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MANIFESTO PER UNA BIOETICA LIBERALE
 
E’ possibile nel nostro paese una bioetica liberale, una bioetica – intendo – che ponga deliberatamente al suo centro il valore dell’autonomia individuale, che riconosca una netta divisione tra sfera della morale e sfera della legge, che coltivi un autentico pluralismo etico?


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Pre Festival di Bioetica 2024

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Gli incontri registrati

Video incontri e convegni dell'Istituto Italiano di Bioetica

Video incontri e convegni dell'Istituto Italiano di Bioetica

 

Bozza di valutazione iniziativa referendaria

Raffaello Morelli

Segretario della Federazione dei Liberali Italiani

(Affiliato all'Internazionale liberale)

La legge sulla fecondazione medicalmente assistita è già stata definita da scienziati, medici e giuristi una legge oscurantista, che in un colpo solo umilia le donne, impedisce la ricerca avanzata, condanna definitivamente una moltitudine di malati in attesa sulla nuova frontiera della medicina.
Umilia le donne perché, in caso di fecondazione dell’ovulo, le obbliga all’impianto nell’utero, le spinge di fatto all’aborto in questa come in altre circostanze e le sottopone a rischi crescenti contrari alla deontologia medica.
Impedisce la ricerca avanzata perché vieta la sperimentazione sugli embrioni soprannumerari e perfino lo studio del trapianto di cellule somatiche in ovuli privati dei nuclei originari, donati volontariamente da donne, studio già previsto dal Rapporto della Commissione presieduta dal Premio Nobel Dulbecco, che addirittura evita la formazione dell'embrione e quindi di toccare problemi più direttamente etici e che, applicato in Corea, di recente ha consentito di ottenere cellule staminali progenitrici da differenziare verso le linee cellulari e i tessuti.
Condanna i malati perché, oltre ad escludere dalla procreazione assistita le coppie portatrici di patologie genetiche trasmissibili, preclude la via italiana alla clonazione terapeutica suggerita dal Rapporto Dulbecco e con essa la possibilità di costruire le basi di nuove terapie per la cura di milioni di italiani affetti da patologie gravissime attualmente in gran parte inguaribili.
Inoltre, la legge sulla fecondazione medicalmente assistita confligge con gli articoli 3, 9, 32 e 33 della Costituzione della Repubblica che inquadrano la pari dignità sociale del cittadino, lo sviluppo della ricerca, la tutela della salute, la libertà della scienza.
Purtroppo tutto questo non è ancora tutto. Questa legge è il sintomo inequivoco di una nuova minaccia ai criteri di fondo della nostra libera e pacifica convivenza. Contro l’autonoma responsabilità del cittadino e contro la sua libertà, stanno crescendo forze potenti che ancora una volta, per paura del nuovo e del cambiamento, vogliono imporre la visione chiusa di un’autorità statale superiore che indirizzi le scelte di vita di ciascuno di noi, fissando ciò che è lecito e ciò che non lo è. E’ tempo di divenirne consapevoli. E dunque di reagire presto. La richiesta di abrogare la legge sulla procreazione assistita chiama a mobilitarsi per ottenere una legge diversa che ribalti il criterio ispiratore della legge attuale: il cammino della conoscenza, delle cure, dell’emancipazione femminile, vanno proseguiti e non bloccati, anche se solo inconsapevolmente.
La via maestra per farlo non sono le decisioni di una qualsiasi autorità, è l’affidarsi alla responsabilità dei ricercatori, dei medici, delle coppie e al libero confronto dei cittadini. Questa via maestra non è il Far West dell’assenza di regole. E’ la via di regole non dogmatiche che non mortifichino nessun punto di vista né precostituiscano la verità fattuale per via legislativa.
Il vero motore della conoscenza e dell’evoluzione umana sono la piena legittimità del pluralismo dei valori, del confronto delle idee e della pratica sperimentale. Che non devono essere accantonati proprio quando si tratta di affrontare materie e problemi che, al di là delle persone più direttamente interessate, toccano nel profondo le prospettive di vita di tutti e anche i rapporti di interazione con le altre specie e la natura circostante. Al contrario, devono essere agevolati e promossi. La storia insegna che apertura e discussione sono indispensabili per poter conoscere di più. E che conoscere di più è essenziale per poter progressivamente liberare l’umanità dalla sofferenza, che ieri era infinitamente più grande e più diffusa di oggi e che oggi è più grande e più diffusa di quanto potrà esserlo un domani.
Tutta la storia è segnata dalla lotta dell’essere umano contro l’ignoranza e contro la paura, contro la superstizione e contro l’occulto, nel continuo sforzo di spiegare e di capire la natura trovando significati nuovi per il rapporto tra ambiente, esseri viventi ed umanità. Questo grandioso meccanismo evolutivo ricorre sempre di più, e sempre più intensamente, agli apporti di miliardi di individui, ciascuno a suo modo e nel suo tempo, e viene ostacolato, rapidamente soffocato e fatto involvere tutte le volte che si pretende di sostituire il metodo di questi apporti, frutto di secolari elaborazioni, con qualche autorità, singola, corporativa, di censo, di classe, etnica, militare, religiosa o comunque circoscritta, che abbia il compito di definire per tutti il vero e il falso, il bene e il male, il giusto e l’ingiusto, permessi e divieti. L’essenziale è garantire alla convivenza regole aperte che consentano questi distinti apporti individuali, che sono imprescindibili e decisivi, innanzitutto nel campo delle biotecnologie, delle scienze umane e della morale, per individuare i possibili rischi, per dissolvere irragionevoli timori, per impedire abusi e per costruire sperimentalmente nuovi diritti e benefici a favore dell’umanità intera.
Non si deve ripartire da zero. Lo strumento esiste ed è stato pensato ed avviato già prima di noi : è la laicità delle istituzioni. Un principio che è il cuore di un’organizzazione della convivenza che guarda al futuro e vuol basarsi sul cittadino di una società multirazziale e multireligiosa e di un mondo che ha bisogno di più conoscenza per migliorare la condizione di un numero sempre maggiore di persone. Il principio della laicità delle istituzioni è essenziale nella cultura della diversità e non è riducibile a fattore statico senza contraddirlo. Deve essere adeguato di continuo alla mutevole realtà e dunque dibattuto per individuare meglio le necessarie regole aperte.
Purtroppo, in Italia il dibattito sulla laicità delle istituzioni è stato soffocato, oltre che dagli avversari di principio, da ampi settori laico progressisti che per anni hanno predicato il presunto anacronismo della separazione tra politica e religione in campo istituzionale. Questa separazione, lungi dall’essere questione anacronistica, è il cardine della possibilità di produrre regole aperte della convivenza. E senza questo dibattito diffuso sulla laicità è arduo arrivare a leggi liberali sulla fecondazione e su molti altri aspetti di una libera convivenza quotidiana tra cittadini responsabili.
Il principio della laicità delle istituzioni non significa affatto richiamarsi all’ateismo di stato o all’agnosticismo. Al contrario, è il presupposto per avere leggi che, a prescindere dall’essere il legislatore personalmente credente o non credente, privilegino la libertà di scelta per il cittadino. In una società multireligiosa, questo principio costituisce l’unica e solida garanzia di pacifica convivenza, che è cosa ben distante dall’ecumenismo conformistico di chi, purtroppo anche in ambito istituzionale, si ingegna di fare della religione una bandiera utilizzata a fini politici, magari senza neppure credere. In Italia, su questo terreno, si corre un reale pericolo di regresso, come testimonia il forte sostegno mediatico alla tesi assurda del crocifisso quale simbolo dell’identità italiana al posto del tricolore.
Il principio della laicità delle istituzioni significa solo impedire che una fede venga trasformata in fonte legislativa e i precetti di un credo, religioso o d’altro genere, in obblighi civili. Quando si legifera, specie in materie di alto rilievo etico, sono in gioco le grandi questioni politiche della convivenza e l’unica e vera libertà di coscienza da sostenere è quella del cittadino. Certo, il legislatore ha il pieno diritto – nella sua coscienza - di non volere una società organizzata sulla libertà di coscienza di ogni cittadino. Ma deve essere chiaro che chi nega la laicità delle istituzioni, magari per interessi di altra natura, e affida allo Stato moralità e scelte di vita, attenta ad aspetti essenziali della libertà del cittadino.
Le regole non dogmatiche e aperte dello Stato Laico corrispondono alla consapevolezza della distinzione tra norme giuridiche e principi morali, necessariamente impositive le prime e volontari i secondi. E quanto più le culture, i valori e i principi morali sono molteplici, differenziati, in evoluzione, potenzialmente conflittuali, tanto più è decisivo che l’imposizione della norma giuridica sia ridotta al minimo necessario per consentire la convivenza senza impedire l’esercizio della cosciente scelta individuale. La legge, più che definire rigidamente, deve favorire l’insorgere di comportamenti responsabili influenzati dal confronto tra opinioni differenti, a livello di specialisti così come di cittadini comuni, in modo che l’autonomia e la libertà di scelta del cittadino siano il più ampie possibili, specie sulle scelte morali, di qualità della vita, di accesso alle terapie e di tecniche riproduttive.
Solo così può essere dato da ciascuno, nella sua uguale dignità, l’apporto critico alla conoscenza e al confronto tra le diverse possibili vie percorribili, nei diversi campi, da quello medico, a quello civile, a quello religioso. Solo così può diffondersi anche una coscienza morale progressivamente condivisa e fondata su valori contrastanti. Sulla laicità delle istituzioni, la sola struttura che consente questa piena libertà di coscienza del cittadino, non vi è contrapposizione tra credenti e non credenti. La contrapposizione è tra politiche conservatrici (che asservono anche la religione alle loro paure demagogiche verso la scienza e verso il crescente potere delle donne) e politiche laico liberali ( con il loro ottimismo di fondo sulla capacità del cittadino, senza distinzione di genere, di razza, di religione, di fare le proprie scelte e trovare la propria via).
Non puntare sulla laicità delle istituzioni equivale a chiudere la società italiana non solo al suo interno ma anche all’esterno. Una insufficiente laicità delle istituzioni conduce ad una ricerca ingabbiata, particolarmente su quelle biotecnologie, che, oltre ad essere una delle frontiere più promettenti della scienza, in altri paesi consentono importanti ricadute economiche e sociali e un potenziale miglioramento della qualità dell'ambiente e dell’igiene per popolazioni più arretrate. Così, ingabbiare la ricerca, vuol dire votarsi all’isolamento internazionale, al declino scientifico ed economico, alla rinuncia di contribuire a far crescere la salute mondiale.
Non puntare sulla laicità delle istituzioni significa chiudere gli occhi sul fatto che la pretesa di un’autorità di ìmporre un’etica comportamentale ai cittadini è il punto di avvio di ogni fondamentalismo. I fondamentalismi non sono una religione né un fatto religioso. Sono un disegno politico che, attraverso un messaggio sul senso ultimo delle cose e della vita, punta ad asservire l’individuo e ogni sua facoltà critica e creativa, respingendo la conoscenza secondo ragione, politicizzando il culto e instaurando il dominio della comunità dei fedeli e degli obbedienti. La laicità delle istituzioni è la via corretta e possente per tagliare alla radici la logica e le premesse dei fondamentalismi.
Impegnarsi per l’abrogazione delle parti più aberranti della legge sulla procreazione medicalmente assistita è il modo più coinvolgente di sanare una ferita inferta alla concezione laica dello Stato. E insieme è l’occasione importante di mobilitarsi per rilanciare il principio della laicità delle istituzioni, dibattendone il significato e chiedendone a tutti, specie a chi ci governa e all’opposizione che vorrebbe governarci, un rispetto completo fatto di comportamenti coerenti e conseguenti.

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