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MANIFESTO PER UNA BIOETICA LIBERALE
 
E’ possibile nel nostro paese una bioetica liberale, una bioetica – intendo – che ponga deliberatamente al suo centro il valore dell’autonomia individuale, che riconosca una netta divisione tra sfera della morale e sfera della legge, che coltivi un autentico pluralismo etico?


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Pre Festival di Bioetica 2024

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Video incontri e convegni dell'Istituto Italiano di Bioetica

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Francesco Esposito e Felicia Accardo

I SISTEMI SANITARI SONO IN CRISI?

(lezione tenuta al Corso di Perfezionamento in Bioetica II livello, Napoli 10/06/03)

“La Filosofia senza la scienza non ha parole per rappresentare il mondo”

(A.Einstein)

Premessa
In un mondo impregnato dall’ideale strumentale della “scienza” il sistema sanitario crea incessantemente nuovi bisogni terapeutici. L’offerta di sanità aumenta, la gente (i cittadini) reagiscono richiedendo maggiori disponibilità di servizi in relazione ai propri bisogni, alle proprie malattie.
Nei paesi sviluppati, dunque, l’ossessione di una “salute perfetta” è divenuto fattore patogeno predominante. Il progresso deve porre fine alle sofferenze del corpo, mantenere il più possibile la freschezza della gioventù e prolungare la vita all’infinito, quindi, totale rifiuto della vecchiaia, del dolore e della morte.
Ma questo disgusto dell’arte di soffrire è la negazione stessa della condizione umana.
“Se sei malato vieni e ti guarirò, se non potrò guarirti ti curerò, se non potrò curarti ti consolerò”. Era il codice guida del più antico ospedale di Parigi: l’Hotel Dieu. Cosa rimane di questa missione?
Il contesto sociale è indubbiamente cambiato e così le problematiche operative. La tecnologia progredisce, ma diviene più complessa e costosa.
Le esigenze dell’uomo comune verso la sanità divengono sempre più imperiose.
Si determina l’idea che la salute sia una base comprabile. La fiducia viene sempre più riposta nel responso della macchina, piuttosto che nel parere del curante.
Il rapporto interpersonale fra malato e curante viene sempre più relegato in tempi brevi e posto gerarchicamente in seconda linea. Sembra appartenere alla storia remota il fatto che il medico sia la prima medicina per il malato sofferente.
Un fattore non trascurabile è il costo della sanità odierna. In effetti, non è concepibile rispondere a tutte le esigenze della società, anche le meno realistiche, che d’altra parte vengono alimentate da una concezione mercantile della medicina riassumibile nel concetto che le apparecchiature costano e pertanto devono lavorare e rendere.
Così si apre la porta all’abuso.
In questo scenario l’Ospedale viene sostituito dall’Azienda Sanitaria.
Il processo di “aziendalizzazione” dovrebbe consentire di ripartire meglio le risorse, e nel contempo rispettare i diritti minimi, fondati sul principio della stessa opportunità, offerta alla persona umana. Questa è la meta del lavoro degli uomini di buona volontà: siano essi amministratori, medici, infermieri, volontari.
Tutto ciò, ancora oggi fermo sugli aspetti della fissazione di principi e sulle sperimentazioni gestionali, non può essere valutato attraverso preconcetti, e alfine, si può pensare che la responsabilità della “malasanità” sia “il mercato”? e cosa dire sull’ allocuzione solo l’uomo può rendere un’impostazione buona o cattiva?
Occorre che lo sviluppo dell’etica della sanità cammini di pari passo con la crescita del progresso tecnologico.
E così l’idea di appropriatezza, almeno nel nostro paese, insieme a quello di evidenza, di efficienza, di obiettività, diventano le nuove “ragioni tecniche” che contendono alla medicalizzazione la libertà di esercitarsi, al punto che l’inserimento nei procedimenti clinici del limite economico come vincolo, di fatto, conduce a fenomeni inediti “di demedicalizzazione”.
La famosa lotta agli sprechi, alle inutilità, alle improprietà, ma anche i DRG, i criteri per l’appropriatezza, l’EBM, l’EBMP, le note limitative, gli incentivi alle prescrizioni più economiche, le linee guida, i protocolli diagnostici etc., si possono considerare, sotto un certo aspetto, come atti di demedicalizzazione volti a tagliare quote di medicina considerate (a torto o a ragione) superflue e ingiuste.
Le politiche di razionamento, implicite ed esplicite, che si sono applicate sono sostanzialmente politiche di demedicalizzazione senza che tuttavia siano state sostituite da altre politiche per la salute ( eccetto la ricerca e la statuizione di principi equitativi ). E’ proprio in questo confuso panorama propositivo che vediamo contrapporsi la “medicina della scelta” alla “medicina amministrata”.
Una medicina – come sottolinea I. Cavicchi - nasce nel momento in cui si toglie al medico e alla medicina la titolarità della valutazione sulla necessità clinica.

La Salute
La Persona e la Società e i suoi modelli di Salute.
Il concetto di salute e ancor più quello “di benessere” hanno fatto un salto qualitativo, cambiando forma, invocando sinergie sociali ed economiche.
Le “forme” della prevenzione, delle cure, della riabilitazione sono prevalentemente “secolarizzate”.
La “missione” di curare e di consolare non fa più riferimento alla “caritas”, ma al mercato, sia esso quello ispirato dalla concorrenza, dalla competitività che si gioca tutta, appunto, nel mercato della formazione di prodotti e servizi e ai business di riferimento e al Mercato del lavoro per dare davvero forma alle professionalità necessarie, dal medico al sociologo, dall’infermiere al riabilitatore, dall’animatore sociale alle ludoteche negli ospedali di bambini, al cuoco, al gestore di servizi sociali.
Da quest’ultimo punto di vista grande ruolo stanno giocando le imprese del terzo settore che, da noi, sono prevalentemente organizzate per i servizi alle persone.
Ciò non deve indurci a pensare che si è persa l’etica e la carità verso le persone sofferenti.
Anzi, proprio perché l’esigenza di modernizzazione è diventata più pressante e i rapporti sociali non sono più basati sull’impermeabilizzazione classiste, gli operatori vedono arricchita la loro professionalità e il loro modo di relazionarsi con il paziente che viene considerato nella sua qualità di cittadino, di contribuente, oltre che di persona il cui diritto alla salute e al benessere è sancito e riconosciuto costituzionalmente.
Negli ultimi decenni gli studi sulla salute e sulla malattia sono andati sempre crescendo e hanno interessato non solo le discipline mediche, psicologiche ed economiche, ma anche quelle sociologiche, antropologiche, politiche e religiose.
La ragione di ciò consiste nel fatto che sembra acquisita la presa di coscienza che la salute è in termine polisemico che indica qualità, capacità, o esiti di processi interni ai corpi dei processi di evoluzione dell’identità personale, dei rapporti che l’individuo intrattiene con i suoi simili,col mondo e con le “forze cosmiche” variamente identificate.
L’idea di salute da perseguire, quindi, è quella di un equilibrio tra diverse componenti che formano una totalità inscindibile per il benessere della persona: la componente fisica, mentale, emotiva e spirituale.
Quest’idea di salute (ritrovabile nel Corpus Hippocraticum e nel pensiero di Aristotele) è una concezione solistica della salute attenta alla globalità della persona.
Accanto a questa idea, però, permangono forme di rappresentazione della salute che si “guasta” con la malattia e di conseguenza, “guasta” la persona.
La persona ammalata è una “macchina guasta” che può essere scomposta e riparata nella parte che non funzione più. La stessa evoluzione della professione medica nella direzione delle singole specializzazioni può creare problemi ad una concezione olistica, che, come si diceva, tiene conto di tutta la persona.
Il limite del modello bio-medico scientista, basato sul metodo positivo, dell’osservazione dei fatti e la formulazione di leggi suggerite dai fatti stessi, ha dato un forte impulso alla sperimentazione, alla ricerca biologica e farmaceutica, alle cure specialistiche e all’uso di strumentazioni sempre più complesse.
Il limite del modello è rappresentato dal fatto di avere spostato l’attenzione del medico dal paziente alla malattia.
Reagendo a tale modello bio-psico-sociale, secondo il quale :“la medicina dovrebbe adottare un inquadramento diagnostico sistemico, inclusivo di vari livelli disciplinari gerarchicamente organizzati, per affrontare una catena di sub-sistemi: dalla cellula all’organismo biologico umano, alla persona, alla famiglia, alla società più ampia (Ardigò 1997).
Già attraverso il Piano Sanitario ’94-96 il Min. della Sanità si propone:
ridurre l’abuso dei farmaci
evitare le ospedalizzazioni non necessarie
fare un uso dei test diagnostici
contenere gli interventi chirurgici, ecc
e ancor oggi si stanno dibattendo queste problematiche.
Ciò testimonia quanto sia ancora lontana la pratica della elaborazione teorica che da vari decenni cerca di contrastare il processo di medicalizzazione della vita.
Ivan Illich in “Nemesi medica: l’espropriazione della salute”, dirige le proprie critiche contro i grandi sistemi ospedalieri per i loro effetti iatrogeni e disumanizzanti e perché sono l’espressione più visibile di un processo di medicalizzazione della vita, basato sull’uso dei test, dei farmaci, ricette e tecnologie mediche varie.
Afferma Illich: “ Oltre una certa intensità critica, la tutela istituzionale della salute equivale ad una negazione sistemica della salute.”
Il rapporto che conta, quindi, è quello tra uomo e ambiente che lo circonda.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, con il Convegno tenuto ad Alma Ata, nel suo programma “Health for All by the year 2000” sottolinea per la salute:
l’importanza degli stili di vita;
la rilevanza del problema ambientale;
la necessità che sia l’individuo artefice del proprio benessere in un contesto familiare e di un mondo vitale che ne potenzi le capacità.
La salute viene, quindi, concepita non più come “stato” cioè come qualcosa di “dato” ma come un processo in divenire, cioè la conquista (o riconquista) continua di una condizione che deve fare i conti anche con la sofferenza e la malattia, viste non più come aspetti da esorcizzare, ma come segni che possono aiutare a trovare modi nuovi e migliori di agire e occasioni che servono a chiarire la direzione della propria vita.
Si sottolinea, allora, il fatto (Robertson) che la salute è il frutto di una assunzione di responsabilità sociale e personale.
Si propone uno scenario ecologico-promozionale, caratterizzato dalla formazione di ambienti di vita quotidiana e soddisfacenti per le persone che li abitano.
Lo scenario ecologico-promozionale pone, inoltre, l’accento su un sistema di cure che viene perseguito con una sinergia di diversi fattori:
lo Stato con le sue istituzioni;
il Mercato con i servizi a pagamento;
il Privato Sociale con i servizi di volontariato e di associazionismo-no profit;
le Reti informali di aiuto sia parentale che amicale che di vicinato .
Questo modello mette dunque al Centro l’individuo unitamente alla sua famiglia come attori sociali e responsabili primari della gestione della loro salute.
Si è preso coscienza della complessità della salute e dell’esigenza di portare attenzione alle diverse sue dimensioni, per ricercare un equilibrio e un rapporto positivo con l’ambiente (fisico e umano) che sia frutto di diverse risorse, responsabilizzando sia l’individuo (e la sua famiglia) che la Società nella sua forma istituzionale e civile.
Ci si è resi conto che gli interventi a sostegno del malato (e della su famiglia) devono essere finalizzati ad aumentare la sua capacità di far fronte agli stress e di programmare e gestire in modo autonomo la sua vita e quindi anche la sua salute (nel rispetto degli interessi della collettività(principio di sussidiarietà)
Proprio l’idea di salute come processo porta a sottolineare l’importanza di mettere in atto azioni promozionali, oltre che preventive.
A questo proposito può essere utile precisare che prevenire indica una sfida contro qualcosa di noto, il quale può essere affrontato ed evitato.
Promuovere, invece, indica una procedura per cammini sconosciuti, inglobando gli ostacoli che si incontrano e che producono un mutamento in colui che li affronta.

Economia delle scelte, economia degli interventi.
E’ indubbio che la salute, nel senso del mantenimento dello stato di benessere psico-fisico del nostro organismo, aggiunto al tentativo di allungamento della nostra esistenza, sia, forse dalla nascita stessa degli esseri umani nella loro forma primordiale, uno degli interessi prioritari, o quantomeno, uno dei comportamenti di base del nostro esistere.
Se esso sia un atteggiamento costitutivo, genetico (istinto di sopravvivenza e di affermazione della specie ), o frutto della razionalità derivante dall’evoluzione stessa, pur in presenza di uno storico e vasto dibattito, non vi è ancora certezza matematica.
Il nostro modello di vita è complesso. Esso è costituito da azioni ed interazioni tutte finalizzate all’individuale bisogno di affermare la propria soggettività. Tale affermazione si incontra, ed a volte (quasi sempre nell’attuale stadio dell’evoluzione sociale ) si scontra con il gruppo nel quale condividiamo sorte, interessi e risorse.
Il perseguimento dell’obiettivo salute (quale sopravvivenza e mantenimento dello stato di benessere) si correla, e spesso si confonde, perché di fatto interdipendenti fra di loro, con gli altri, elementari bisogni ancestrali; bisogni insorti, forse, proprio nel momento in cui il singolo ha trovato necessità e conforto nell’unione di gruppo, quali, ad esempio, la conservazione della specie, anche a costo di evidenziarne all’eccesso le differenze fra gli individui e protendere nella ricerca del predominio di uno sull’altro.
E’ in questo contesto, cioè, da quando si supera il primo stadio evolutivo della ricerca del benessere fatta in solitudine, e, per quanto concerne la salute fisica, da quando ci si separa dal comportamento dell’automedicazione per il superamento delle crisi di salute, che interviene il concetto di economia. Economia nel senso di studio delle regole e dei comportamenti finalizzati all’appropriato uso delle risorse disponibili, allo sfruttamento delle stesse, alla individuazione dei meccanismi di distribuzione in ambito collettivo.
La ricerca del benessere ha un prezzo. Un prezzo non sempre quantificabile con le forme di valore oggi conosciute e facilmente fungibili ( denaro, moneta ). Esso è costituito dalla ricerca ed impiego delle risorse necessarie al superamento delle crisi di salute. Risorse non certo illimitate e anche se esse lo fossero, lo stesso sistema di manipolazione e di distribuzione costringerebbe, comunque, alla individuazione di sistemi organizzativi, finalizzati al loro utilizzo, che inevitabilmente genera scelte, e le scelte hanno un prezzo che viene sostanziato dal presupposto che ognuna di esse comporta inevitabilmente aspetti, circostanze, azioni, interventi, non scelti (si veda Pareto ).
Dalla nascita, quindi, della società complessa, da quando cioè l’uomo sapiens sapiens, ha scoperto che il coinvolgimento dei propri simili avrebbe contribuito al miglior uso (in termini di sfruttamento) delle risorse e, pertanto, al diffuso soddisfacimento dei bisogni, che nascono le riflessioni sulle regole da ricercare per la gestione del fenomeno, ma, anche su quanti, e quali partecipanti al consesso collettivo ne avrebbe potuto usufruire. Alcuni filosofi (da Ricardo, Mill, etc.) si trasformano in fautori o precursori dell’odierna economia.
Può apparire che queste nostre prime argomentazioni ci allontanino dall’oggetto del nostro discutere. Ma ritengo che ogni aspetto del nostro vivere quotidiano abbia origini remote e che la ricerca e il tentativo di comprensione di tali origini sia utile, addirittura necessario, per la comprensione e la risoluzione dei contemporanei problemi.
Bene, si parlava di salute e di economia della stessa. Ma gli aspetti economici entrano in gioco nel momento in cui la soddisfazione della richiesta di aiuto si trasforma da comportamento individuale – l’uomo di prima esistenza provvedeva all’automedicazione basata sulle proprie conoscenze e su quelle tramandate, oppure, se insito nelle proprie possibilità, si rivolgeva al detentore delle artigianali conoscenze : Stregone, Sciamano, Cerusico, etc. – ad impostazione di un vero e proprio sistema.
Non è indispensabile, a mio avviso, correlare l’analisi e valutazione dei costi di produzione alla nascita di un sistema sanitario (creazione dei così detti Servizi Sanitari Nazionali ),certo la circostanza, abbastanza recente come esperienza, rafforza l’uso delle scienze economiche, ma ritengo che già laddove un gruppo di interesse, fosse anche meramente umanitario, individua la necessità di organizzarsi per dare una risposta ad una richiesta di aiuto scatta un processo di tipo economico (sotto il profilo matematico, filosofico, etico) nel senso in cui oggi lo intendiamo (risorse, investimenti, scelte).
Ma ciò che oggi ci coinvolge è la riflessione sugli ormai acclarati sistemi collettivi di produzione sanitaria occidentali, sulla loro appropriatezza, efficacia, equità, e perché no, la loro efficienza.
Come incontro didattico darei inizio alla nostra riflessione con una breve descrizione ( tratta da Ashton, dell’Università di Liverpool) sulle fasi, sotto il profilo degli obiettivi produttivi, dell’evoluzione della sanità pubblica tra il 1840 agli inizi degli anni ’90. Fasi che, comunque, hanno tutte un risvolto sul modello economico di origine o indotto ( inteso quale valutazione degli effetti indotti dalle scelte del modello di assistenza sanitaria). Pertanto, il momento successivo sarà quello di riflettere sulle motivazioni per le quali si discute di economia sanitaria, per aggiungervi le sostanziali differenze che intercorrono fra i due principali filoni di implicazione dell’economia stessa, quali l’aspetto macroeconomico (scelte sociali) da quello microeconomico (scelte soggettive o del piccolo gruppo) tutto rivolto alle modalità di produzione del momento assistenziale. Nella valutazione degli aspetti macro e microeconomici, anche se legati a momenti di riflessione diversi, hanno, comunque in comune due fenomeni comportamentali quali: le scelte etiche (sul cosa, sul perché ed il per chi) e sui valori individuali, i valori morali soggettivi.
E’ possibile, secondo Ashton, distinguere quattro ere nelle quali collocare i modelli sanitari occidentali:
l’era sanitaria
Questa prima fase ebbe inizio nelle città industrializzate, dove le condizioni di povertà, in cui versavano gli appartenenti alla classe lavoratrice imponevano uno spaventoso pedaggio di malattia e di morte. La migrazione di una larga fascia di contadini aveva rappresentato il maggior fattore di crescita delle città, con lo sconvolgimento ecologico di un modo di abitare prevalentemente rurale sostituito da insediamenti urbani in cui, brulicanti masse di umanità, vivevano in condizioni di estremo disagio e squallore. Il costo derivante dall’elevato tasso di mortalità e morbilità indussero alla scelta dei primi interventi pubblici in materia sanitaria, che si posero accanto ai già preesistenti modelli umanitari.
L’era della prevenzione individuale
Dopo il 1870 circa, l’approccio rivolto all’impostazione di un primo intervento di sanità pubblica, viene soppiantato da un orientamento più individualistico, imperniato sulla scoperta dei germi come causa di malattia e sulle possibilità offerte dalle allora recenti scoperte sull’immunizzazione e vaccinazione. A tali interventi si associarono altri di carattere sociale quali: i servizi sanitari scolastici e di comunità, l’istituzione di mense scolastiche gratuite, e la costituzione di enti di assistenza sociale e mutualistica. Ciò ha comportato il crescente coinvolgimento dello Stato nell’assistenza sociosanitaria tramite la creazione di servizi clinici e ospedalieri.
L’era terapeutica
Con l’avvento dell’insulina e dei sulfamidici e con l’apparente scomparsa delle malattie infettive, si ha la comparsa e divulgazione di politiche pubbliche in molti paesi occidentali.
Questa fase ha comportato l’indebolimento dei dipartimenti di igiene e del ruolo dei medici generici, con un significativo spostamento di poteri e di risorse ai servizi ospedalieri.
L’era della nuova sanità pubblica
Tale fase, quella attuale, combina le modifiche all’ambiente con appropriati interventi preventivi e terapeutici, soprattutto per gli anziani e gli invalidi. Questa nuova fase ha avuto origine ( secondo McKeown)da fattori diversi: la crescente consapevolezza dei limiti dell’assistenza terapeutica, la crisi internazionale avvenuta inseguito ai costi dell’assistenza sanitaria scatenata con la crisi petrolifera del 1973.
La considerazione che il calo della mortalità e della morbilità sia avvenuta, nel tempo, per effetto, soprattutto, del miglioramento delle condizioni ambientali, più che per i progressi tecnologici in farmacopea, la scelta di investire nella ricerca epidemiologica è servito ad attirare l’attenzione su quelle che sono state chiamate Politiche di Sanità Pubblica, cioè su quelle strategie tese a promuovere la salute in numerosi settori, anche al di fuori del campo biomedico.
Ed ora diamo uno sguardo a come i sistemi sanitari si alimentano sotto il profilo economico.
E’ in uso nei Paesi occidentali fare ricorso a due o più delle seguenti fonti di finanziamento monetario:
imposte sul reddito
contributi previdenziali
premi assicurativi di gestione privata
ticket
Nei diversi Paesi che compongono il nostro modello sociale sussistono differenze notevoli sia nel metodo di prelievo sia nell’importanza relativa di ciascuna fonte di finanziamento.
Per il finanziamento dei Servizi Sanitari si applicano diversi tipi di imposte sia dirette (in tal caso il prelievo di norma è proporzionale alla capacità reddituale del cittadino – vedi art. 53 della Costituzione per quanto concerne la Repubblica italiana), che indirette (imposte legate al potere di acquisto – vedi l’Imposta sul Valore Aggiunto, sempre per quanto concerne il nostro Paese).
Per il modello previdenziale di solito l’impegno è specifico e prevede il versamento di contributi (Olanda). Tali contributi costituiscono momento coattivo obbligatorio, nei pochi casi in cui è previsto l’esonero riguarda le categorie a reddito più elevato. Anche in questo caso il valore del contributo è proporzionale al reddito prodotto dal singolo cittadino con percentuale di incidenza fra lavoratore e datore di lavoro.
Anche il ruolo delle assicurazioni private varia da Paese a Paese. In alcuni casi (Olanda e Stati Uniti), le assicurazioni private prestano servizi sanitari (acquisto delle prestazioni ) a quei cittadini che non usufruiscono dell’assistenza pubblica. In altri forniscono una copertura integrativa (Italia, Portogallo, Spagna, Regno Unito ) a cittadini che già usufruiscono di un’assistenza pubblica. In altre ancora ( Danimarca e Francia ) assicurano la copertura sanitaria a fronte di ticket del settore pubblico per farmaci o protesi.
In molti Paesi, poi, alla copertura totale dell’assistenza sanitaria attraverso l’imposizione fiscale ordinaria, si aggiunge la partecipazione del cittadino con una quota (ticket) sul costo della singola prestazione.
E’ fondamentale, comunque, la distinzione fra sistemi di finanziamento prevalentemente pubblici e quelli prevalentemente privati. Stati Uniti e Svizzera sono gli unici paesi a trarre la maggioranza degli introiti dagli esborsi dei pazienti nonché dai premi di assicurazione privata.
A chiudere il quadro sul sovvenzionamento dei servizi legati alla salute, ritengo sia necessario includervi anche quella attività normalmente non contemplata nella valutazione dei costi delle prestazioni sanitarie, ma che comunque, influenza il sistema condizionandolo, quale la ricerca scientifica finalizzata. La ricerca può essere considerata quale fattore propedeutico alla evoluzione dei sistemi sanitari, poiché vincola la quantità, la qualità, l’efficacia e le modalità di resa delle prestazioni. Essa ha enorme influenza sui costi generali dei sistemi sanitari, basti pensare all’inserimento, nel sistema, delle novità tecnologiche degli apparati diagnostici. Tale inserimento non comporta soltanto un maggiore esborso finanziario per l’utilizzo stesso della tecnologia, ma, ai nuovi costi appartiene anche il ribaltamento sul mercato sanitario di quelli relativi alla ricerca, progettazione e produzione dell’evento tecnologico. E che dire, poi, della produzione farmacologica? Appare abbastanza chiaro che l’inserimento sul mercato di nuovi farmaci comporta la generazione di nuovi costi, ma non solo, la ricerca farmacologica è divenuta, oramai, fattore indispensabile ed ineludibile ,e per poter affrancare il sistema terapeutico al sistema assistenziale, è necessario che la ricerca farmacologica venga continuamente foraggiata. Si pensi alle prospettive future, non ancora certe, ma prevedibili ed auspicabili, della farmacologia genetica, cioè quella produzione di medicamenti compatibili con il singolo individuo e su di esso costruito. Costi, enormi, sono ipotizzabili.
I costi della ricerca, nei vari sistemi sanitari occidentali, vengono ripartiti tra settore pubblico e quello privato, a secondo dell’istituzione interessata al fenomeno. In ogni caso, nella maggior parte dei sistemi, l’evidenziazione contabile dell’impegno finanziario non viene automaticamente fatto ricadere sulla voce spesa sanitaria. Comunque, in nessun caso la spesa per la ricerca e la spesa sanitaria viene messa in debita correlazione.

Dopo aver messo in evidenza i modelli ed i sistemi, entrando nel merito della spesa e dei costi sanitari, si rende necessario richiamare l’attenzione sulla differenza, meramente logico-razionale (almeno nel finalizzare le modalità di comportamento di fronte ai differenti problemi) tra macroeconomia sanitaria e microeconomia sanitaria.

Con l’accezione macroeconomia sanitaria (o sistema di macro-allocazione delle risorse) possiamo intendere quell’insieme di riflessioni e di relative regole poste al governo delle politiche sanitarie.
In questo contesto sottostanno sia l’ambito del chi e che cosa, che in quale modo e con quali risorse. E’ il momento del legame dell’economia, come scienza delle azioni umane legate alle risorse ed il loro procacciamento, alla filosofia politica, quale sistema di riflessione sulla compagine umana e delle scelte da effettuare nell’equilibrio del contesto sociale.
E’ il primo livello di analisi e discussione sull’eguaglianza/diseguaglianza, appropriatezza/inappropriatezza. E’ il primo livello della riflessione etica. E’ il momento delle scelte tra le ipotesi in campo (utilitarismo, liberismo, liberalismo, comunitarismo, egualitarismo) e tra quelle da inventarsi.

Con la definizione di microeconomia sanitaria intendiamo il mondo della gestione del momento produttivo della prestazione sanitaria. E’ il momento dell’uso diretto delle risorse messe a disposizione e delle linee guida impostate con le politiche sanitarie.
In questa fase vengono coinvolti gli uomini (la persona ) singolarmente individuati (operatori, pazienti) con la loro capacità organizzativa e con il loro bagaglio di esperienza, cultura e morale.
Mentre nel campo della macroeconomia ogni scelta si basa sulla valutazione del contesto, alla quale si rende necessario una quantificazione del bisogno assistenziale della collettività nonché la previsione sulle modalità di procacciamento delle risorse, nel campo della microeconomia si rende necessario contemperare le risorse date con il bisogno territoriale.
Agli inizi del nuovo millennio, nei paesi occidentali, nonostante la ricerca scientifica e con essa l’assistenza medica, abbia fatto passi da gigante verso l’obiettivo dell’allungamento della vita e del mantenimento di un livello costante , minimo, di benessere, i sistemi di governo delle politiche sanitarie si dichiarano in crisi. La crisi ufficialmente è giustificata dall’insostenibile lievitazione dei costi di produzione e dalle difficoltà ad attingere risorse finanziarie con gli ordinari sistemi di prelievo coatto (dal bilancio nazionale). Costi, questi ultimi, cresciuti anche per effetto, si dichiara, dell’allungamento dell’età della vita media e, quindi, del proliferare delle patologie croniche e degenerative. Ma, la crisi di finanziamento dei sistemi sanitari, insorge anche per effetto della necessità di modificare il modello assistenziale. Uno sguardo retrospettivo alla storia degli interventi sulla salute dovrebbe far intendere che gli obiettivi di salute possono essere perseguiti in modo efficace solo se correlati, affiancati, con interventi di tipo sociale. Non è casuale che la maggior efficacia assistenziale si ottiene dalla combinazione dei due processi che coinvolgono direttamente la persona nel suo complesso: l’intervento sull’uomo nel suo ambito sociale e l’intervento sul corpo. Sociale e Sanitario integrato.
Tali tipi d’intervento non hanno prezzo (in termini di scelte morali), sebbene abbiano un costo. Ed un conto è perseguire l’azione di copertura dei costi di produzione e un altro è assegnare un prezzo al sistema assistenziale. Assegnare un prezzo agli interventi sulla persona, significherebbe dare un valore diversificato alla vita. Concetto, quest’ultimo, che genera inevitabilmente disuguaglianze, poiché limita le facoltà di accesso (Sen, Rawl). La centralità del cittadino non può prescindere dalla centralità della persona e della persona umana sofferente e dipendente (Spinsanti ).
L’attenzione verso coloro che manifestano un bisogno di salute, ed il relativo confronto con le origini, le cause della patologia, portano inevitabilmente a pensare alle azioni rivolte ( prevenzione ) alla modifica del modello di vita, come evento attenuante della manifestazione patologica. Tale azione comporterebbe, e di fatto avviene, una diminuzione delle insorgenze delle malattie croniche e degenerative. Tale diminuzione richiede un minor impiego di risorse (fattore a valenza economica). Ma, lo spostamento dell’intervento (solo immaginato) dal momento clinico a quello sociale richiede, a sua volta, uno spostamento delle energie (risorse) dal sistema della cura del paziente, al sistema di attenzione verso la persona nel suo complesso. Pertanto, l’argomento in discussione non può essere più, o soltanto, rivolto alla ricerca dell’ottimale sistema di assistenza sanitaria (modello che contempli sia il ripristino della qualità della vita perduto e/o la sostenibile qualità della vita residua) ma, piuttosto, su quale definizione di consesso sociale la nostra esistenza sia fondata.
In tal caso il campo di riflessione e di discussione si sposterebbe dalle argomentazioni sulla ricerca dell’ottimale modello di assistenza sanitaria, che soddisfi le esigenze dei o del modello economico predominante, a quello della ricerca di un sistema economico stabile che soddisfi le esigenze complessive del genere umano (la persona nel suo complesso).
Il modello assistenziale ed il modello economico sottostanno, pertanto, alla propedeutica definizione dei valori che conformano la nostra società ( decidiamo cosa vogliamo essere, come la nostra esistenza può essere vissuta, pur nell’alveo del rispetto delle diversità e delle libertà condivise) e da ciò facciamo discendere ogni forma, modello assistenziale (sanitario e sociale) che risulterà consono al rispetto delle nostre aspettative.

CONCLUSIONI. Spesso si ricorre a giustificazioni di tipo economico (carenza di risorse), quando gli aspetti macroeconomici non sono che l’effetto e non la causa. La carenza di risorse è sovente generata dall’erroneo comportamento produttivo, in ciò stante anche l’inappropriatezza di alcune attività (si vedano la determinazione del LEA, che di fatto riguardano più scelte sulle modalità produttive che scelte sull’essenzialità equativa).
La filosofia solidaristica e l’orientamento all’utente, sul piano gestionale ed operativo, spesso collidono. La via d’uscita da questa contraddizione è pensare l’organizzazione sanitaria in termini di creazione di valori. Creare valore per le Aziende Sanitarie Locali diventa sinonimo di creare salute o, in subordine, migliorare la qualità della vita residua, pur in presenza di risorse limitate. Ciò significa, per l’istituzione, essere in grado di soddisfare eticamente tutti i diversi portatori di interessi: prima i portatori di bisogni, ovvero i clienti dell’azienda, e quindi i portatori di risorse, ovvero gli operatori. ( L. Barberis, L. Iamele, e G. Del Vecchio – in “Tendenze nuove”– 1/2003 – il Mulino – Mi ).
E’ la valorizzazione non solo delle capacità dei singoli nel contesto di produzione sociosanitario, ma anche, e soprattutto, del valore morale degli stessi nell’apporto produttivo (operare in ciò che si crede, si opera perché ci si crede). In tal guisa possiamo affermare che nessun modello sarà valido, oppure tutti i modelli saranno validi, se a fondamento del sistema insiste la partecipazione, il riconoscimento del sistema, da parte degli operatori coinvolti.
Con questa considerazione mi piace concludere con un’affermazione tratta da G. Costa e F. Faggiano, in L’Equità della Salute in Italia, Fondazione Smith Kline , F. Angeli, 1994, Mi, : “ E’ necessario vedere la Facoltà di Medicina (e aggiungere delle Scienze infermieristiche) come una Facoltà di Sanità Pubblica, nell’ambito della quale ciascuna disciplina riconosca il proprio specifico contributo alla salute della popolazione e che sia collegata attraverso un’efficiente rete di scambi culturali, sia con le altre facoltà nel campo umanistico, politico e sociale sia con la propria comunità, per la quale essa dovrebbe costituire una risorsa accessibile.
Per comprendere questa concezione sarà molto più utile la nozione di Salute per Tutti che l’istituzione di nuove forme gestionali e strutturali.
Il Sistema Sanitario italiano sta affrontando le conseguenze di una progressiva diminuzione degli investimenti e finanziamenti pubblici del settore; il rischio evidente è quello che il conseguente processo di aggiustamento sia guidato, prevalentemente se non esclusivamente, dalle ragioni del conto economico e quindi dell’efficienza.
L’obiettivo da raggiungere è quello di coniugare i due criteri dell’efficienza e dell’efficacia del sistema sanitario; criteri che vanno riferiti alla cura del malato in quanto persona con il suo bagaglio di valori, di credenza, di disagi e di adattamenti psico-sociali nel rispetto e considerazione del contesto socio-territoriale in cui vive o è radicato; ed alle prevenzioni della “malattia” come compiti specifici del sistema.
Fare i conti con i vincoli della società non significa quindi sacrificare l’efficacia per l’efficienza.
E’ in questo contesto che si situa una ridefinizione delle politiche di Welfare. Si tratta di considerare una realtà strategica e paradigmatica per il sistema sanitario, capace di sviluppare una politica di assistenza socio – sanitaria e non interventi di “tecnica dell’assistenza sanitaria”, fortemente integrati, nel territorio in cui si innestano e sensibili a considerare le differenze sociali, culturali, economiche produttive, individuali che non tende ad omogeneizzare (standardizzare) gli interventi per un efficace ed efficiente produzione del “benessere”.

Bibiografia

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A. Sen – Etica ed economia – Laterza, 2002, Ba
R. Dworking – Virtù sovrana – Feltrinelli, 2000, Mi
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