Genova, P.zza Verdi 4/4 - 16121

 
MANIFESTO PER UNA BIOETICA LIBERALE
 
E’ possibile nel nostro paese una bioetica liberale, una bioetica – intendo – che ponga deliberatamente al suo centro il valore dell’autonomia individuale, che riconosca una netta divisione tra sfera della morale e sfera della legge, che coltivi un autentico pluralismo etico?


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Osservazioni sul testamento biologico
Franco Manti
Il testamento biologico va considerato come un atto di libertà. Più che utilizzare il linguaggio dei diritti, andrebbe sottolineato come tale testamento possa costituire una possibilità di scelta. Scelta che non riguarda soltanto e, principalmente, un’eventuale eutanasia, quanto la destinazione dei propri organi o indicazioni su come ci si dovrebbe comportare in casi come lo stato vegetativo permanente o quale sia il limite che ognuno ritiene non valicabile per le cure “appropriate” che non travalichino nell’accanimento terapeutico.
Occorre sottolineare come tutto ciò dipenda dai significati che si danno alla propria esistenza e, di conseguenza, anche al dolore e al proprio venir meno. In tal senso, la morte si configura, veramente, come un episodio biografico inscindibile dalla vita che si è condotta e dai valori cui è stata informata.
Ogni nostra scelta e, in particolare quelle più drammatiche, hanno a che fare con le nostre pratiche dell’io ossia con processi di definizione dell’identità morale che da una parte non possono non risentire delle esperienze intersoggettive di ognuno, dall’altra si pongono come apertura all’imprevedibilità connessa con ogni esperienza. Sotto questo aspetto la nostra vita morale consiste nello scegliere in ogni situazione particolare ciò che siamo in grado di assumere come propriamente “nostro”. Alla luce di queste considerazioni ogni esperienza di vita e di morte è singolare e irripetibile, dunque ognuno di noi dovrebbe essere posto nella condizione, rispetto al testamento biologico, di scegliere ciò che per lui è più denso di significati evitando qualsiasi forma di paternalismo non autorizzato da parte di chiunque, medici, familiari, Stato. In tal senso, il testamento biologico, più che come diritto, si configura quale libera scelta che può essere posta in atto come no.
In ogni caso, ciò che andrebbe evitata è la burocratizzazione del testamento stesso attraverso moduli standard. Se il testamento è effettivamente un esito di un’esperienza di vita, una libera scelta, tale scelta deve essere esercitata con le modalità e le indicazioni che ognuno ritiene, per sé, più opportune.
Naturalmente un testamento biologico non deve vincolare il personale sanitario alla sua messa in atto indipendentemente dalle convinzioni del personale stesso. L’obiezione di coscienza deve essere posta come aspetto essenziale perché tutti possano esercitare la propria libertà di scelta in base alla visione del bene nella quale identificano il proprio agire morale.
Questo perché, quanto alle preferenze che ognuno di noi esprime, credo rimanga valida l’ampia caratterizzazione che ne dà K. Arrow: esse includono l’intero sistema di valori della persona nonché i valori relativi ai valori stessi. In altri termini, la scelta a sostegno del testamento biologico non può e non deve essere considerata come pura e semplice espressione di una sorta di selfinterest fondato unicamente sull’idea di qualità della vita. Le domande come <>, <>, <>, <> dovrebbero rimanere distinte (per quanto possano essere connesse).
Assumere a fondamento delle ragioni che giustificano la possibilità di dare valore legale a un testamento biologico una visione parziale della vita buona, oltre a essere politicamente assai discutibile, finirebbe per configurarsi come un’implicita limitazione della libertà di pensiero, proprio quella libertà che i fautori del testamento biologico invocano a sostegno della loro posizione.
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