Diagnosi prenatali
Parere CNB 1992
Sintesi e raccomandazioni
Dalle prime diagnosi prenatali eseguite mediante l'analisi del liquido amniotico in casi di eritroblastosi letale da immunizzazione Rh sono trascorsi più di quarant'anni. Le indagini si sono via via estese allo studio delle cellule sospese nel liquido amniotico per la determinazione del sesso, mediante identificazione della cromatina nota come corpo di Barr, ai saggi biochimici per la determinazione di errori congeniti del metabolismo, all'analisi citogenetica per la definizione di anomalie di numero e di struttura dei cromosomi legate a sindromi polimalformative. Lo sviluppo delle tecnologie del DNA ha ulteriormente ampliato lo spettro di malattie ereditarie e congenite analizzabili in utero; qualsiasi mutazione genica presente nell'embrione e nel feto può infatti essere individuata direttamente o indirettamente purché si disponga di una appropriata sonda di DNA.
La produzione di sonde diagnostiche per lo studio della patologia ereditaria rappresenta una delle ricadute più importanti del "progetto genoma umano" il cui obiettivo finale è la ricostruzione dell'intera sequenza nucleotidica. Le malattie genetiche sia a base genica che cromosomica oggi diagnosticabili in utero assommano a più di 200 rappresentando circa il 5% delle forme patologiche ereditarie note. Non è azzardato pensare che con il ritmo crescente di nuovi isolamenti di geni o di sequenze ad essi associate entro i prossimi 10 anni il 50% ed oltre delle malattie genetiche diventino accessibili alla diagnosi prenatale.
Le tecniche di prelievo di tessuto letale e della visualizzazione del feto hanno registrato uno sviluppo parallelo ed hanno spostato a periodi sempre più precoci le possibilità di indagine. All'uso consolidato delle tecniche di prelievo convenzionali dell'amniocentesi (prelievo di liquido amniotico), della cordocentesi o funicolocentesi (prelievo di sangue fetale) e di villocentesi (prelievo di villi coriali di origine placentare) si aggiunge la prospettiva di prelievo e diagnosi preimpiantatorie effettuate sugli oociti e sull'embrione ai primi stadi. Tra i metodi diagnostici non invasivi le tecnologie ultrasoniche ad alta risoluzione d'immagine si presentano come uno strumento di indagine essenziale non solo per lo studio della morfologia del feto e la visualizzazione di eventuali anomalie malformative, ma anche per la guida di strumenti bioptici.
Merita di essere segnalata una procedura diagnostica non invasiva tuttora in fase di studio, che consiste nell'analisi di cellule letali presenti nel sangue materno. Strettamente connessi con la diagnosi prenatale sono la consulenza genetica e gli screening genetici: la prima ha lo scopo di definire le indicazioni per l'intervento diagnostico sulla base della valutazione del rischio di prole affetta; i programmi di screening associati a diagnosi prenatale in coppie appartenenti a categorie ad alto rischio, come ad es. quelle caratterizzate dall'età materna avanzata (superiore ai 35 anni), da livelli anomali di alfafetoproteina nel sangue materno, da elevata incidenza di gravi malattie determinate da geni recessivi (malattia di Tay Sachs, talassemia, fibrosi cistica), rientrano nel quadro più generale della prevenzione genetica che vede nel livello primario basato sulla identificazione di portatori un punto comune di consenso, mentre esiste disparità di opinioni sulla accettabilità di programmi che prevedono la selezione dei feti.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha fatto il punto sullo stato attuale delle conoscenze sui metodi e le procedure disponibili per lo studio della patologia fetale a livello anatomico, biochimico. citogenetico e genetico-molecolare: ha individuato nelle tecniche ecografiche e nelle biotecnologie cellulari e molecolari i settori a più intenso e rapido sviluppo, che hanno contribuito ad aumentare enormemente il potere di indagine della diagnosi prenatale. Il CNB rileva che ormai, grazie ai metodi di mantenimento in vitro di oociti e di embrioni e alle analisi citologico-molecolari effettuabili su singole cellule, i tempi utili per le diagnosi sono anticipati fino alla fase prezigotica ed è altresì possibile eseguire diagnosi pre-impiantatorie lasciando intatto l'embrione recuperato per lavaggio uterino ed evitando la fecondazione in vitro.
Il Comitato nota che, pur persistendo un notevole divario tra capacità diagnostica e terapeutica in ambito prenatale, le prospettive di trattamento di stati patologici del feto, congeniti o acquisiti, aumentano ed interventi di terapia genica somatica da trapianti di cellule staminali sono teoricamente fondati e tecnicamente proponibili. Ciò aumenta ulteriormente il grado di accettazione delle diagnosi prenatali da parte delle coppie a rischio. La domanda nel nostro Paese è stata valutata pari a circa 80.000 per anno limitatamente alle analisi citogenetiche: l'offerta di servizio diagnostico corrisponde al 25% del fabbisogno nazionale e le strutture pubbliche esistenti risultano inadeguate alla potenziale richiesta specie nel Sud, dove si sviluppano le iniziative private.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica sulla base di un esame approfondito degli aspetti tecnico-scientifici della diagnosi e della terapia prenatale ha considerato le implicazioni etiche, giuridiche e medico-legali, etico normative e psico-sociali delle diverse fasi in cui si articola il procedimento: dalla consulenza genetica ai programmi di screening, all'intervento diagnostico ed alle prospettive terapeutiche. I principali problemi emersi riguardano il rischio biologico connesso con i vari tipi di intervento in relazione alla precocità della diagnosi. L'accettabilità delle procedure alla luce delle diverse concezioni sullo stato dell'embrione, la qualità e la modalità dell'informazione diretta al pubblico ed alle coppie interessate: l'accesso alla diagnosi confrontata con la congruità delle indicazioni, la libertà di scelta procreativa, le scelte di politica sociale e sanitaria, le finalità eugenetiche degli screening di popolazione, i doveri e la libertà di esercizio professionale dell'operatore sanitario, la rilevanza giuridica dei suoi comportamenti, lo status dell'embrione come obiettivo autonomo di diagnosi e di cura.
Il Comitato Nazionale per la Bioetica, dopo uno studio approfondito sulle diagnosi prenatali in tutti gli aspetti rilevanti dal punto di vista scientifico, etico individuale, sociale e giuridico, è pervenuto alle seguenti conclusioni:
- le diagnosi prenatali rispondono ad una domanda sociale crescente nell'attuale sistema sanitario, richiedono pertanto un potenziamento delle strutture idonee ad offrire il servizio;
- premessa fondamentale per un corretto uso dello strumento diagnostico inteso come il criterio che va sotto il nome di diagnosi prenatale (DP) è la diffusione dell'informazione sulle possibilità ed i limiti delle diverse procedure ricomprese sotto questa denominazione generale, e sulle prospettive terapeutiche che possono aprirsi a seguito delle varie diagnosi esperite;
- i metodi di analisi hanno raggiunto livelli elevati di affidabilità e precisione, le tecniche convenzionali di prelievo di tessuti fetali di tipo invasivo correntemente in uso (amniocentesi e prelievo dei villi coriali) presentano un rischio trascurabile per la madre; per quanto riguarda il feto il rischio tende ad aumentare con la precocità del prelievo ed è generalmente considerato accettabile per l'amniocentesi eseguita nel secondo trimestre, mentre le valutazioni non sono completamente concordi circa il prelievo dei villi coriali, considerata la variabilità dei dati riportati dalle diverse casistiche. Il rischio dell'intervento va in ogni caso commisurato alla qualità ed all'entità del rischio di prole affetta;
- l'ecografia come esame mirato nella gravidanza a rischio e come metodo di screening di massa è diventata uno strumento di indagine insostituibile nella moderna ostetricia; è auspicabile che l'uso ormai invalso nella pratica clinica venga formalizzato con una norma di legge, che eviti anche un eccessivo ricorso a questo mezzo; il servizio deve essere affidato ad operatori con riconosciuta esperienza, documentata dalla frequenza a corsi di specializzazione e da un'esperienza di tirocinio adeguata;
- la diagnosi prenatale di malattie ereditarie o congenite deve essere preceduta e, ove necessario, seguita da una consulenza genetica "a tutto campo", che offra gli elementi per una effettiva valutazione del rapporto rischi/benefici nell'interesse della madre e del feto;
- il ricorso alla diagnosi prenatale deve essere motivato da una specifica indicazione basata su criteri suggeriti dalle società medico scientifiche: ciò in considerazione del continuo aumento del numero di malattie ereditarie, congenite o acquisite, a diversa gravità e momento di insorgenza diagnosticabili in utero e della forte sproporzione tra domanda ed offerta diagnostica;
- alla coppia adeguatamente informata su ogni possibile conseguenza del responso diagnostico devono essere garantite le condizioni per una consapevole e libera scelta procreativa;
- la possibilità di eseguire analisi genetiche su ovociti e su embrioni ai primi stadi apre nuove prospettive per le diagnosi prenatali precoci associate alle tecniche di riproduzione assistita: tuttavia, allo stato attuale della sperimentazione, non si ritiene che i metodi abbiano una sufficiente convalida per poter essere trasferiti alla pratica clinica: rimane in ogni caso la diversità di valutazione etica di questi interventi;
- i programmi di screening genetici prenatali possono essere considerati quando non si traducano in automatismi di eugenetica negativa, ma vengano invece inseriti in un contesto più generale di prevenzione primaria che riconosce alla consulenza genetica preconcezionale un ruolo insostituibile. In linea con l'attuale tendenza a considerare il feto come paziente, va incrementata la ricerca e la sperimentazione di tecniche per la terapia prenatale, basate sia su interventi di tipo medico e chirurgico, sia su trapianti di cellule staminali e su trasferimento genico.