neonato tanto compromesso a livello del S.N.C. (8)
Si tratta di decisioni che coinvolgono tanto i medici che le infermiere, che lavorano in Terapia Intensiva non solo per il tipo di malattia in causa o per i valori morali e le esigenze del paziente, ma anche per gli interessi di tutto il personale che partecipa all’assistenza oltre che per le caratteristiche e le richieste della società in cui viviamo (4-6-8-11)
Ora chiediamoci: qual è il migliore interesse del bambino? Non è facile dirlo; vi sono comportamenti opinabili e anche opinioni di esperti in contraddizione fra di loro e criticabili dai vari punti di vista, bisognerebbe decidere sulle terapie da attuare tenendo presente la prospettiva di un reale vantaggio per il paziente. Purtroppo spesso alcuni colleghi neonatologi non esitano a fare qualunque cosa affinché il decesso non avvenga durante il proprio turno di guardia per paura di ripercussioni legali per cui sono non solo intimoriti ma anche succubi del fenomeno distorto della Medicina Difensiva, altri si servono di cure dedicate in generale a qualsiasi paziente senza interrogarsi sulle opportunità di prolungare la vita solo di qualche ora o di alcuni giorni e nel frattempo di utilizzare impropriamente risorse e forze umane perché non riescono ad accettare l’insuccesso di una morte inevitabile(11).
La problematica maggiore verte soprattutto sul “ diritto di rifiutare trattamenti che prolungano inutilmente la vita” quando, a giudizio del medico “ illuminato”, esso sia inutile e prolunghi semplicemente il processo del morire. Non è opportuno per questa parte della medicina più che per altre stilare un protocollo a cui attenersi. Significherebbe deresponsabilizzare l’operato medico sopratutto se fossero poste in prima linea proprio le paventate ripercussioni legali che suggeriscono di fare sempre tutto quanto è nelle possibilità delle tecniche mediche e rappresentano una chiara spinta all’accanimento terapeutico, ma non si vuole neanche all’inverso raccomandare di astenersi se ciò comporta una discriminazione verso pazienti con una severa disabilità (7-8-9-10-11). Il medico deve sviluppare una forza morale capace di trascinare gli altri al bene del paziente sfuggendo ad un operato di tipo burocratico ed evitando decisioni irreversibili solo in presenza di incertezze diagnostiche (4-11).
Non è giusto, infine, indirizzare il personale infermieristico all’esecuzione automatica dei compiti; è importante dare loro riferimenti che coniugano i principi etici con le situazioni reali e quotidiane (5-6-9).
E’ necessario, invece, invitare tutti i neonatologi a descrivere i loro casi e le problematiche connesse per poter disporre di una banca dati consultabile che possa spronare alla riflessione e alla discussione, caso per caso.(8)
Non va dimenticato che ci si riferisce ad un settore in rapida evoluzione per il quale più che ricercare un unanime consenso è importante che ogni tipo di approccio venga discusso e possibilmente accettato nelle sue linee generali.
Infatti, come hanno affermato N. Mc Intere e K. Popper circa 20 anni fa”…..
… per alcune decisioni etiche non vi possono essere certezze assolute per cui il medico deve considerare la possibilità di dover prendere delle decisioni imperfette, deve imparare a convivere col dubbio e con l’incertezza e valorizzare anche l’opportunità e la liceità del compromesso, ammettendo di poter sbagliare, ma cercando sempre di utilizzare gli errori per crescere e per migliorarsi(2-8)

Bibliografia
1. Duff RS, Campbell AGM. Moral and ethical dilemmas in the special-care nursey. N. Engl J Med 1973;289-890
2. Mc Intere N, Popper K. The critical attitude in medicine: the need for a new ethics. Brit Med 1983; 287:1919
3. Campbell AGM, Lloyd DJ, Duffy P. Treatment dilemmas in neonatal care: who should survive and who should decide? Ann New York Acad Scie 1988; 530:92.
4. Silvermann W.A. Overtreatment of neonates ? A personal retrospective Pediatrics 1992; 90 (6):971-6
5. Comitato Nazionale per la Bioetica Questioni bioetiche relative alla fine della vita umana. 14 luglio 1995
6. American Academy of Paediatrics Committed on Bioethics.
Ethics and the care of critically ill infants and children.
Pediatrics. 1996 ; 98(1):149-52
7. Silvermann W.A. Medical Decisions: an Appeal for Reasonableness. Pediatrics 1996; 98(6):1182-4
8. Orzalesi M., De Caro B. La terapia intensiva neonatale: il paradigma della fallibilità nelle decisioni cliniche. In “ Arco di Giano”, S. Spisanti Ed. 1997; n. 15: 152.
9. Lorenz JM, Paneth N. Treatment decisions for extremely premature infants. ( Editorial) J Pediatr 2000; 137:593.
10. Steven R. Leuthner Decision regarding resuscitation of the extremely premature infant and models of best interest Journal of Perinatology 2001; 21:193-198
11. Comitato Nazionale per la Bioetica Scopi, limiti e rischi della medicina. 14 dicembre 2001.

 

Appendice n°1
Comportamento dei neonatologi europei
Se considerata la complessità delle problematiche e le implicazioni umane, medico-legali e sociali delle decisioni che siamo chiamati a prendere, desideriamo conoscere il comportamento dei neonatologi europei possiamo trarre diversi spunti di riflessioni da un progetto finanziato dalla Comunità Europea (EURONIC Project) che ha indagato su quali fossero i comportamenti dei medici e delle infermiere delle Terapie Intensive neonatali di 11 Paesi Europei e sulle motivazioni delle diverse prassi adottate .
I Paesi aderenti all’indagine sono stati : Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Lussemburgo, Olanda, Spagna, Svezia, Estonia, Lituania e Ungheria, con più di 1400 neonatologi intervistati appartenenti a oltre 140 centri TIN europei.
Questi i risultati :
1) Vi è un ampio consenso sulla opportunità di evitare l’accanimento terapeutico quando sia inevitabile l’esito infausto e sulla necessità di alleviare le sofferenze del bambino.
2) La situazione è meno omogenea quando la limitazione dei trattamenti riguarda neonati che potrebbero sopravvivere in virtù delle cure intensive, ma a prezzo di una qualità di vita inaccettabile per se stessi e per i loro genitori. La legislazione italiana, in particolare, non consente di interrompere le cure iniziate e farlo viene considerato delittuoso.
3) Le pratiche di eutanasia attiva, sono considerate illegali in tutti i Paesi europei. In Olanda, tuttavia, se esse vengono attuate secondo procedure predeterminate, sottoposte al controllo di comitati ad hoc, e secondo i principi e le prassi di una corretta etica medica, vengono tollerate e non portano ad azioni punitive nei confronti del medico.
4) Le pratiche di eutanasia attiva sono attuate sempre in Olanda e frequentemente in Francia ma la legislazione olandese è consenziente, contraria invece la legislazione francese; tuttavia il comportamento dichiarato dai Colleghi Francesi è sostenuto dalla loro società scientifica.
5) In particolare i medici più vecchi, quelli con più anni di esperienza professionale e soprattutto coloro che attribuiscono minore importanza alla religione, appaiono i più propensi a mettere in atto pratiche di eutanasia attiva o passiva; ma, anche dopo gli opportuni aggiustamenti per le suddette variabili, l’analisi indica che il fattore più importante resta il Paese di appartenenza . A causa di fattori culturali, sociali, di costume e di ordine legislativo che determinano le nostre scelte in situazioni complesse e/o conflittuali sotto il profilo etico e medico legale gli Italiani sono i meno inclini a mettere in atto procedure di eutanasia passiva o attiva.
6) Va sottolineato che i medici neonatologi di molte nazioni ritengono che la propria legislazione in merito sia poco chiara e che generi disagio e disorientamento nelle decisioni pratiche ma anche che una quota non trascurabile di medici ritiene che queste problematiche non debbano essere regolamentate per legge. Andando più nello specifico è stato chiesto per esempio quanto segue :
a) rianimare o non rianimare in sala parto un piccolo pretermine,di 24 sett., affetto da grave asfissia :
il 45% dei medici intervistati di tutti i paesi aderenti all’indagine lo rianimerebbe ma la percentuale aumenta al 90 % se vi è la garanzia di poter poi sospendere le cure nel caso il bambino si aggravasse in Terapia intensiva; rispetto ai neonatologi di altri paesi europei gli Italiani sono più propensi a rianimare (51%), pur sapendo di non potere poi interrompere le cure intensive, subito dopo troviamo i Tedeschi e gli Inglesi; gli Olandesi, invece, spesso non iniziano affatto la rianimazione.
b) disponibilità a coinvolgere i genitori nella decisione se rianimare o meno il precedente neonato in sala parto : la disponibilità a coinvolgere i genitori nel processo decisionale e nel cambiare la decisione del medico se essi si oppongono, è tenuta in conto solo dagli Inglesi, Olandesi e Lussemburghesi; tutti gli altri lo fanno poco, e gli Italiani solo nel 6%.
c) disponibilità a coinvolgere i genitori nella decisione di continuare o meno le cure se vi è un aggravamento del neonato in terapia intensiva. Se il bambino, una volta trasferito in terapia intensiva, presenta lesioni gravissime del S.N.C., la tendenza a coinvolgere i genitori nel processo decisionale ed eventualmente a seguirne le indicazioni non è molto elevata: la più alta è in Olanda ma più quando si tratta di sospendere le cure che non di proseguirle; i francesi, all’inverso limitano o sospendono le cure senza mai coinvolgere i genitori, noi Italiani siamo più interventisti e meno disponibili a far partecipare i genitori alle nostre decisioni.
Per avere una visione più chiara del problema soprattutto nei suoi aspetti pratici, è stato chiesto ai medici se avessero poi effettivamente messo in atto procedure di limitazione delle cure intensive .
La maggior parte di coloro che si sono dichiarati favorevoli al non inizio o alla sospensione delle cure, o alla somministrazione di farmaci per accelerare il decesso del bambino, hanno ammesso di averlo fatto, almeno una volta, durante la loro esperienza professionale. Anche in questo caso la percentuale di Neonatologi Italiani è più bassa di quella degli altri Colleghi Europei.
In ogni caso, in tutti i Paesi, la propensione dei medici a non iniziare o a sospendere i trattamenti è maggiore quando la prognosi è infausta quoad vitam che non quoad valetudinem.
L’orientamento prevalente dei medici italiani è comunque di fare il massimo prescindendo dalla prognosi sulla qualità della vita; viene dichiarato apertamente il conflitto tra la coscienza del medico, che vorrebbe sospendere le terapie ormai inefficaci e l’obbligo di legge ad assistere comunque il neonato ma la codificazione legislativa in materia è avvertita da alcuni come qualcosa di rigido e inadeguato a fronte di un progresso tecnologico rapido, estremamente necessaria da altri che magari in posizioni apicali, sono esposti agli attacchi dei famigliari, della stampa e talora del giudice senza poter fare appello a norme definite e adeguate.
Bibliografia
1. De Leeuw R, Cuttini M, Nadai M, Berbik I, Hansen G, Kucinskas A, Lenoir S, Levin A, Persson J, Rebaglaito M, Reid M, Schroell M, De Wonderweid U, The EURONIC Group. Treatment choices for extremely preterm infants: an international prospective. J Pediatr 2000, 137: 608.
2. Cuttini M, Nadai M, Kaminski M, Hansen G, De Leew R, Lenoir S, Persson J, Rebagliato m, Reid M, De Wonderweid U, Lenard MG, Orzalesi M, Saracci R, For the EURONIC Study Group. End-of-life decisions in neonatal intensive care: physician’s self-reported practices in seven European countries. The Lancet 2000, 355:2112.
3. Rebagliato M, cuttini M, Broggin L, Berbik I, De Wonderweid U,Hansen G, Kaminski M, M Kollee LA, Kucinskas A, Lenoir S, Levin A, Persson J, Reid M, Saracci R, for the EURONIC Study Group. Neonatal end-of-life decision making. Physician’s attitudes and relationship with self-reported practices in 10 European countries. JAMA 2000; 284: 2451.

Appendice n°2
Peso dell’opinione pubblica sulle decisioni mediche
L’interesse della società intera alla medicina è dimostrato dall’attenzione che tutti i mezzi di comunicazione dedicano agli annunci di nuove conoscenze scientifiche e di nuove proposte diagnostiche e terapeutiche; ai risultati, incoraggianti o sconfortanti sulla diffusione di determinate malattie; a casi particolari di sorprendenti successi della medicina, od ai suoi insuccessi, spesso addebitati a colpa professionale o/e ad inadeguatezza delle strutture e dell’organizzazione della sanità; la popolazione subisce in tal modo le conseguenze di una costante disinformazione, che avviene attraverso l’enfatizzazione spesso acritica dei benefici di una medicina della quale non si evidenziano a sufficienza rischi, incertezze, inutilità, dannosità. Titoli ad effetto e continue notizie sulla scoperta di nuovi miracolosi farmaci creano l’illusione che oggi è possibile guarire qualsiasi male. Questo tipo di informazione accende “false speranze” e diviene fonte di pericolosi malintesi per l’opinione pubblica e quasi un invito all’accanimento terapeutico per i medici. L’accanimento terapeutico inoltre è favorito dall’attuale concezione organicistica della Medicina: di fatto molti medici hanno profondamente modificato la propria cultura con il pericolo di divenire curatori di organi e non di organismi, come dovrebbe essere.(1-2)
È fondamentale pertanto comprendere chiaramente il significato del termine “accanimento terapeutico”, così definito dal C.N.B.
s Il primo criterio è quello della documentata inefficacia, e quindi inutilità, della terapia; una terapia utile, quale che sia la sua complessità, non potrà mai configurarsi come "accanimento terapeutico".
s Il secondo criterio è quello della gravosità del trattamento che rischia di determinare nuove ulteriori sofferenze, tali da configurare un atteggiamento di “violenza terapeutica”.
s Il terzo criterio è quello della eccezionalità dei mezzi terapeutici che non debbono essere sproporzionati agli obiettivi che il medico si prefigge di raggiungere.(2)
Da qui per i medici il dovere di agire con maggiore prudenza e di operare una costante autoriflessione sui propri fondamenti.
Nella prospettiva indicata, grande rilievo assume la nota Convenzione di Oviedo sulla biomedicina, che pone a carico degli Stati contraenti l'obbligo di vigilare affinché i problemi fondamentali posti dallo sviluppo della biologia e della medicina formino oggetto di un "dibattito pubblico appropriato", in particolare alla luce delle implicazioni mediche, sociali, economiche, etiche e giuridiche.(2)

Bibliografia
1. Silvermann WA. I limiti dell’intervento medico. Prospettive in Pediatria 1989; 19:177.
2. Comitato Nazionale per la Bioetica Scopi, limiti e rischi della medicina. 14 dicembre 2001.

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