Maria Antonietta La Torre
La decisione di morire
Come molte delle questioni bioetiche, anche quella dell'eutanasia, attiva o passiva o della definizione di accanimento terapeutico, vengono sollevate con particolare virulenza grazie, o a causa di, progressi nelle tecniche biomediche. La cosa singolare è, tuttavia, che per dirimere questioni che sono generate dalla tecnica, decidere in merito a possibilità che sottraggono l'esito spontaneo dell'esistenza di un individuo alla sua naturale evoluzione, si faccia ancora e sempre appello al rispetto della fine "naturale" di quell'individuo, si debba cioè sostenere che egli vada "lasciato" morire "spontaneamente", "naturalmente": ma cosa vi è ormai più di naturale nella morte di un malato che è sopravvissuto soltanto grazie alla violazione del suo corpo naturale divenuto ormai quasi corpo bionico? la sopravvivenza di quell'individuo è artificiale e non vi è alcun rispetto dell'ordine naturale nel lasciare che esso perduri in quella condizione: dove sono la pietas o il rispetto per la vita altrui nel costringere qualcuno a soffrire, poiché di costrizione si tratta, visto che in assenza di trattamenti quella sofferenza avrebbe termine?
Detto questo, sorge però l'esigenza di porre dei limiti e delle regole, compito precipuo della riflessione bioetica. Eppure già soltanto sostenere ciò suscita sconcerto, poiché sembra che ci si voglia arrogare l'arbitrio di decidere "quando". Ma non abbiamo forse deciso che l'espianto di organi utili ad altri individui possa avvenire anche a cuore battente? Questa idea avrebbe suscitato scandalo soltanto alcuni decenni fa e forse lo suscita ancora. Forse questo elemento deve essere tenuto presente al fine di rendere meno animoso il dibattito: l'attuale definizione di morte è frutto di una decisione, di una convenzione, pertanto, non si comprende perché susciti tante perplessità l'idea di intervenire ancora in questo campo.
La tecnologia consente di tenere in vita individui che solo qualche decennio fa sarebbero morti: questo rende tali trattamenti necessari, obbligatori, vincolanti? Se per assurdo nuove tecniche consentissero di prolungare indefinitamente la persistenza di talune funzioni che sono un vago indice di vitalità, riterremo che sia un dovere morale rendere tutti in tal modo "immortali"? Il legislatore non ha ritenuto che i progressi tecnologici nella fecondazione assistita configurassero un diritto a poterne usufruire, se non a condizioni limitate e precise, mentre in questo caso ritiene che non si possa NON usufruirne...
Detto questo, sorge però l'esigenza di porre dei limiti e delle regole, compito precipuo della riflessione bioetica. Eppure già soltanto sostenere ciò suscita sconcerto, poiché sembra che ci si voglia arrogare l'arbitrio di decidere "quando". Ma non abbiamo forse deciso che l'espianto di organi utili ad altri individui possa avvenire anche a cuore battente? Questa idea avrebbe suscitato scandalo soltanto alcuni decenni fa e forse lo suscita ancora. Forse questo elemento deve essere tenuto presente al fine di rendere meno animoso il dibattito: l'attuale definizione di morte è frutto di una decisione, di una convenzione, pertanto, non si comprende perché susciti tante perplessità l'idea di intervenire ancora in questo campo.
La tecnologia consente di tenere in vita individui che solo qualche decennio fa sarebbero morti: questo rende tali trattamenti necessari, obbligatori, vincolanti? Se per assurdo nuove tecniche consentissero di prolungare indefinitamente la persistenza di talune funzioni che sono un vago indice di vitalità, riterremo che sia un dovere morale rendere tutti in tal modo "immortali"? Il legislatore non ha ritenuto che i progressi tecnologici nella fecondazione assistita configurassero un diritto a poterne usufruire, se non a condizioni limitate e precise, mentre in questo caso ritiene che non si possa NON usufruirne...