Manifesto sulle Biotecnologie
sottoscritto da
C.I.A., Coldiretti, Legambiente, Slow food
Le biotecnologie sono entrate nella fase dello sviluppo e della commercializzazione di prodotti cosiddetti “transgenici”, derivanti cioè da processi di manipolazione genetica, ed è aperta la discussione sulle norme con cui regolare la circolazione di nuovi organismi viventi. In effetti, l’innovazione biotecnologica non è una novità assoluta: i microrganismi sono brevettabili da tempo e l’ottenimento di nuove varietà vegetali dà diritto a royalties. E però, non c’è dubbio che il dibattito attuale porti un segna radicalmente diverso, visto che le ricerca biotecnologica coinvolge ormai anche le specie animali e la stessa specie umana, e che da molte parti viene la proposta di stabilire un tipo di brevetto di lunga durata che copra sia i prodotti transgenici che i processi industriali per ottenerli.
La complessità e l’importanza del tema impongono che le valutazioni non si limitino all’analisi del rapporto tra costi e benefici economici conseguenti all’impiego su larga scala delle biotecnologie, e che l’intera materia venga affrontata a livello mondiale, in sede di rinegoziazione dei trattati della “World Trade Organization” (WTO), al fine di stabilire regole certe ed efficaci capaci di orientare l’applicazione delle biotecnologie verso obiettivi di equilibrio produttivo, territoriale e sociale che tengano nel debito conto i problemi etici, ambientali, sanitari ed economici collegati a questa nuova, delicata frontiera della ricerca scientifica.
Problemi etici e giuridici - Con la manipolazione genetica vengono create nuove specie viventi non presenti in natura.
Un primo “paletto” da piantare con forza è allora nel principio che la ricerca biotecnologica deve trovare un limite invalicabile nella tutela dell’integrità della persona umana. Su questo punto si è già pronunciata con chiarezza l’Unesco, affermando che “il materiale genetico di ogni essere umano è patrimonio comune dell’umanità” e “non deve produrre alcun guadagno economico”. Rispetto alle altre applicazioni, il criterio da seguire è che le innovazioni biotecnologiche sono accettabili soltanto a condizione che favoriscano un miglioramento della qualità della vita e si pongano, perciò, al servizio dell’uomo.
Quanto alla questione della brevettabilità delle specie transgeniche, va detto con chiarezza che la disciplina giuridica che regola le invenzioni non può essere meccanicamente estesa ad un materiale biologico o ad un metodo o processo da cui si ottenga qualcosa di “vivente”: questo perché il privilegio accordato dal monopolio temporale di sfruttamento economico non consente di tutelare adeguatamente gli interessi primari come la salute, l’ambiente, la biodiversità, e perché nel caso delle biotecnologie i nuovi ritrovati tecnologici utilizzano materiali biologici già esistenti allo stato naturale e che dunque non possono essere soggetti ad appropriazione individuale.
La complessità e l’importanza del tema impongono che le valutazioni non si limitino all’analisi del rapporto tra costi e benefici economici conseguenti all’impiego su larga scala delle biotecnologie, e che l’intera materia venga affrontata a livello mondiale, in sede di rinegoziazione dei trattati della “World Trade Organization” (WTO), al fine di stabilire regole certe ed efficaci capaci di orientare l’applicazione delle biotecnologie verso obiettivi di equilibrio produttivo, territoriale e sociale che tengano nel debito conto i problemi etici, ambientali, sanitari ed economici collegati a questa nuova, delicata frontiera della ricerca scientifica.
Problemi etici e giuridici - Con la manipolazione genetica vengono create nuove specie viventi non presenti in natura.
Un primo “paletto” da piantare con forza è allora nel principio che la ricerca biotecnologica deve trovare un limite invalicabile nella tutela dell’integrità della persona umana. Su questo punto si è già pronunciata con chiarezza l’Unesco, affermando che “il materiale genetico di ogni essere umano è patrimonio comune dell’umanità” e “non deve produrre alcun guadagno economico”. Rispetto alle altre applicazioni, il criterio da seguire è che le innovazioni biotecnologiche sono accettabili soltanto a condizione che favoriscano un miglioramento della qualità della vita e si pongano, perciò, al servizio dell’uomo.
Quanto alla questione della brevettabilità delle specie transgeniche, va detto con chiarezza che la disciplina giuridica che regola le invenzioni non può essere meccanicamente estesa ad un materiale biologico o ad un metodo o processo da cui si ottenga qualcosa di “vivente”: questo perché il privilegio accordato dal monopolio temporale di sfruttamento economico non consente di tutelare adeguatamente gli interessi primari come la salute, l’ambiente, la biodiversità, e perché nel caso delle biotecnologie i nuovi ritrovati tecnologici utilizzano materiali biologici già esistenti allo stato naturale e che dunque non possono essere soggetti ad appropriazione individuale.
Problemi ambientali - Gli effetti, immediati e a lungo termine, connessi all’immissione nell’ambiente di organismi geneticamente modificati, è di assai difficile individuazione. Oltre a tenere sotto controllo il processo di modificazione nella sua dimensione puntuale e riproducibile, occorre perciò impegnarsi con rigore nel monitoraggio dei processi evolutivi successivi, che determinano il rischio di una trasmissione di caratteri da un organismo manipolato ad uno non manipolato, sulla base di meccanismi naturali imprevedibili e sostanzialmente ingovernabili.
Un rischio molto concreto è poi quello che le biotecnologie accelerino la perdita progressiva di biodiversità, favorendo la scomparsa graduale di piante e colture tradizionali determinata dalla riduzione delle capacità naturali di miglioramento genetico conseguente al procedimento di controllo dei geni. L’introduzione nell’ambiente di organismi modificati è spesso legata all’utilizzazione in agricoltura di sementi e varietà vegetali connesse a forme di sfruttamento intensivo e ad un impiego massiccio di fitofarmaci, e può avere effetti negativi sulla diversità biologica delle forme viventi per la riduzione delle capacità degli organismi modificati di adattarsi e resistere al processo, graduale e continuo, di evoluzione naturale.
Già oggi, dieci specie vegetali sui milioni esistenti in natura danno origine al 90% della produzione agricola, e questo fa sì che la ricerca biotecnologica si concentri su un numero assai ristretto di specie. Il pericolo di un’erosione sempre più rapida della diversità biologica è destinato ad aumentare drasticamente se lo sviluppo delle applicazioni biotecnologiche continuerà a seguire la mera logica dell’interesse privato: tale rischio è particolarmente elevato in Italia, dove la tutela delle produzioni tipiche e di qualità è un obbiettivo imprescindibile se si vuole dare un futuro forte e sicuro all’economia agro-alimentare. Infatti, in un territorio vocato a produzioni di qualità, l’inserimento di piante geneticamente modificate è tanto più pericoloso, dal momento che la loro interazione con l’ambiente rischierebbe di ridurre irrimediabilmente il valore delle specificità produttive locali, e d’altra parte si deve riconoscere che la definizione di aree territoriali nelle quali sia bandito l’uso di genotipi modificati, seppure auspicabile, non è precauzione sufficiente a garantire la salvaguardia della specificità dei prodotti tipici e locali: i processi di ibridazione, come già ricordato, sono infatti imprevedibili, non soltanto in relazione all’entità degli effetti che ne possono derivare, ma anche per la loro portata spazio-territoriale. Infine, non vanno sottovalutati gli effetti che la commercializzazione di prodotti modificati possono avere sul gusto, sul ventaglio organolettico dei piatti cucinati e di prodotti alimentari quali formaggi, salumi, carni, uova, frutta e verdura; la grande ricchezza e varietà di produzioni agro-alimentari locali e storiche hanno infatti determinato, negli anni e spesso nei secoli, un quadro di riferimento gustativo che è parte fondamentale del nostro modello di alimentazione e del piacere che si ricava dal consumo di cibo e bevande: alterare questo quadro può provocare conseguenze psicologiche e sociali estremamente negative.
Problemi sanitari - Anche sulla possibilità che l’introduzione nell’ambiente di organismi modificati provochi effetti indesiderati sulla salute umana regna, per ora, la massima incertezza. Mentre va compiuto ogni sforzo per migliorare le conoscenze in materia, è indispensabile affermare nel modo più rigoroso il diritto dei consumatori ad essere informati con completezza e correttezza sulla presenza nei prodotti in commercio di organismi geneticamente modificati (risponde in parte a questi principi il regolamento europeo di recente approvazione che impone l’indicazione sull’imballaggio dei prodotti in commercio della presenza di soia o mais transgenici).
Problemi economici - L’esame, infine, dei fattori economici connessi all’utilizzo di organismi modificati è di particolare complessità ed investe trasversalmente tutti i problemi già esaminati. I vantaggi monetari derivanti dall’impiego di biotecnologie sono riconosciuti di manifesta evidenza, riconnessi per lo più ad un incremento di produttività delle piante che secondo alcune stime è dell’ordine del 6-7%. Anche da questo punto di vista va però sottolineato che la competitività del settore agro-alimentare italiano è legata, molto di più che ad una crescita quantitativa delle produzioni, alla tutela e valorizzazione dei caratteri di tipicità, tradizione e qualità della nostra agricoltura. La concentrazione del “know-how” della ricerca biotecnologica nelle mani di pochi, grandi gruppi industriali tende invece a limitare l’autonomia degli agricoltori, a ridurne la capacità di scelta e il potere contrattuale. Questo pericolo è chiaramente visibile nelle clausole decisamente vessatorie dei contratti imposti agli agricoltori dei Paesi dove si stanno diffondendo le coltivazioni transgeniche (possibilità per l’agricoltore di piantare un unico raccolto e responsabilità in caso di suo utilizzo per uno qualunque degli usi proibiti dal contratto, diritto di ispezione della società sul suolo coltivato per un periodo di tre anni anche in assenza dell’agricoltore). In secondo luogo, la concentrazione della ricerca e del “know-how” possono determinare effetti negativi sul piano ambientale e sanitario: nelle stime relative ai vantaggi economici derivanti dall’impiego dei prodotti transgenici si trascurano sistematicamente gli eventuali danni all’ambiente e alla salute, valutabili solo nel medio e lungo termine, i cui costi sono invece altissimi ed investono la collettività nel suo insieme.
Tutto questo rende tanto più discutibile la prospettiva di sottoporre le biotecnologie allo stesso regime di brevettabilità previsto per i normali prodotti commerciali. Inoltre, l’estensione automatica della disciplina brevettuale alla materia vivente può avere ulteriori effetti aberranti, specie se si considera che quando alla descrizione delle caratteristiche fisiche, chimiche o biologiche di un prodotto mediante una formula generale non sia collegata l’indicazione specifica della sua funzione e di tutte le informazioni necessarie, ciò consentirebbe a chi ha formulato un prodotto transgenico di richiedere la protezione giuridica anche per quegli usi dell’organismo modificato non descritti e non rivendicati e, comunque, estranei all’effettivo contributo conoscitivo.
Il meccanismo tradizionale della brevettabilità rischia, infine, di compromettere le legittime aspettative di sviluppo dei Paesi poveri. Per gli agricoltori del Sud del mondo i costi del deposito di un brevetto - fino a 500.000 dollari - sono proibitivi, e questo comporta il pericolo che i grandi gruppi leader nel settore delle biotecnologie aggiungano un ulteriore, insopportabile fattore di sfruttamento alle condizioni già molto pesanti in cui si dibattono le economie di tali Paesi. Bisogna che la regolamentazione del settore delle biotecnologie riconosca il diritto di ogni Paese a disporre del proprio patrimonio genetico e favorisca l’accesso degli agricoltori dei Paesi poveri ai frutti dello sviluppo tecnologico.
In conclusione, si può dire che nei confronti delle biotecnologie occorre tenere un atteggiamento consapevole, critico ma non pregiudiziale di chiusura, visti gli effetti positivi che tale filone di ricerca può portare soprattutto nel campo medico farmaceutico. Al tempo stesso, è necessario fissare limiti e vincoli chiari alle applicazioni biotecnologiche, in particolare escludendo da ogni possibilità di sfruttamento economico l’uso del patrimonio genetico dell’uomo e vietando impieghi eticamente inaccettabili a cominciare da quelli militari.
Quanto all’utilizzo delle biotecnologie nel settore agro-alimentare, restano tutte le perplessità in ordine ai vari aspetti accennati e resta, al fondo, la necessità di anteporre ad ogni prospettiva di sfruttamento economico di organismi modificati la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, la salvaguardia della salute umana e il pieno rispetto del diritto all’informazione dei consumatori, la difesa della biodiversità e delle produzioni tipiche e locali, la garanzia che la diffusione delle biotecnologie non penalizzi ulteriormente le aspettative di sviluppo dei Paesi poveri.
Lo studio di tecnologie innovative, di per sé legittimo, non può portare automaticamente all’impiego su larga scala delle nuove tecnologie messe a punto: la scelta, in questo campo, va fatta considerando i vantaggi che tali innovazioni possono recare ai bisogni e agli interessi della collettività. L’orientamento della ricerca biotecnologica non può essere lasciato alla discrezionalità della grandi multinazionali, che finora hanno preteso di fornire esse stesse alle autorità preposte ai controlli le “prove” della innocuità della varietà manipolate: bisogna invece incrementare gli investimenti pubblici in questo settore, e occorre che anche le organizzazioni agricole s’impegnino attivamente, fornendo sia risorse umane che economiche per contribuire alla definizione delle priorità della ricerca.
Un rischio molto concreto è poi quello che le biotecnologie accelerino la perdita progressiva di biodiversità, favorendo la scomparsa graduale di piante e colture tradizionali determinata dalla riduzione delle capacità naturali di miglioramento genetico conseguente al procedimento di controllo dei geni. L’introduzione nell’ambiente di organismi modificati è spesso legata all’utilizzazione in agricoltura di sementi e varietà vegetali connesse a forme di sfruttamento intensivo e ad un impiego massiccio di fitofarmaci, e può avere effetti negativi sulla diversità biologica delle forme viventi per la riduzione delle capacità degli organismi modificati di adattarsi e resistere al processo, graduale e continuo, di evoluzione naturale.
Già oggi, dieci specie vegetali sui milioni esistenti in natura danno origine al 90% della produzione agricola, e questo fa sì che la ricerca biotecnologica si concentri su un numero assai ristretto di specie. Il pericolo di un’erosione sempre più rapida della diversità biologica è destinato ad aumentare drasticamente se lo sviluppo delle applicazioni biotecnologiche continuerà a seguire la mera logica dell’interesse privato: tale rischio è particolarmente elevato in Italia, dove la tutela delle produzioni tipiche e di qualità è un obbiettivo imprescindibile se si vuole dare un futuro forte e sicuro all’economia agro-alimentare. Infatti, in un territorio vocato a produzioni di qualità, l’inserimento di piante geneticamente modificate è tanto più pericoloso, dal momento che la loro interazione con l’ambiente rischierebbe di ridurre irrimediabilmente il valore delle specificità produttive locali, e d’altra parte si deve riconoscere che la definizione di aree territoriali nelle quali sia bandito l’uso di genotipi modificati, seppure auspicabile, non è precauzione sufficiente a garantire la salvaguardia della specificità dei prodotti tipici e locali: i processi di ibridazione, come già ricordato, sono infatti imprevedibili, non soltanto in relazione all’entità degli effetti che ne possono derivare, ma anche per la loro portata spazio-territoriale. Infine, non vanno sottovalutati gli effetti che la commercializzazione di prodotti modificati possono avere sul gusto, sul ventaglio organolettico dei piatti cucinati e di prodotti alimentari quali formaggi, salumi, carni, uova, frutta e verdura; la grande ricchezza e varietà di produzioni agro-alimentari locali e storiche hanno infatti determinato, negli anni e spesso nei secoli, un quadro di riferimento gustativo che è parte fondamentale del nostro modello di alimentazione e del piacere che si ricava dal consumo di cibo e bevande: alterare questo quadro può provocare conseguenze psicologiche e sociali estremamente negative.
Problemi sanitari - Anche sulla possibilità che l’introduzione nell’ambiente di organismi modificati provochi effetti indesiderati sulla salute umana regna, per ora, la massima incertezza. Mentre va compiuto ogni sforzo per migliorare le conoscenze in materia, è indispensabile affermare nel modo più rigoroso il diritto dei consumatori ad essere informati con completezza e correttezza sulla presenza nei prodotti in commercio di organismi geneticamente modificati (risponde in parte a questi principi il regolamento europeo di recente approvazione che impone l’indicazione sull’imballaggio dei prodotti in commercio della presenza di soia o mais transgenici).
Problemi economici - L’esame, infine, dei fattori economici connessi all’utilizzo di organismi modificati è di particolare complessità ed investe trasversalmente tutti i problemi già esaminati. I vantaggi monetari derivanti dall’impiego di biotecnologie sono riconosciuti di manifesta evidenza, riconnessi per lo più ad un incremento di produttività delle piante che secondo alcune stime è dell’ordine del 6-7%. Anche da questo punto di vista va però sottolineato che la competitività del settore agro-alimentare italiano è legata, molto di più che ad una crescita quantitativa delle produzioni, alla tutela e valorizzazione dei caratteri di tipicità, tradizione e qualità della nostra agricoltura. La concentrazione del “know-how” della ricerca biotecnologica nelle mani di pochi, grandi gruppi industriali tende invece a limitare l’autonomia degli agricoltori, a ridurne la capacità di scelta e il potere contrattuale. Questo pericolo è chiaramente visibile nelle clausole decisamente vessatorie dei contratti imposti agli agricoltori dei Paesi dove si stanno diffondendo le coltivazioni transgeniche (possibilità per l’agricoltore di piantare un unico raccolto e responsabilità in caso di suo utilizzo per uno qualunque degli usi proibiti dal contratto, diritto di ispezione della società sul suolo coltivato per un periodo di tre anni anche in assenza dell’agricoltore). In secondo luogo, la concentrazione della ricerca e del “know-how” possono determinare effetti negativi sul piano ambientale e sanitario: nelle stime relative ai vantaggi economici derivanti dall’impiego dei prodotti transgenici si trascurano sistematicamente gli eventuali danni all’ambiente e alla salute, valutabili solo nel medio e lungo termine, i cui costi sono invece altissimi ed investono la collettività nel suo insieme.
Tutto questo rende tanto più discutibile la prospettiva di sottoporre le biotecnologie allo stesso regime di brevettabilità previsto per i normali prodotti commerciali. Inoltre, l’estensione automatica della disciplina brevettuale alla materia vivente può avere ulteriori effetti aberranti, specie se si considera che quando alla descrizione delle caratteristiche fisiche, chimiche o biologiche di un prodotto mediante una formula generale non sia collegata l’indicazione specifica della sua funzione e di tutte le informazioni necessarie, ciò consentirebbe a chi ha formulato un prodotto transgenico di richiedere la protezione giuridica anche per quegli usi dell’organismo modificato non descritti e non rivendicati e, comunque, estranei all’effettivo contributo conoscitivo.
Il meccanismo tradizionale della brevettabilità rischia, infine, di compromettere le legittime aspettative di sviluppo dei Paesi poveri. Per gli agricoltori del Sud del mondo i costi del deposito di un brevetto - fino a 500.000 dollari - sono proibitivi, e questo comporta il pericolo che i grandi gruppi leader nel settore delle biotecnologie aggiungano un ulteriore, insopportabile fattore di sfruttamento alle condizioni già molto pesanti in cui si dibattono le economie di tali Paesi. Bisogna che la regolamentazione del settore delle biotecnologie riconosca il diritto di ogni Paese a disporre del proprio patrimonio genetico e favorisca l’accesso degli agricoltori dei Paesi poveri ai frutti dello sviluppo tecnologico.
In conclusione, si può dire che nei confronti delle biotecnologie occorre tenere un atteggiamento consapevole, critico ma non pregiudiziale di chiusura, visti gli effetti positivi che tale filone di ricerca può portare soprattutto nel campo medico farmaceutico. Al tempo stesso, è necessario fissare limiti e vincoli chiari alle applicazioni biotecnologiche, in particolare escludendo da ogni possibilità di sfruttamento economico l’uso del patrimonio genetico dell’uomo e vietando impieghi eticamente inaccettabili a cominciare da quelli militari.
Quanto all’utilizzo delle biotecnologie nel settore agro-alimentare, restano tutte le perplessità in ordine ai vari aspetti accennati e resta, al fondo, la necessità di anteporre ad ogni prospettiva di sfruttamento economico di organismi modificati la tutela dell’ambiente e degli ecosistemi, la salvaguardia della salute umana e il pieno rispetto del diritto all’informazione dei consumatori, la difesa della biodiversità e delle produzioni tipiche e locali, la garanzia che la diffusione delle biotecnologie non penalizzi ulteriormente le aspettative di sviluppo dei Paesi poveri.
Lo studio di tecnologie innovative, di per sé legittimo, non può portare automaticamente all’impiego su larga scala delle nuove tecnologie messe a punto: la scelta, in questo campo, va fatta considerando i vantaggi che tali innovazioni possono recare ai bisogni e agli interessi della collettività. L’orientamento della ricerca biotecnologica non può essere lasciato alla discrezionalità della grandi multinazionali, che finora hanno preteso di fornire esse stesse alle autorità preposte ai controlli le “prove” della innocuità della varietà manipolate: bisogna invece incrementare gli investimenti pubblici in questo settore, e occorre che anche le organizzazioni agricole s’impegnino attivamente, fornendo sia risorse umane che economiche per contribuire alla definizione delle priorità della ricerca.