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La "via giudiziaria" al testamento biologico come rimedio all'inerzia del legislatore
Mauro Fusco
(Pubblicato su Diritto & Giustizia del 15.11.2008)
A pochi mesi dall’ultima pronunzia della Corte di Appello di Milano sul caso di Eluana Englaro, che aveva nuovamente riportato all’attenzione dell’opinione pubblica i delicati temi dell’accanimento terapeutico e del testamento biologico, un’altra pronunzia di una corte di merito si inserisce nel variegato e complesso panorama giurisprudenziale relativo alle tematiche di fine vita. È il decreto del Tribunale di Modena del 5 novembre 2008 (pubblicato sul numero del 7.11.2008 di questa Rivista), con cui il giudice tutelare Guido Stanzani ha accolto l’istanza di un privato cittadino che chiedeva per sé stesso la nomina dell’amministratore di sostegno in caso di futura incapacità dovuta a malattia terminale o grave malattia/lesione cerebrale.
La pronunzia in questione, estremamente innovativa, merita un’attenta valutazione, anche perché costituisce il primo riconoscimento giuridico delle cosiddette “dichiarazioni anticipate di fine vita”, nelle more di un intervento del legislatore tanto auspicato quanto tardivo.
Tale riconoscimento passa innanzitutto attraverso una scrittura privata autenticata da notaio, con cui l’istante, un individuo in perfette condizioni di salute e nel pieno delle proprie capacità, dichiarava che “in caso di malattia allo stato terminale, malattia o lesione traumatica cerebrale, irreversibile e invalidante, malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione, chiedo e dispongo di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico, con particolare riguardo a rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusione, terapia antibiotica, ventilazione, idratazione o alimentazione forzata e artificiale. Chiedo inoltre formalmente che, nel caso in cui fossi affetto da una delle situazioni sopraindicate, siano intrapresi tutti i provvedimenti atti ad alleviare le mie sofferenze, compreso, in particolare, l’uso di farmaci oppiacei, anche se essi dovessero anticipare la fine della mia vita”. Come si evince chiaramente, la dichiarazione in questione si riferisce non solo ai principali trattamenti medici e di sostegno vitale che in caso di trauma/patologia grave consentono di prolungare l’esistenza in vita dell’individuo e che vengono rifiutati in toto dall’interessato, ma anche all’esplicita richiesta di somministrare farmaci in grado di lenire il dolore (cd. “cure palliative”), da applicarsi anche se il relativo impiego dovesse anticipare l’esito infausto.
Contestualmente l’istante designava, ai sensi dell’art. 408, comma 2°, c.c., come proprio amministratore di sostegno, la moglie e, in caso di indisponibilità di quest’ultima, la figlia, con l’incarico di manifestare tale volontà e richiedere, in caso di propria eventuale, futura incapacità, il rispetto delle disposizioni terapeutiche sopra citate.
La richiesta veniva poi depositata presso il Tribunale di Modena e sottoposta al Giudice Tutelare Guido Stanzani che, all’udienza del 3.11.2008, ascoltava il ricorrente e i familiari designati, conferendo loro la nomina di amministratore di sostegno con decreto rilasciato il successivo 5 novembre.
Punto di partenza delle argomentazioni del giudice modenese non poteva che essere il combinato disposto degli art. 2, 13 e 32 della Costituzione, posto ormai stabilmente a fondamento della “indefettibile regola per cui è precluso al medico di eseguire trattamenti sanitari se non acquisisca quel consenso libero e informato del paziente che è presupposto espressivo del suo diritto primario di accettazione, rifiuto e interruzione della terapia”. Recependo l’insegnamento della Corte di Cassazione, ormai consolidatosi sul riconoscimento del pieno diritto del paziente al rifiuto del trattamento medico, il giudice modenese afferma nuovamente la legittimità di tale rifiuto da parte dell’interessato “anche se tale condotta lo esponga al rischio di morte” (cfr. sentenza n. 23676 del 15 settembre 2008, sulla legittimità del diniego alle trasfusioni da parte dei Testimoni di Geova). Sul punto è sicuramente indicativo il riferimento alla discussa e storica ultima pronunzia della Suprema Corte sul caso Englaro, ovvero la n. 21748 del 16.10.2007 (cfr. gli arretrati del 17 e del 23 ottobre 2007 di questa Rivista), con la quale per la prima volta si affermava in maniera chiara la possibilità di interrompere i trattamenti di sostegno vitale (ritenuti trattamento medico a tutti gli effetti) in presenza di precisi presupposti, ovvero: a) l’irreversibilità dello stato patologico senza la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno e b) l’accertamento, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della volontà del paziente medesimo di interrompere il trattamento medico, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità e dal suo stile di vita.
Come sicuramente si ricorderà, la sentenza in questione, al pari della successiva pronunzia della Corte di Appello di Milano (decreto del 9.7.2008, est. Lamanna, pubblicata sul numero del 10.7.2008 di questa Rivista) che autorizzava Beppe Englaro a sospendere le terapie di sostegno vitale per la propria figlia, aveva scatenato una serie di polemiche nel mondo politico sul possibile travalicamento, da parte dei giudici di merito e di legittimità, della propria sfera costituzionale di attribuzioni. Tuttavia, nonostante fosse innegabile che le pronunzie sopra citate fossero state emanate in una situazione di vuoto legislativo pressoché assoluto, la Corte Costituzionale, investita della questione da parte delle Camere, riteneva insussistente il lamentato conflitto di attribuzione, non rilevando “la sussistenza nella specie di indici atti a dimostrare che i giudici abbiano utilizzato i provvedimenti censurati - aventi tutte le caratteristiche di atti giurisdizionali loro propri e, pertanto, spieganti efficacia solo per il caso di specie - come meri schermi formali per esercitare, invece, funzioni di produzione normativa o per menomare l’esercizio del potere legislativo da parte del Parlamento, che ne è sempre e comunque il titolare” (cfr. Corte Costituzionale, Ordinanza n. 334 dell’8.10.2008).
Tenendo ben presente la portata sicuramente innovativa di tali pronunzie, il giudice modenese traccia un quadro senza dubbio esauriente del dominante e recentissimo orientamento giurisprudenziale in materia di rifiuto/interruzione di trattamenti medici non richiesti (ivi comprese la nutrizione e l’idratazione artificiali), per poi affrontare, in maniera sicuramente innovativa, il tema della possibilità di applicare alle direttive di fine vita l’istituto, recentissimo, dell’amministratore di sostegno.
Introdotta con la legge n. 6 del 9.1.2004, la figura dell’amministratore di sostegno, attualmente regolamentata dagli artt. 404 e ss. C.c. ha profondamente rivoluzionato la disciplina codicistica in materia di incapacità delle persone fisiche, ponendo senza dubbio in secondo piano gli istituti, ormai desueti, dell’interdizione e dell’inabilitazione. L’amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare, ha infatti oggi il ruolo importantissimo di assistere colui che, privo in tutto o in parte di autonomia per effetto di una infermità fisica o psichica, si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, disponendo “per gli atti o per le categorie di atti per i quali si ravvisi l’opportunità del sostegno, la sostituzione ovvero la mera assistenza della persona che non sia in grado di darvi autonoma esecuzione”. La novella codicistica apportata dalla legge n. 6/2004 prevede altresì che “l'amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata” (art. 408, co. 2, C.c.).
La semplice lettura delle norme sopra citate rende assolutamente evidente come l’istituto in questione possa senza dubbio prestarsi a dare pieno riconoscimento giuridico a quelle direttive di fine vita, o testamento biologico che dir si voglia, che ad oggi ancora stentano a trovare un esplicito riconoscimento giuridico da parte del legislatore. La scrittura privata autenticata con cui un soggetto manifesta la propria volontà in ordine al rifiuto di determinate pratiche mediche, unitamente alla designazione “ora per allora” di un amministratore di sostegno avente il poter/dovere di manifestare ed attuare tale volontà nell’ipotesi di sopravvenuta incapacità, costituisce invero una strada giuridicamente ineccepibile per dare piena forza giuridica ad una volontà che spesso, in caso di bisogno, non riesce a trovare adeguata tutela. In questo, l’intervento e la supervisione del giudice tutelare costituisce senza dubbio un’ulteriore autorevole garanzia sia per l’interessato che per il medico che si trovi a doverne rispettare la volontà e che spesso, in passato, si è trovato schiacciato tra il dovere di salvare la vita del paziente e quello, antitetico, di rispettarne la volontà. Prezzo di questa maggiore tutela sono gli oneri ed i tempi di un procedimento giudiziale, ancorché breve, nonché una non del tutto implausibile ipotesi di “obiezione di coscienza” da parte del magistrato.
Parimenti evidente è come una simile soluzione possa risultare senz’altro farraginosa e di non facile attuazione, richiedendo necessariamente la presenza di un notaio per l’autentica della scrittura e di un avvocato per la successiva nomina da parte del giudice tutelare, ma, in assenza di una specifica normativa sul punto, appare comunque una strada, ancorché tortuosa, senz’altro percorribile. Per questo motivo il decreto in esame può senza dubbio porsi come leading case di una giurisprudenza che possa tutelare la volontà e l’autodeterminazione di chi, come il ricorrente modenese, per propri convincimenti morali, rifiuti di prestare il proprio consenso a trattamenti finalizzati alla rianimazione e/o a pratiche di sostegno vitale e richieda unicamente interventi finalizzati al lenimento del dolore. Sul punto il magistrato modenese precisa tuttavia che la richiesta di somministrazione di oppiacei “anche se essi dovessero anticipare la fine della vita” non possa essere accolta “perché il suo accoglimento demanderebbe implicitamente alla discrezionalità degli operatori l’illecito potere di forzare la naturale evoluzione del percorso biologico”. La posizione, almeno sulla carta, non può che essere condivisibile, sebbene non si possa fare a meno di evidenziare la concreta e reale difficoltà di verificare, nella pratica, quale sia “la naturale evoluzione del percorso biologico” e se, ed in quale misura, l’utilizzo di tali farmaci lenitivi del dolore possa effettivamente in qualche modo accelerare il decesso. Soprattutto qualora il quadro clinico del paziente risulti chiaramente compromesso, i confini della cosiddetta “medicina palliativa”, appaiono, infatti, estremamente sfumati al pari del confine con la tanto temuta e forse eccessivamente demonizzata eutanasia.
In ogni caso, va sicuramente ribadito come il decreto del giudice Stanzani sia sicuramente innovativo e degno di costituire un modello non solo per chi è interessato a dare un effettivo giuridico riconoscimento alle proprie direttive di fine vita, qualunque esse siano, ma anche per il Parlamento che si spera possa, dopo l’ennesima pronunzia giurisprudenziale in materia, anziché continuare a lamentare l’invasione della propria sfera costituzionale da parte della Magistratura, sopperire con un proprio provvedimento ad una lacuna normativa divenuta ormai insostenibile. Tribunale di Modena - decreto 5 novembre 2008
Giudice Tutelare Stanzani
In fatto
1. Con ricorso, depositato in data 14 ottobre 2008, Caio, rappresentato e difeso come da delega in calce all’atto introduttivo dall’Avv. Maria Grazia Scacchetti del Foro di Modena, ha chiesto la nomina di amministratore di sostegno per se stesso.
2. L’istante, dopo aver esposto di essere persona …. (età) …. laureata in …. (titolo di studio) ….; di svolgere la professione di …. (attività di lavoro) ….; di essere coniugato con Tizia da cui avuta l’unica figlia, Sempronia (età… maggiorenne); di essere in possesso di capacità piena di intendere e volere; ha precisato che il 17 settembre 2008, con scrittura privata autenticata nella firma dal Notaio dott. Giorgio Cariani di Modena (atto, prodotto, rep. n. ... racc. n. ... registrato a Modena il ... al n. ...) ha designato, ai sensi dell’art. 408, comma 2°, c.c., come proprio amministratore di sostegno la moglie (per il caso di sua “impossibilità di esercitare la sua funzione”, la figlia) con l’incarico di pretendere il rispetto delle disposizioni terapeutiche dettate con la scrittura stessa per l’ipotesi di propria eventuale, futura incapacità.
3. Il ricorso è stato sottoscritto, per presa visione, adesione e conferma, da Caia e Sempronia.
4. La scrittura in data 17 settembre 2008 è, per quanto qui interessa, del seguente, testuale tenore: “In caso di malattia allo stato terminale, malattia o lesione traumatica cerebrale, irreversibile e invalidante, malattia che mi costringa a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali che impediscano una normale vita di relazione, chiedo e dispongo di non essere sottoposto ad alcun trattamento terapeutico, con particolare riguardo a rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusione, terapia antibiotica, ventilazione, idratazione o alimentazione forzata e artificiale. Chiedo inoltre formalmente che, nel caso in cui fossi affetto da una delle situazioni sopraindicate, siano intrapresi tutti i provvedimenti atti ad alleviare le mie sofferenze, compreso, in particolare, l’uso di farmaci oppiacei, anche se essi dovessero anticipare la fine della mia vita.”.
5. Dopo aver argomentato in ordine alle ragioni giuridiche a sostegno delle istanze, il ricorrente ha chiesto che all’amministratore di sostegno vengano attribuiti, in suo nome e per conto, per il tempo di eventuale perdita della capacità autodeterminativa e sempre che, nel frattempo, non sia intervenuta manifestazione di volontà contraria, i poteri-doveri di autorizzazione alla negazione di prestare consenso ai sanitari a sottoporlo alle terapie individuate nella scrittura privata anzidetta nonché di richiedere ai sanitari coinvolti di porre in essere, nell’occasione, le cure palliative più efficaci.
6. All’udienza del 3 novembre 2008 sono stati interrogati il ricorrente, che ha ribadito le domande proposte con l’atto introduttivo, nonché la moglie e la figlia del medesimo, che hanno confermato la propria adesione piena alle richieste del rispettivo marito e padre, dichiarandosi disponibili all’assunzione del ruolo di amministratore di sostegno.
In diritto
A) E’ opportuno ripercorrere, in premessa, l’analisi già compiuta dal giudicante (Decreto Santoro in data 13 maggio 2008) in ordine ai principi di diritto operanti, allo stato dell’ordinamento, con specifico riferimento al ritenuto obbligo, ed alle relative modalità operative, di rispetto della volontà della persona incapace di intendere e di volere, che versi in uno stato vegetativo irreversibile, di non vedersi praticate dai sanitari, in adempimento dei loro vincoli professionali e deontologici aventi ad oggetto la salvaguardia della vita, terapie teoricamente salvifiche ma soltanto finalizzate, di fatto, a posporre la morte biologica.
B) Vanno prese le mosse da quelle norme della Costituzione che, consacrando, e dando tutela, a diritti primari della persona, individuano i principi che l’ordinamento vigente ritiene insuscettibili di negoziabilità.
Nella piena condivisione degli approfondimenti compiuti da Cass., 16 ottobre 2007, n. 21748, entrano in gioco, per tal via, gli artt. 2, 13 e 32 e l’ormai indefettibile regola per cui è precluso al medico di eseguire trattamenti sanitari se non acquisisca quel consenso libero e informato del paziente che è presupposto espressivo del suo diritto primario di accettazione, rifiuto e interruzione della terapia.
Si tratta di un “diritto (assoluto) di non curarsi, anche se tale condotta (lo) esponga al rischio stesso della vita” (così, di recente Cass., 15 settembre 2008, n. 23676) che, in quanto tale, è giocoforza che debba, e possa, esprimersi anche nella terza direzione (volontà interruttiva) perché improntato alla sovrana esigenza di rispetto dell’individuo e dell’intimo nucleo della sua personalità quale formatosi nel corso di una vita in base all’insieme delle convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che ne improntano le determinazioni (cfr. Cass., n. 21748 cit. del 2007).
Una volta ricordato, del resto, che tutte le norme costituzionali a presidio di diritti primari (l’art. 32 è fra queste) sono imperative e di immediata operatività senza che occorra, a questi fini, intervento alcuno del legislatore ordinario (sull’obbligo di rispetto del “generale vincolo del giudice alla legge” e, perciò e in primis, della Carta Costituzionale, cfr. Corte Cost. 8 ottobre 2008, n. 334), si impone la deduzione per cui rientrano nella sfera del diritto considerato rifiuto e volontà interruttiva di ipotetiche terapie salvifiche dal momento che il principio personalistico che lo permea a livello costituzionale esclude la possibilità di disattenderlo nel nome di un supposto dovere pubblico di cura proprio di uno Stato etico, peraltro ripudiato dai costituenti; in questo senso, e solo in questo, la corretta lettura del dettato costituzionale secondo cui “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”, dove l’intervento sociale si colloca in funzione della persona e della sua sfera autodeterminativa e non viceversa (ancora, Cass., n. 21748 cit. del 2007).
Né varrebbe eccepire che gli eventuali rifiuti ovvero le espressioni di volontà interruttiva di terapie che conducano, in ipotesi, alla morte configurerebbero fenomeni eutanasici.
Rigore logico impone di convenire che tutti questi casi esulano dalla fattispecie dell’eutanasia in senso proprio di cui si trova identificazione concettuale appagante, e regolamentazione, negli ordinamenti olandese e belga che legittimano interventi accelerativi del naturale percorso biologico di morte per la persona capace di intendere e di volere che, affetta da sofferenze insopportabili e senza prospettive di guarigione, chiede le venga praticato un farmaco mortale, se non in grado di autosomministrarselo, ovvero, ed è il c.d. suicidio assistito, di fornirglielo così che possa assumerlo.
In senso esattamente opposto, tutte le situazioni qui considerate si caratterizzano per il rispetto del normale percorso biologico sotto il profilo di non interferenza con il suo corso ovvero di suo ripristino, se forzatamente rallentato; nulla a che vedere, dunque, con l’eutanasia la cui essenza consiste nell’indotta accelerazione del processo di morte.
C) Fissati questi punti, si snoda la considerazione che rientrano nel diritto di autodeterminazione della persona al rispetto del percorso biologico naturale, diritto che allo stato dell’ordinamento è già compiutamente ed esaurientemente tutelato dagli artt. 2, 13 e 32 Cost., non soltanto i casi della persona capace che rifiuti o chieda di interrompere un trattamento salvifico, ma - come ha puntualmente chiarito Cass. n. 21748 cit. del 2007- anche quello dell’incapace che, senza aver lasciato disposizioni scritte, si trovi in una situazione vegetativa valutata clinicamente irreversibile e rispetto al quale il Giudice si formi il convincimento, sulla base di elementi probatori concordanti, che la complessiva personalità dell’individuo cosciente era orientata nel senso di ritenere lesiva della concezione stessa della sua dignità la permanenza e la protrazione di un stato vegetativo senza speranze di guarigione e, comunque, di miglioramenti della qualità della vita.
Residua un’ultima ipotesi: il caso dell’incapace che, trovandosi nello stato descritto, abbia lasciato specifiche disposizioni scritte di volontà volte ad escludere trattamenti salvifici artificiali che lo mantengano vegetativamente in vita.
Non si colgono critiche convincenti alla conclusione per cui, anche nella fattispecie, possa e debba valere - semmai a maggior ragione - il dovere dell’ordinamento al rispetto di una espressione autodeterminativa che null’altro chiede se non che il processo biologico si evolva secondo il suo iter naturale con l’ablazione di forzature e violenze di interventi tecnologici a null’altro finalizzati se non alla protrazione di una sopravvivenza inerte.
D) Con la legge n. 6 del 9 gennaio 2004 il legislatore italiano ha radicalmente rivisto la materia delle limitazioni della capacità di agire delle persone e, in luogo della già privilegiata tutela del patrimonio, della famiglia e dei creditori dei soggetti affetti da infermità di mente, ha stabilito, su un piano di ben più vasta portata sociale, che colui che, privo in tutto o in parte di autonomia per effetto di una infermità fisica o psichica, si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, ha diritto di essere coadiuvato da un amministratore di sostegno nominato dal Giudice Tutelare che, sulla base delle concrete esigenze dell’ausilio, disporrà, per gli atti o per le categorie di atti per i quali si ravvisi l’opportunità del sostegno, la sostituzione ovvero la mera assistenza della persona che non sia in grado di darvi autonoma esecuzione.
Più che di una riforma, si è trattato di una vera e propria rivoluzione istituzionale come tale riconosciuta, nella sostanza, dalle Corti superiori (Corte Cost., 9 dicembre 2005, n. 440; Cass., 12 giugno 2006, n. 13584; Cass., 9 dicembre 2005, n. 440), che ha confinato in uno spazio residuale gli ormai desueti istituti della interdizione e dell’inabilitazione; la prima ormai soltanto operante (art. 414 c.c.) se ritenuta (e dimostrata) necessaria per assicurare adeguata protezione all’infermo di mente.
In questa generalizzata logica garantistica dell’essere umano e delle sue esigenze di vita, salute, rapporti famigliari e sociali, si iscrive, e va letta, la disposizione del secondo comma dell’art. 408, comma 2°, c.c. come novellato dalla legge n. 6 del 2004: “L’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata.”.
La lettera della disposizione, la sua ratio, l’enunciazione, infine, nell’ambito di una disciplina tutta incentrata sulla tutela della persona e delle sue esigenze esistenziali, autorizzano e legittimano la constatazione che l’amministrazione di sostegno è, nell’attualità, l’istituto appropriato per esprimere quelle disposizioni anticipate sui trattamenti sanitari per l’ipotesi di incapacità che vanno usualmente sotto il nome di testamento biologico.
E la riduzione a sistema si completa, e si conclude, rammentando che la premessa maggiore dell’istituto processuale si identifica nel diritto sostanziale di cui agli artt. 2, 13 e 32 della Costituzione mentre gli strumenti per il cui tramite dare espressione alle proprie volontà sono l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata nominati, appunto, dall’art. 408, comma 2°, c.c.
E) Le riflessioni svolte fanno da supporto alle domande proposte dal ricorrente, supporto inteso nel senso della conseguente legittimità della pretesa per cui, dandosi un suo stato di incoscienza per malattia terminale o lesione traumatica cerebrale irreversibile, l’individuato amministratore di sostegno potrà, in suo nome e avvalendosi di una già ottenuta autorizzazione del Giudice Tutelare, negare il consenso a praticargli terapie di “rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusione, terapia antibiotica, ventilazione, idratazione o alimentazione forzata e artificiale”.
Una autorizzazione doverosa perché, se sarebbe improprio l’assunto che l’art. 32 della Costituzione dia tutela al diritto alla morte, non lo è la constatazione che la norma garantisce il diritto che il naturale evento si attui con modalità coerenti all’autocoscienza della dignità personale quale costruita dall’individuo nel corso della vita attraverso le sue ricerche razionali e le sue esperienze emozionali.
Quell’autocoscienza di personale dignità di cui il ricorrente, attraverso le disposizioni della più volte ricordata scrittura privata del 17 settembre 2008, enuncia alla collettività le proprie intime elaborazioni reclamandone il rispetto da parte delle Istituzioni; un rispetto il cui doveroso ossequio trae fondamento in quel nucleo di garanzie costituzionali dei diritti fondamentali della persona (artt. 2, 3 e 13 Cost.) che inibiscono alle Istituzioni stesse di opporre, in ipotesi, regole comportamentali di componenti della società a condotte destinate a restare circoscritte nella sfera personale dell’autore.
F) Dispone l’istante che non gli siano anche praticate, in ipotesi, alimentazione e idratazione forzate.
E’ una richiesta fondata che, sempre allo stato dell’ordinamento, non soffre di limitazione alcuna sul terreno della disciplina del contratto sociale vigente e delle disposizioni normative per il cui tramite si esprime.
In linea piena con le argomentazioni sul tema di Cass., n. 21748 cit. del 2007, va disconosciuta, infatti, agli specifici interventi la natura di cure meramente ordinarie.
Ne evidenziano, all’opposto, la caratterizzazione di trattamenti sanitari in senso proprio le constatazioni: (a) che le stesse sottendono elaborati studi scientifici, tant’è che non a caso si tratta di mezzi messi a punto dalla tecnologia soltanto da alcuni lustri; (b) che impongono l’intervento dei medici che, all’origine, sono i soli abilitati ad applicarli; (c) che hanno ad oggetto la somministrazione di composti allo stato liquido confezionati in laboratorio; (d) che si connotano, infine, per il duplice effetto della forzatura (d1) delle regole più elementari dell’autodeterminazione, se preventivamente espressa una contraria volontà della persona, e (d2) delle leggi della natura nel loro effetto di prolungare, sotto il primo profilo, la sopravvivenza del corpo inerte contro le determinazioni dell’interessato e di impedire, sotto il secondo, la fisiologica evoluzione di elementari percorsi biologici.
G) Passando, qui giunti, al terreno della vicenda, ritiene il giudicante che non sussistano ostacoli per l’accoglimento del ricorso e per la nomina, nella fattispecie e come amministratore di sostegno del ricorrente, della moglie del medesimo conferendo, sin d’ora e in via subordinata, l’incarico alla figlia qualora la prima si trovasse nell’“impossibilità” di ricoprire l’incarico; ciò che si giustifica essendo al presente non definibile il momento di concreta operatività del mandato.
La non attualità di questo momento non sembra possa essere elevato, del resto, a circostanza preclusiva della misura protettiva se si riflette sulle peculiarità del diritto coinvolto, sui potenziali pregiudizi dello stesso nonché sul regime giuridico dell’istituto dell’amministrazione di sostegno.
Quanto al primo aspetto, vale sottolineare l’incidenza probabilistica di eventi, non preannunciati né prevedibili ma con conseguenze lesive immediate e tali da porre la persona in uno stato vegetativo irreversibile: dall’ictus all’infarto del miocardio, dall’infortunio sul lavoro al sinistro stradale.
In tutte queste situazioni la mera esistenza di una scrittura confezionata ai sensi del secondo comma dell’art. 408 c.c. potrebbe essere inidonea, in concreto, a fornire effettiva tutela al diritto, primario e assoluto, della persona che rischierebbe di trovarsi sottoposta, per impossibilità del mandatario di ottenere in tempo reale il decreto di nomina dell’amministratore, alle terapie non volute ma doverosamente praticate dai sanitari, in esecuzione dei propri obblighi professionali e deontologici, in presenza di una situazione di pericolo per la vita.
Per non dire, sul piano ermeneutico, che assumere, nelle fattispecie, l’essenzialità del requisito dell’attualità, produrrebbe l’illogico cortocircuito di un’interpretazione abrogativa, nella più gran parte delle situazioni reali, proprio di quella lettura appropriata della norma che trae sostegno da tutte le considerazioni sin qui esposte.
E non varrebbe opporre che il lasso temporale, che non può escludersi anche notevole, fra il momento delle disposizioni e quello della loro operatività, ne devitalizzerebbe il significato a fronte di eventuali, intervenute evoluzioni della scienza e della tecnica.
L’obbiezione non avrebbe pregio perché ciò che rileverebbe, allora, negli stessi termini in cui rileva oggi, sarebbe la presenza del presupposto oggettivo (malattia irreversibile allo stato terminale) enunciato dal disponente e la cui verificata esistenza renderebbe irrilevante qualsiasi evoluzione di scienza e tecnica intervenuta nel frattempo nell’affinamento di terapie volte a prolungare la sopravvivenza del corpo.
Quanto al secondo aspetto e, cioè, al regime giuridico introdotto dalla legge n. 6 del 2004, vanno condivise le riflessioni della difesa del ricorrente nel richiamo ai disposti dei novellati articoli 404 e 406 c.c.
E’ la lettera stessa della prima norma (“La persona che … si trova nell’impossibilità ... di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare …”) a suggerire all’interprete che il legislatore ha individuato l’attualità dello stato di incapacità del beneficiario come presupposto per la produzione degli effetti dello strumento protettivo ma non anche come requisito per la sua istituzione.
Deduzione che appare coerente, del resto, a quella natura volontaria della giurisdizione in cui si colloca la nuova figura ed al relativo oggetto di gestione di interessi della persona coinvolta che porta in primo piano l’esigenza della più appagante tutela degli stessi.
L’art. 406 c.c. nell’attribuire, per parte sua, legittimazione attiva “allo stesso beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato”, fa intendere che, nella normalità dei casi (la congiunzione “anche” è rivelatrice), il ricorso può essere presentato da un soggetto con piena capacità di agire sicché, nel coordinamento col disposto dell’art. 408 c.c., costui può legittimamente lasciare disposizioni relative ai trattamenti sanitari, da praticare sul suo corpo, per l’ipotesi di incapacità.
H) L’accoglimento del ricorso comporta attribuzione dell’incarico a Caia, moglie del ricorrente, da reputarsi più che idonea per ricoprirlo; la peculiarità dei compiti demandati che, sotto il profilo operativo, sono incerti sia per l’an che per il quando, rende ragionevole nominare sin da ora, con le stesse attribuzioni e sempre in linea con la volontà del beneficiario, la figlia Sempronia che eserciterà le funzioni nel caso in cui, dandosi una situazione paterna quale descritta nella scrittura privata 17 settembre 2008, Caia non fosse in grado di ottemperare ai relativi compiti.
L’oggetto del’incarico consiste nell’attribuzione all’amministratore dei poteri-doveri di porre in essere, in nome e per conto del beneficiario, gli atti specificati in dispositivo la cui natura comporta che l’incarico stesso debba essere conferito per il tempo, determinato, necessario alla relativa realizzazione.
I poteri-doveri demandati in via sostitutiva andranno esercitati alla ferma condizione che il beneficiario non manifesti, qualsivoglia ne siano le modalità espressive, una volontà opposta a quella formalizzata nella scrittura 17 settembre 2008 quando ancora si trovi nel pieno possesso delle sue capacità cognitive.
E importa sottolineare l’indifferenza delle modalità formali della eventuale manifestazione futura della volontà perché primarietà e assolutezza del diritto in gioco inducono ad escludere il richiamo di limitazioni per analogia con altri istituti, tanto meno per via di interpretazioni estensive.
Nella dinamica giuridica della fattispecie ed in applicazione del disposto dall’art. 410, comma 1°, c.c. (“Nello svolgimento dei suoi compiti l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario”), altri non potrà ragionevolmente essere se non l’amministratore in carica, per il ricoperto ruolo di depositario di un mandato di estrema pregnanza fiduciaria, il solo soggetto legittimato a portare alla cognizione del Giudice Tutelare le mutate volizioni dell’interessato fornendo puntuali elementi di riscontro della intervenuta revoca di quanto a suo tempo disposto.
Ove revoca non vi sia, e dandosi le eventualità prefigurate nelle ricordate dichiarazioni scritte, dovranno essere rispettati gli intenti espressi risultando giuridicamente inconsistente l’obiezione di un possibile e non manifestato ripensamento all’atto del passaggio nello stato di incoscienza atteso che costituisce principio consolidatosi ab immemorabile nell’ordinamento quello per cui una volontà negoziale, in quanto tale idonea a produrre effetti giuridici, resta ferma fino a sua revoca.
I) Con le proprie disposizioni anticipate il ricorrente, oltre a disporre la donazione dei propri organi per trapianti, la cremazione della propria salma con dispersione delle ceneri in natura e l’esclusione di “funerale o altra cerimonia funebre”, prescrive, per quanto qui interessa, che nelle eventualità di sue malattie o lesioni traumatiche cerebrali irreversibili e invalidanti ovvero di malattie che lo costringano a trattamenti permanenti con macchine o sistemi artificiali impeditivi di una normale vita di relazione, la non adozione delle non volute tecnologie artificiali di sopravvivenza sia accompagnata da quella, positiva, di porre in essere “tutti i provvedimenti atti ad alleviare le mie sofferenze, compreso in particolare l’uso di oppiacei, anche se essi dovessero anticipare la fine della mia vita”.
Anche questa istanza è accoglibile, nella sua prima proposizione, perché in null’altro si traduce se non nel richiamare ai sanitari, in ipotesi coinvolti, l’obbligo deontologico su di loro gravante di apprestare alla persona in sofferenza le cure palliative più efficaci con la maggior tempestività ed incidenza consentite dallo stato della tecnica e dalla scienza.
Non lo è nella seconda proposizione, perché il suo accoglimento demanderebbe implicitamente alla discrezionalità degli operatori l’illecito potere di forzare la naturale evoluzione del percorso biologico.
Il Pubblico Ministero, notiziato, non è intervenuto all’udienza.
P.Q.M.
Nomina la Sig.ra Caia, nata a ... il ... e residente in omissis, ... e, sin da ora e per il caso che la medesima non sia in grado, per impossibilità fisica o psichica, di eseguire il mandato, la Signorina Sempronia, nata a ... il ... e residente in omissis ... amministratore di sostegno del Signor Tizio, nato a ... il ... e residente in omissis, ... con le seguenti prescrizioni: a) L’incarico è a tempo determinato: compimento degli eventuali atti sub b). b) L’amministratore di sostegno é autorizzato a compiere, in nome e per conto del beneficiario e per l’ipotesi che il medesimo versi nelle condizioni descritte nella scrittura in data 17 settembre 2007 senza aver revocato, con qualsivoglia modalità e rendendone edotto esso amministratore, le disposizioni con la stessa dettate, i seguenti atti: - negazione di consenso ai sanitari coinvolti a praticare alla persona trattamento terapeutico alcuno e, in specifico, rianimazione cardiopolmonare, dialisi, trasfusioni di sangue, terapie antibiotiche, ventilazione, idratazione e alimentazione forzata e artificiali;
- richiamo ai sanitari dell’obbligo di apprestare alla persona, con le maggiori tempestività, sollecitudine ed incidenza ai fini di lenimento delle sofferenze, le cure palliative più efficaci compreso l’utilizzo di farmaci oppiacei. c) Verificandosi le situazioni sub b) l’amministratore sarà tenuto a darne immediata comunicazione all’Ufficio del Giudice Tutelare relazionando, quindi, con tempestività e per iscritto, sull’evolversi della situazione, su ogni variazione delle condizioni di salute della persona che comportino l’esigenza di eventuali provvedimenti, sull’esito dell’espletamento del demandatogli incarico di sostegno. Decreto esecutivo per legge.
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