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MANIFESTO PER UNA BIOETICA LIBERALE
 
E’ possibile nel nostro paese una bioetica liberale, una bioetica – intendo – che ponga deliberatamente al suo centro il valore dell’autonomia individuale, che riconosca una netta divisione tra sfera della morale e sfera della legge, che coltivi un autentico pluralismo etico?


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BIOETICA E SCIENZE VETERINARIE
BENESSERE ANIMALE E SALUTE UMANA
Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica
30 novembre 2001
Presentazione
L'espansione della riflessione etica dalla sfera umana all'insieme dei viventi rappresenta una delle dimensioni più stimolanti e più controverse del dibattito filosofico e scientifico degli ultimi decenni, e implica anche conseguenze di natura pratica sia nei comportamenti personali, sia nelle decisioni politiche e nell'ordinamento giuridico. Attraverso il contrasto fra opposte visioni, le une antropocentriche, insistenti sull'assoluta peculiarità dei rapporti fra gli umani, e le altre tendenti a ridurre o cancellare le distinzioni fra le diverse specie animali, si è fatta strada comunque l'idea che l'uomo partecipi all'universo della vita come parte della natura. A questo si associa la consapevolezza che il suo agire influisce come non mai, nello spazio del globo e nei tempi della trasformazione biologica, per modificare, creare e distruggere altre specie viventi, e con ciò stesso per alterare quello stesso equilibrio nel quale è avvenuta la sua comparsa e la sua evoluzione come specie oggi ampiamente dominante. Da ciò emerge la sua responsabilità per il presente e più ancora per il futuro, che secondo alcuni va ricercata in qualche forma di "antropologismo riflessivo".
Il Comitato nazionale per la bioetica si è occupato, nel passato, di qualche aspetto del rapporto fra l'uomo e gli altri viventi, soprattutto per quel che riguarda gli orientamenti bioetici e le regole per la sperimentazione sugli animali, in particolare nel parere Sperimentazione sugli animali e salute dei viventi, del 17 aprile 1997; nel Parere sulla proposta di moratoria per la sperimentazione umana di xenotrapianti, del 19 novembre 1999; e in Orientamenti bioetici per i Comitati etici, del 13 luglio 2001.
Da molte fonti, negli ultimi anni, sono giunte sollecitazioni ad allargare la tematica ben oltre questo confine fino a comprendere ogni aspetto della relazione fra le specie viventi. La più stimolante, quella che ha permesso al C.N.B.di compiere un passo avanti e di associare la riflessione generale a un compito preciso, quello di contribuire a conservare e migliorare il benessere degli animali a noi più vicini, è venuta da una categoria professionale impegnata da sempre su questo terreno: quella dei medici veterinari. Il loro Ordine professionale, infatti, ha creato da qualche anno un proprio Comitato di bioetica, ha avviato una riflessione sull'argomento, ha formulato un Codice deontologico (che riportiamo in appendice) e si è rivolto al Comitato nazionale per la bioetica perché contribuisse ad approfondire sul piano dei principi e delle regole i temi del loro lavoro quotidiano. Questi o analoghi problemi riguardano peraltro moltissimi altri soggetti: tutti coloro che hanno rapporti intensi con gli animali da compagnia o da utilità (per es. cani dei ciechi e cani poliziotti), con gli animali da reddito (allevatori, trasportatori etc.) o da esperimento.
Il C.N.B. ha perciò deciso, nell'ottobre del 2000 di avviare un gruppo ad hoc sul rapporto fra bioetica e scienze veterinarie, considerato prevalentemente dal punto di vista della conservazione del benessere animale e delle sue relazioni con la salute umana. Il coordinamento del gruppo è stato affidato alla prof. Luisella Battaglia, che da tempo si occupa con particolare competenza e impegno della "etica animale". Di esso hanno fatto parte per il C.N.B. i proff. Mauro Barni e Francesco D'Agostino, Giovanni Incorvati per la Segreteria scientifica, e come esperti Laura Canavacci, Gianluigi Giovagnoli, Aldo Grasselli, Donato Matassino, Sergio Papalia, Pasqualino Santori e Augusto Vitale. Il gruppo ha lavorato intensamente, e per due volte l'impostazione del suo lavoro è stata discussa nella riunione plenaria del Comitato. Il 30 novembre del 2001, infine, Il Comitato ha approvato all'unanimità le Sintesi e raccomandazioni. Oltre che in queste, il contributo del C.N.B. è espresso anche nei materiali preparatori, opera di specialisti di varia formazione e orientamento, che pubblichiamo in allegato. A ciò si aggiungono i documenti elaborati dal Comitato bioetico per la veterinaria e il testo del Codice deontologico dei medici veterinari.
Roma, 30 novembre 2001
Il presidente Giovanni Berlinguer
Sintesi e raccomandazioni
1. Garante del rispetto delle leggi che mirano a salvaguardare il benessere degli animali, portavoce dei loro bisogni, punto di riferimento di tutti coloro che hanno a che fare con gli animali, sia di affezione che da reddito, il medico veterinario è sicuramente una figura di elezione. Lo è in particolare per quanto riguarda la definizione degli interessi specifici dell'animale in condizioni di normalità eto-fisiologica, e l'indicazione delle linee di intervento in caso di alterazione dello stato di salute. In quanto tale egli è chiamato a svolgere un ruolo centrale attraverso:
- la promozione di progetti di linee guida sulle "buone pratiche in medicina veterinaria", al fine di giungere a definire livelli standard di prestazione che tengano conto, nei diversi contesti, delle nuove potenzialità tecnologiche d'intervento e dell'importanza di evitare sofferenze e danni al paziente animale;
- il riconoscimento della diversa rilevanza dei fattori in gioco nella definizione dei bisogni, in relazione alle peculiarità fisiologiche, etologiche e zooantropologiche delle diverse specie;
- l'assunzione di nuovi compiti di consulenza e di sensibilizzazione nei riguardi di coloro ai quali viene affidata, a vario titolo, la cura degli animali.
2. Nei confronti delle specie che hanno subito il processo di domesticazione e acquisito uno stato di antropodipendenza, l'uomo ha dei doveri. Non solo deve rispettare le loro disposizioni di ordine filogenetico, ma soprattutto deve assumersi una responsabilità di cura nel predisporre loro un habitat adeguato - nell'ambito dell'allevamento, dell'ospitalità, della gestione e della conduzione - e nel salvaguardare la loro biodiversità. Il rispetto per le caratteristiche etologiche e fisiologiche degli animali dovrebbe pertanto assumere carattere vincolante nelle scelte che si operano nei loro confronti, e in particolare nelle scelte terapeutiche, di allevamento, di ospitalità e di conduzione. Nell'ottica della qualità della vita degli animali e della qualità del processo produttivo, è parere unanime del CNB che occorra disincentivare - in sintonia del resto con gli orientamenti emergenti a livello comunitario - la zootecnia di scala altamente industrializzata, a favore di allevamenti biologicamente ed etologicamente sostenibili. Inoltre occorre promuovere 'filiere etiche' dalla produzione al consumo, mediante un sistema di etichettature che caratterizzi le attività produttive e zootecniche sulla base di standard qualitativi e di sicurezza, per la salute dei consumatori. Il benessere degli animali domestici non può essere favorito semplicemente tenendo presenti i loro bisogni fisiologici, etologici e comportamentali, poiché il fulcro centrale del loro stato di benessere poggia sulla possibilità di godere di una relazione equilibrata e rispettosa con gli esseri umani.
3. Il rapporto uomo/animale va salvaguardato e promosso in modo da superare il concetto di animale 'strumento' e in modo da percepire nell'animale un'alterità portatrice di una specifica valenza, di una propria dignità e, in alcuni casi, di una "soggettività attiva" nel rapporto, così da contrastare le due opposte e inaccettabili prospettive dell'antropomorfismo e della reificazione. Questi obiettivi si inquadrano in un progetto più complessivo di partnership responsabile tra uomo e animale che veda nel medico veterinario un consulente globale. È parere del CNB che questi debba occuparsi dell'ampio ventaglio dei problemi di zooantropologia applicata, nelle diverse fasi o momenti dell'interazione. In particolare egli dovrebbe fornire: - consulenza finalizzata a un affidamento responsabile, per mettere in stretto rapporto di congruità i bisogni dell'animale con le disponibilità umane; - educazione/informazione relativa al comportamento dell'animale inserito nell'ambiente familiare, in modo tale da promuoverne il benessere, ottimizzare l'interazione, fare efficace opera di prevenzione contro ogni tipo di incidente; - consulenza riferita ai percorsi di training dell'animale, attraverso pratiche di istruzione e addestramento che, lungi dal comportare sofferenza fisica o psichica, accrescano le sue potenzialità cognitive ed espressive; - servizio di consultorio per i problemi di ordine comportamentale, allo scopo di evitare situazioni di difficile convivenza che possono portare all'abbandono o alla richiesta di eutanasia; - coordinamento di progetti tesi a valorizzare l'interazione uomo/animale di tipo assistenziale (pet therapy), zootecnico e didattico (attraverso, ad esempio, l'apertura di luoghi dedicati all'incontro con gli animali domestici e la creazione di aree apposite in ambito urbano ed extraurbano).
4. La trasformazione del rapporto con l'alterità animale richiede una nuova figura di medico veterinario, che se da una parte è chiamato a rafforzare i propri compiti istituzionali attraverso la definizione di un codice di "buone pratiche", d'altra parte non può non interessarsi a quegli aspetti informativi ed educativi che riguardano sia il campo della pet partnership, che la zootecnia nel senso più ampio. Il medico veterinario, in particolare, deve essere preparato nel campo delle scienze comportamentali applicate (etologia applicata, zooantropologia, medicina comportamentale animale), al fine di riconoscere i parametri del benessere e definire dei sensori per il monitoraggio dello stress. Ma deve anche confrontarsi con i temi della bioetica animale e della bioetica applicata alle scienze veterinarie, per poter valutare la rilevanza morale degli interessi animali e avviare un dibattito, anche a livello sociale, sulle scelte e sugli orientamenti che guidano la nostra condotta nei confronti delle altre specie.
Poiché la formazione bioetica è necessaria a tutto il personale sanitario, come è specificato nel Protocollo d'intesa tra il Ministero della Sanità e il Comitato Nazionale per la Bioetica (2 marzo 2001), appaiono auspicabili, nell'ambito della medicina veterinaria:
a. la costituzione di comitati multidisciplinari per la bioetica in rappresentanza degli animali, intesi a favorire sia un'interpretazione in senso evolutivo delle leggi vigenti in tema di protezione del benessere animale, sia un approfondimento della riflessione etica e deontologica da parte dei veterinari;
b. il potenziamento dei comitati multidisciplinari di salvaguardia dell'animale, integrati da figure specifiche di rappresentanza degli interessi animali (in analogia con i comitati etici per la valutazione dei protocolli sperimentali in medicina umana);
c. l'incentivazione delle ricerche: - sulle alternative all'uso di animali nella sperimentazione, mediante sia metodologie di laboratorio che simulazioni al computer; - sul fenomeno della domesticazione e sulle sue implicazioni storico-sociali; - sul benessere animale; - sulle capacità cognitive delle varie specie; - sulle problematiche bioetiche legate alla zootecnia (etica della biocultura) e alla gestione della fauna selvatica a vita libera e in cattività; - sull'uso eventuale di biotecnologie per il ripopolamento di animali in via di estinzione;
d. la promozione di attività formative (seminari, convegni, corsi professionali, master, etc.) miranti all'accrescimento del livello di professionalità di tutti coloro che sono coinvolti, a vario titolo, nelle attività produttive e di ricerca con gli animali;
e. l'inserimento nei curricula universitari dell'insegnamento di bioetica;
f. l'integrazione e l'intesa tra ministeri competenti (in particolare, Salute, Istruzione, Ambiente, Affari Sociali, Politiche agricole) per un'opera di formazione e di sensibilizzazione alle problematiche bioetiche, con uno specifico riferimento al corretto trattamento dei non umani e alla ricerca di un rapporto di armonia e di rispetto nei confronti del mondo vivente.
Bioetica e scienze veterinarie
La crescente attenzione con cui si considera oggi, in ambito bioetico, la 'questione animale', può considerarsi risultato, insieme, di una nuova cultura del rispetto che richiede un più responsabile atteggiamento della specie umana nei confronti delle altre specie e della crescente consapevolezza, nell'ambito delle varie scienze, dei problemi etici connessi alla ricerca scientifica. Se la scienza rinvia, nel suo esercizio, a problemi di etica, uno dei nodi cruciali da cui trae origine la bioetica è la tensione tra il fattibile e il faciendum, tra possibilità tecnica e liceità etica. Il collegamento operato negli ultimi decenni tra questione animale e riflessione bioetica ha contribuito a sollevare talune problematiche ineludibili circa la natura degli animali e il loro rapporto con gli uomini.
Il CNB è consapevole della complessità delle questioni etiche e, più in generale, filosofiche, in materia e non pretende certamente in questo documento di poterle risolvere, bensì di impostarle correttamente, a partire da quello che a suo avviso è il problema cruciale col quale ci dobbiamo confrontare: lo status morale degli animali. Rientrano o meno gli animali nella sfera della moralità? E se sì, a quale titolo? Alcune dottrine nella prospettiva di un egualitarismo interspecifico, vedono nei non umani dei soggetti morali a pieno titolo, dotati di diritti o portatori di interessi degni di considerazione. Altre li escludono dal mondo morale, negando ogni dovere - diretto o indiretto - dell'uomo nei riguardi dei 'bruti'. Altre dottrine, invece, pur riconoscendo all'uomo un 'primato' sugli animali, vedono tale primato come segno di responsabilità e non di mero potere e conseguentemente negano che esso possa dar luogo o peggio ancora giustificare pratiche crudeli, violente, nei confronti degli animali. In questa prospettiva alcuni amano parlare di responsabilità dell'uomo verso esseri considerati come 'pazienti morali', destinatari passivi dei nostri doveri. Strettamente connesso al tema dello status morale degli animali è quello che concerne la natura e la valutazione della sofferenza animale: occorre, da un lato, darne una definizione il più possibile univoca, non viziata da pregiudizi antropomorfici, che eviti tanto la fallacia pathetica - l'attribuzione ai non umani di caratteristiche umane - quanto la fallacia mechanica - la riduzione degli animali a macchine. Dall'altro, occorre determinarne il significato dal punto di vista etico.
La controversia è aperta sia tra scienziati che tra eticisti. Il campo è diviso tra chi, pur ritenendo rilevante il dato della sofferenza, non lo considera decisivo sul piano etico adducendo molteplici motivazioni (il differente status ontologico tra uomo e animale, la diversa complessità delle loro vite etc. - risposte tutte sostenute da una tradizione maggioritaria della nostra cultura che ha guardato agli animali in termini di strumentalità rispetto agli esseri umani) e chi, invece, sollecitato anche dai dati scientifici, è spinto a rivedere queste categorie e a ritenere un atavismo etico trattare gli animali subordinandoli agli uomini o peggio ancora considerandoli come automi privi di sensibilità (anche in tal caso si apre una gamma di opzioni possibili che vanno dall'affermazione di diritti degli animali al riconoscimento di doveri o di responsabilità nei loro confronti).
Dal dibattito relativo alla questione animale emergono, come è agevole constatare, interrogativi più ampi e radicali di etica filosofica che investono il nostro ruolo e la nostra stessa immagine. In generale, dobbiamo osservare che non vi sono ancora teorie filosofiche adeguate alla complessità di una problematica che va ben oltre temi specifici di esplicito carattere bioetico - quali la sperimentazione sugli animali, la brevettabilità dei viventi etc. - e investe la più vasta questione del nostro rapporto col mondo non umano e la nostra visione della diversità. Da qui la consapevolezza che non è possibile rispondere a precisi quesiti su tale materia senza aver prima affrontato quelli che riguardano, da una parte, le ragioni e i valori in nome dei quali ci sentiamo autorizzati a disporre della vita dei non umani e, dall'altra, la stessa visione della scienza come sapere finalizzato sui cui obiettivi, metodi e strategie s'impone una riflessione in termini di etica della responsabilità. A tal riguardo, occorre segnalare la mancanza di un quadro di riferimento teorico che tenga sufficiente conto delle implicazioni, sul piano etico, della "rivoluzione darwiniana" e dei risultati di scienze - quali, ad esempio, l'ecologia e l'etologia - per interrogarsi sulla nuova immagine dell'uomo che ne è scaturita.
Nella filosofia morale del nostro tempo, in tema di rapporto uomo/animali, ci troviamo dinanzi a un disordinato assemblaggio di teorie e dottrine estrapolate dalla tradizionale etica umana e applicate, più o meno persuasivamente, agli inediti problemi di una possibile etica animale: dall'utilitarismo nelle sue varie forme alle teoriche dei diritti naturali al contrattualismo declinato in versione interspecifica, con i relativi schemi argomentativi: analisi costi/benefici, utilità del maggior numero, calcolo delle preferenze, diritti individuali, modello del contratto etc. Per questo, se l'avvio di un'analisi approfondita dei principali orientamenti emersi in materia rappresenta una necessaria premessa per il dibattito in corso, appare tuttavia indispensabile il raccordo con una riflessione sistematica capace non solo di individuare aree possibili di accordo e di compatibilità o di fornire criteri per valutare i diversi 'usi' scientifici o pratici cui gli animali sono destinati (all'interno di una ormai problematica cultura della strumentalità) ma si prefigga di individuare le categorie etiche fondative di un nuovo rapporto.
A questa ambizione ha inteso rispondere la cosiddetta "etica della liberazione animale" nelle sue due versioni più accreditate: quella utilitarista di Peter Singer e quella giusnaturalista di Tom Regan - la quale fa parte di un più generale movimento di emancipazione, di progressivo allargamento delle frontiere morali ad altri soggetti - quel movimento per cui, nella storia della civiltà europea, si sono riconosciuti dignità e diritti a gruppi che, per natura, ne parevano esclusi. Restano tuttavia sostanzialmente inevasi taluni interrogativi cruciali: fino a che punto tale analogia regge? Entro quali limiti il principio di eguaglianza morale, originariamente concepito per l'uomo ed eredità della moderna teoria della giustizia, è applicabile ad altri soggetti? Occorrerebbe, a questo punto, chiedersi se, una volta esteso tale principio oltre le mura della città dell'uomo, in senso interspecifico, abbiamo esaurito tutte le mosse possibili della ragione per riconoscere uno status morale ai non umani. In altri termini, l'egualitarismo interspecifico può ritenersi davvero il postulato più idoneo per estendere i confini della comunità morale fino ai limiti del senziente o esistono altre strategie argomentative in grado di sostanziare di precisi fondamenti teorici un'etica animale? E' forse venuto il momento di evadere da griglie concettuali troppo anguste, di cercare più flessibili quadri di riferimento, di percorrere strade diverse e ulteriori, evitando in particolare il ricorso a procedure di universalizzazione astratta per ampliare il dominio della moralità.
Una riflessione alternativa, più articolata e complessa, più vicina all'esperienza relazionale col mondo animale e in grado di fornire criteri più appropriati di riflessione e deliberazione, potrebbe essere quella che, muovendo da un principio generalissimo di precauzione ambientale e da un principio generale di responsabilità nei confronti dell'intero mondo animale, si concentra, in ordine alla questione animale concernente le scienze veterinarie, su una prospettiva scientifica e operativa incentrata sul tema della cura, uno dei temi centrali della tradizione occidentale a partire dalle sue radici ebraico-cristiane. L'etica della cura costituisce l'ambito forse più significativo di ricerca filosofico-morale del nostro tempo. In esso si incrociano e almeno in parte si sovrappongono prospettive fondamentalmente religiose, come quelle di Emmanuel Lévinas, e prospettive maturate laicamente all'interno delle nuove preoccupazioni teoretiche emerse negli ultimi anni nel pensiero femminile.
Il CNB ritiene che la bioetica possa fare tesoro di questi nuovi orientamenti di pensiero, in particolare in ordine a questioni come quella del rapporto uomini/animali. In senso generale, con l'espressione prendersi cura ci si riferisce a una pluralità di accezioni che sembrano tutte rinviare a un'attitudine fondamentale di disponibilità nei confronti dell'altro, attitudine che nasce dal riconoscimento di un'essenziale e costitutiva interdipendenza e si traduce in un serio impegno a comprenderne la reale situazione di bisogno e a farsene responsabilmente carico. Cura potrebbe quindi definirsi come la sollecitudine per la sorte di un altro individuo (affine alla 'paura altruistica', di cui scrive Hans Jonas, a parere del quale essa testimonia l'apprensione per la vulnerabilità e la fragilità di altri esseri, la preoccupazione per la loro esistenza minacciata) sorretta da una conoscenza, la più adeguata possibile, della sua realtà, delle sue esperienze, dei suoi bisogni. I diversi significati di cura condividono pertanto un elemento fondamentale: quello di preoccupazione per il bene di un altro. In effetti, non si può dire sensatamente di prendersi cura di qualcuno se non si è disposti a capirlo, a rispettarlo, a preoccuparsene, a impegnarsi personalmente per il suo bene, a operare per ridurre, per quanto è possibile, la sofferenza di cui possa essere preda, in particolare se l'individuo in questione non sa o non è in grado di farlo. Scoprire ciò che è causa della sofferenza di un essere vivente e come rispondere alle sue esigenze esige, preliminarmente, un esercizio di attenzione nel senso profondo espresso da Simone Weil: "essere attento è essere aperto all'illuminazione".
L'attenzione, nel rivelarmi l'altro, mi rivela, altresì, l'esistenza di una asimmetria di forza e di potere e, quindi, mi pone dinanzi a responsabilità e doveri che prima non vedevo ma a cui ora mi sento chiamato a rispondere, senza lo schema spersonalizzato del ruolo o dell'istituzione. In tal modo, emerge un elemento caratteristico dell'etica della cura: l'asimmetricità ovvero il mio essere responsabile per l'altro, per il suo bene e benessere, senza attendermi nulla in contraccambio. L'altro mi interpella e mi costringe a una responsabilità irrecusabile e asimmetrica - quella eticamente più alta - giacché non esiste né può esistere reciprocità. Nell'ambito della modernità, la tradizione che ha segnato in modo indelebile il pensiero etico-politico è quella i cui termini essenziali sono il contratto sociale e i diritti individuali e il cui retroterra filosofico si ispira, fondamentalmente, a un modello liberale e atomistico. Tale modello - che ha acquisito storicamente molti meriti e possiede certo grandi qualità - sembra tuttavia trascurare molte dimensioni dell'esistenza.
In particolare, come alcuni autori hanno sottolineato, rischia di ignorare la varietà dei rapporti con cui le persone si assumono la responsabilità e la cura di altri, né sa dove collocare i sentimenti di fraternità e di compassione. La reciprocità, a ben vedere, vale negli scambi tra eguali e corrisponde alla filosofia del contratto, ma l'assunzione di responsabilità, nel suo senso più profondo, prescinde da ogni accertamento di questo tipo. Se assumiamo la non reciprocità come un filo conduttore della riflessione etica, possiamo - andando al di là dell'ambito umano - riconoscere la prossimità dello sguardo muto che ci interpella e che fa appello direttamente alla nostra coscienza morale (poco conta a quale specie appartenga), in un incontro con l'altro che verifichi la nostra giustizia verso di lui senza alcuna pretesa di ricompensa. Nei suoi tratti più generali, un'etica della cura si differenzia da un'etica dei diritti perché pone l'accento sulla connessione piuttosto che sulla separazione e perché assegna la priorità ai rapporti con gli altri piuttosto che ai diritti dei singoli individui. Entro tale concezione, la vita - intesa come una trama di relazioni a cui tutti apparteniamo e da cui tutti deriviamo - è salvaguardata da attività di cura responsabile ed è basata su un legame di interdipendenza anziché su un contratto tra eguali. La cura per l'altro comporta, pertanto, un'immagine relazionale dell'esistenza umana che, oltre a gettare un ponte tra morale e politica, permetta una salda congiunzione tra grammatica del bene e grammatica della giustizia. Se compito della bioetica è portare a compiuta chiarezza razionale quel rapporto di essenziale e costitutiva interdipendenza tra i viventi, di cui si è detto, un approccio ispirato a un'etica di cura non può non comportare una riconsiderazione dei nostri rapporti con gli esseri viventi non umani e, soprattutto, un ripensamento radicale della cultura del dispotismo.
Come si legge nel documento del Comitato Nazionale per la Bioetica su Sperimentazione animale e salute dei viventi: "Si è ormai ampiamente e giustificatamente diffusa la consapevolezza che la cultura occidentale alla quale dobbiamo il prepotente e probabilmente inarrestabile diffondersi della 'visione scientifica del mondo' (ma qualcuno direbbe anche: il mondo umano tout court), ha contratto nei confronti degli esseri viventi non umani e degli animali in particolare un grande debito, che, probabilmente, non potrà mai venir pagato esaustivamente. L'oggettivazione, anzi, la cosificazione del vivente non umano e quella che con espressione forse enfatica, ma non scorretta, potremmo definire la sua umiliazione ontologica, hanno accompagnato e sorretto - fino ad epoche ben recenti - il progredire della visione moderna del cosmo, generando non solo vere e proprie deformazioni ideologiche dal peso epocale - celebre tra tutte la cartesiana - ma anche a livello di coscienza diffusa, un atteggiamento freddo, disincantato, violento e, nei casi migliori, indebitamente riduttivo verso ogni forma di vita diversa dalla nostra".
La crescita delle nostre informazioni sulla vita animale ha suscitato importanti interrogativi circa i confini dell'universo cui si riferisce il nostro discorso morale. L'esigenza di rivisitare e di ridefinire taluni concetti cruciali (vita, esistenza, persona) ha preso forma all'interno di un processo che ha visto la bioetica impegnata a promuovere una riflessione multidisciplinare sulle implicazioni concettuali e normative delle conoscenze etologiche. In un momento storico e culturale in cui molte barriere tra le specie si sono accorciate e anche il linguaggio è sempre meno un ostacolo alla comunicazione interspecifica (siamo in grado di interpretare segnali, di decifrare messaggi, di decodificare suoni, di comprendere comportamenti degli altri esseri viventi), nuove consapevolezze sono maturate. "Avvertiamo tutti, e la bioetica se ne fa seriamente carico - si legge ancora nel documento citato -, che è necessario abbandonare questo indebito paradigma [cartesiano] e per diverse ragioni: da quelle strettamente epistemologiche, che ne rivelano la fragilità teorica a quelle più specificatamente etiche, che ne denunciano la carica intollerabile di tracotanza e di crudeltà, se non di sadismo, che inevitabilmente l'accompagnano. Ma naturalmente il cammino da compiere è ancora estremamente lungo: non solo perché dobbiamo liberarci da idee talmente cristallizzate nelle coscienze da apparire ancora, a molti, assolutamente autoevidenti ma soprattutto perché dobbiamo ritematizzare dalle radici ogni nostra forma di esperienza relazionale col vivente non umano, evitando tanto le fughe in avanti quanto gli inutili arroccamenti pregiudiziali che accompagnano sempre tutte le epoche in cui un orizzonte concettuale entra in crisi e chiede di essere seriamente ripensato, riformulato e adeguatamente corretto." Se un approccio teorico ispirato all'idea di cura sostiene, come si è fatto rilevare, l'importanza di riconoscere il tessuto di interconnessioni che ci unisce a tutti i viventi, comunicando con loro e rafforzando tali legami, esso può fondare il riconoscimento del nostro dovere di considerarci responsabili nei confronti delle altre creature - a partire dal grado estremo di indigenza e di vulnerabilità - sul fatto che siamo in una relazione di interdipendenza, espressa, appunto, attraverso la cura. Non solo. In un'etica allargata alla comunità dei viventi, la non reciprocità sembra la regola. Come possono, infatti, gli animali reciprocare? La loro impossibilità di reciprocare non sembra, d'altra parte, un argomento valido per giustificarne l'esclusione dal nostro universo morale. Se i non umani abitano il mondo etico che anche noi abitiamo, non possiamo usare i vecchi armamentari concettuali che prevedevano la reciprocità diritti/doveri propria dei soggetti razionali umani.
L'accesso dei non umani nel territorio etico ci fa dunque recuperare l'asimmetricità come una delle dimensioni essenziali del discorso morale - una dimensione spesso trascurata, a causa del prevalere del modello contrattualistico e del paradigma dei diritti. L'asimmetria evidenzia la gratuità del comportamento etico, il non attendere nulla in cambio, il superamento della logica della transazione. Tale atteggiamento, che comporta necessariamente il rifiuto della cultura del dispotismo, può radicarsi sia in una visione teocentrica - in cui l'uomo e l'animale sono entrambi creature accomunate, pur nella diversità ontologica e assiologica, da questa loro condizione e collocate all'interno di un ordine di cui l'uomo è custode, non certo padrone -, sia in una visione ispirata a un antropocentrismo riflessivo, che - attraverso un'estensione della responsabilità etica dal mondo delle persone a quella degli esseri che ne entreranno a far parte con la nascita fino al mondo animale - attribuisca un valore morale all'intera sfera dei viventi, e da una prospettiva personalistica pervenga a un'istanza transpersonale. Il punto decisivo è che in questo incontro l'animale non è "antropologizzato", attraverso un processo artificioso e comunque sempre indebito, sia sul piano epistemologico che su quello etico. Non è questione infatti della sua coscienza o autocoscienza ma solo della mia coscienza di agente morale. Per questa strada sembra possibile non dover limitare al mondo umano l'incontro con quegli altri che ci si presentano come fragili e vulnerabili, rivolgendoci in appello al riconoscimento. L'etica della cura, per riassumere sinteticamente quanto si è detto: a. insiste sui bisogni (e non solo sugli interessi); b. attribuisce un valore cruciale alla compassione; c. pone al centro il tema della dedizione (rispetto a quello della prestazione): d. fa leva sul concetto di responsabilità (e non su quello di diritto); e. non comporta la reciprocità (di contro alla correlazione diritti/doveri). Per questi motivi sembra particolarmente idonea a costituire un paradigma bioetico di relazioni col mondo non umano. Si tratta di elaborare un'interpretazione forte e costruttiva del concetto di cura, non come semplice appello ai buoni sentimenti o come visione idilliaca che non tenga conto della "natura lupesca" dell'uomo, ma come impegno responsabile verso gli altri esseri, umani e non umani, attento alla questione ineludibile dei conflitti interspecifici, capace di stabilire i necessari e invalicabili limiti etici, atti a orientare e a regolare il nostro rapporto col mondo vivente. Il richiamo alle responsabilità bioetiche non può, in tal modo, prescindere dall'impegno concreto e risoluto che esse trovino sempre più adeguata corrispondenza nella normazione positiva a difesa degli animali.
Le riflessioni fin qui svolte devono considerarsi come lo sfondo delle considerazioni e delle valutazioni avanzate nel documento che qui si presenta. Il tema che il CNB ha inteso affrontare non è, infatti, quello, generalissimo, della nostra relazione col mondo non umano ma quello, ben più limitato, dei rapporti interdisciplinari tra Bioetica e scienze veterinarie. Nella prospettiva di una qualità della vita, da intendersi in senso globale, il sottotitolo - Benessere animale e salute umana - intende evidenziare la necessità di pervenire a una valutazione complessiva che riconosca l'inscindibile complementarità tra le preoccupazioni relative alla tutela del benessere degli animali e alla salvaguardia della salute umana.
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