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MANIFESTO PER UNA BIOETICA LIBERALE
 
E’ possibile nel nostro paese una bioetica liberale, una bioetica – intendo – che ponga deliberatamente al suo centro il valore dell’autonomia individuale, che riconosca una netta divisione tra sfera della morale e sfera della legge, che coltivi un autentico pluralismo etico?


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Lorenzo De Caprio

Conflitto e conflitti d'interesse in medicina

Per “conflitto d’interesse” s’intende la problematica situazione di chi dovendo scegliere tra A e B è pressato da interessi che, in sé buoni e leciti, non sono tuttavia tra di loro equi-valenti ponendosi secondo il più ed il meno lungo la scala dei valori. Conflitto d’interesse dunque non connota un comportamento ma designa la condizione da cui può scaturire una scelta moralmente criticabile se non apertamente cattiva.
Nella pratica della medicina il “peccato” è sempre in potenza poiché il medico si trova costantemente <<in una condizione nella quale il giudizio professionale riguardante l’ interesse primario, nel nostro caso la salute del paziente, tende ad essere influenzato da un interesse secondario, per esempio, dal guadagno economico o da altre forme di vantaggio personale[1]>>.
Affinché il peccato in potenza divenga in atto non c’è bisogno che dall’azione ne discenda un danno per il paziente; é sufficiente che il medico abbia anteposto il valore “secondario” a quello “primario”. Pertanto, l’accusa più comune rivolta ai medici non è stata, come si crede, quella più infamante di seppellire i propri errori, ma piuttosto quella d’ anteporre il tornaconto personale all’interesse del paziente fino al punto di varcare la soglia….della truffa.
Fino a quando si è trattato d’Asclepio che, per trarre dell’oro, si vantava di estrarre “psichai” d’eroi dall’Ade, o del dottor Dulcamara con il di-vino elisir d’amore, i malati potevano dormire sonni tranquilli. I danni poi indotti dalla Teriacà d’Andromaco o dall’alchemico Oro Potabile si limitavano per lo più alla tasca, poiché, per quanto riguarda il corpo, questi non erano del tutto certi e, nel caso che fossero stati certi, non erano allora del tutto evidenti. Tempi che oggi rischiano d’apparirci invero beati, tempi che quasi rimpiangiamo perché in poco tempo la peggiore “condizione” di allora è di gran lunga peggiorata.
Nonostante le denunce e gli ammonimenti lanciati negli anni ’70 da Illich, Cochrane e McKneown, solo negli anni ‘80 i dottori s’accorgono ufficialmente dell’esistenza del conflitto d’interesse in medicina e da questo momento in poi s’assisterà ad un crescendo rossiniano.
<< Comincia a farsi strada>> scrive Horrobin <<la convinzioni che i progressi sensazionali della medicina, riportati in termini terapeutici, sono nella migliore delle ipotesi, bugie, nella peggiore, inganni… Se non possiamo dimostrare che l’innovazione tecnologica è effettivamente migliore per il paziente in termini di guarigione, sollievo o consolazione, non dovrebbe essere introdotto in medicina nessun nuovo controllo diagnostico, nessun nuovo farmaco, ...nessuna cosa scientificamente ingegnosa e tecnologicamente eccitante. Lungi dall’essere scientifica, questa medicina molto spesso non è assolutamente... Quando un determinato regime terapeutico è costoso e dà lavoro ad un intero complesso medico-industriale esso viene tranquillamente continuato[2]>>
<<Abbiamo trascinato la medicina nella più piena follia tecnologica. I medici americani...accettano le nuove tecnologie senza un approccio critico... Questi new gadgets risolvono un problema fondamentale... essere pagati[3]>>.
David Blumenthal giudica pericolosa la relazione tra la ricerca universitaria e l’industria del farmaco. Invoca maggiore vigilanza per evitare che gli effetti di queste sinergie s’abbattano sui pazienti e la società[4]. Michael Pitt denuncia le collaborazioni tra ricercatori delle istituzioni non-profit con quelle for-profit: Queste relazioni <<inficiano l’obiettività della scienza. l’integrità degli scienziati e la sicurezza dei prodotti medici[5]>>. The Lancet scende in campo in difesa dell’ US Food and Drug Administration, attaccata in quanto istituzione stalinista. La verità è che l’impresa scientifica-industriale chiede mani libere per utili crescenti e dall’allarme si passa ad una proposta politica sorprendente nel paese del libero mercato: <<bisogna strenuamente opporsi all’assurda proposta di privare lo stato delle sue funzioni di controllo.[6]>>
Intanto la British American Tobacco offre contributi disinteressati ma se <<l’università di Cambridge accetta, dà alla compagnia non soltanto rispettabilità, ma l’opportunità di influenzare studenti, accademici e politici [7]. I contributi della compagnia del tabacco stanno condizionando la politica ... ed i programmi di ricerca, che vengono finanziati secondo criteri che prescindono dal merito scientifico [8]>>.
I comportamenti dei ricercatori non sono migliori di quelli dei medici anche perché l’anima duplice del medico e del ricercatore condivide un solo corpo universitario.
Negli Stati Uniti l’associazione tra le scelte del medico che richiede che un certo farmaco venga inserito nel prontuario ospedaliero, e la sua relazione con industria è <<forte, consistente, specifica, ed è indipendente da variabili confondenti, come le qualità del farmaco [9]>>. Sull’altro versante, i risultati delle ricerche e la loro pubblicazione appaiono condizionati da variabili che contraddicono gli ideali della Scienza e della Medicina ma non quelli propugnati dall’industria privata. Questa, com’è naturale che sia, s’attende che le stratosferiche somme investite nella ricerca farmaceutica le ritornino con i dovuti legittimi interessi.
Come cariche di una teoria che non definiremmo popperiana, certe ricerche cliniche selezionano casistiche ed adottano metodi che sembrano “a priori” meditati per produrre “a posteriori” certi risultati e non altri. Per sottrarsi al rischi di possibili dati negativi, si trascurano quasi sempre i “vecchi” farmaci e le “antiche” tecnologie che pur non avendo una solida basa scientifica occupano solide posizioni di mercato.[10]
Si studia accanitamente il Nuovo, e se la ricerca intorno al Nuovo produce risultati che deludono le aspettative, non è detto che questi debbano necessariamente essere divulgati. Se da un lato si assiste al fenomeno della “rimozione delle ricerche negative”, dall’altro, in quelle date alle stampe, troppo spesso gli autori tendono a sottodimensionare ed sottovalutare gli effetti collaterali ed indesiderati dei farmaci.[11].
Ma i prodotti del conflitto d’interesse non si fermano qui. Troppo spesso severi congressi in isolati conventi, riviste, campagne pubblicitarie ed ammennicoli vari diffondono il verbo tra i medici che ben addottorati determinano il successo di mercato. Questa vera e propria censura sull’informazione sottrae ai medici ed ai pazienti quanto è necessario sapere nella prospettiva di una libera scelta terapeutica.[12].
Non sorprende che l’editoriale di The Lancet del 6 maggio 2000, così titolasse: <<Mondo accademico ed industria: amanti sempre più a disagio: Gli eventi di questo inizio d’anno indicano che le crescenti pressioni sull’università per indurla ad andare a letto con l’industria non sempre si traducono in una notte di qualità per i due partner. E’ questa percezione un riflesso di una iniziale transitoria inesperienza coniugale oppure essa ha conseguenze a lungo termine più serie per le scienze biomediche?[13]>> E con ciò si dichiara la fine della santa alleanza tra scienza e produzione; patto tutto moderno che dalla sinergia tra l’industria e l’accademia ha prodotto in passato buona ed onesta ricerca ed ancora vi riesce tra le maggiori difficoltà.
A ben vedere, tuttavia, l’università non è mai andata a letto con l’industria perché non esiste né l’una né l’altra. Piuttosto esistono gli scienziati, i medici, gli universitari, i mercanti, gli industriali e sono degli uomini concreti, determinati nel tempo e nello spazio, quelli che vanno a letto insieme. Se il patto ha funzionato è anche perché universitari ed industriali s’erano dati una morale, una norma, un codice che impediva loro di frequentarsi a letto oltre che a cena. Se la morale d’allora è in stato comatoso ciò è avvenuto perché il contesto socio-culturale ed economico in cui si fa “medicina” oggi è cambiato.
Nel passato recente gli universitari controllavano tutte le fasi della ricerca, ma negli ultimi anni il “metodo” oltre che manipolabile dagli scienziati è diventato anche influenzabile da parte dei finanziatori della ricerca. Negli ultimi decenni l’università ha subito una perdita di ruolo culturale e di mercato nella ricerca clinica. Questo è accaduto nel momento in cui l’industria ha avvertito la necessità di porre sotto controllo i costi ed ha scoperto che gruppi privati di ricerca, le cosiddette Organizzazioni di Ricerca a Contratto (CRO) potevano eseguire il lavoro degli universitari non solo a costi più contenuti ma anche con meno discussioni.
Solo nel 2000 le CRO hanno intascato il 60% dei fondi per la ricerca clinica ed in questa situazione gli sponsor hanno potuto molto più facilmente far pesare i propri interessi[14]. Contrariamente a quanto avviene nel mercato normale, ove, almeno a quanto si racconti in giro, la concorrenza migliora la qualità dei prodotti, nel mercato della ricerca la concorrenza sembra aver peggiorato significativamente la qualità di un prodotto che si chiama: Conoscenza.
Dunque: quanto del metodo è nelle mani dei controllori del mercato? Di chi è effettivamente il potere della dimostrazione? Come e per quali fini viene utilizzato? O le domande sono senza senso perché chi controlla il mercato mette trinitariamente insieme dimostrazione ed informazione.
La conclusione è di quelle scomode per l’impresa scientifica. “Il metodo sperimentale” non è la fonte neutra dell’ immacolata verità come credeva ed andava dicendo in giro Claude Bernard, ma un prodotto sociale, un qualcosa di manipolabile.
L’ enorme mole degli interessi economici in gioco e l’ideologia che esalta le virtù del libero mercato influenzano pesantemente l’impresa scientifica e con ciò finisce il mito che la rappresenta al di sopra della compagine sociale e quindi la vuole libera dai condizionamenti storici. Un ragionevole approccio al nodo dovrebbe anche consistere nello sfatare il mito d’una Scienza che si crede procedere benigna, sciolta da ogni genere di vincolo sociale. Superstizione che permette agli scienziati non solo di godere d’una ampia area di privi-legio ma anche di presentarsi all’opinione pubblica misericordiosi come la Madonna e sempre vergini come Atena.
<<Molto si è scritto>> osserva Panti <<e si continua a scrivere sul complesso medico-industriale, cioè sui legami della scienza e della medicina con quel settore dell’industria che produce farmaci, strumenti, attrezzature, servizi… cose senza le quali la medicina moderna non esisterebbe>>. Tanta enfasi contro un complesso diventato del tutto malefico oggi, genera sospetti. Non si tratta di negare l’esistenza di situazioni di conflitto quanto piuttosto di riflettere anche sull’interesse del complesso sanitario economico amministrativo. <<Il terzo pagante sta mettendo in crisi quel modello ideale di buona medicina in cui gli interessi di mercato e del paziente erano allineati e confluenti>>. Il sospetto è che il potere economico amministrativo si rivolga ad una <<pretesa razionalità allocativa facendola discendere da un’evidenza clinica, cercando con l’oggettivazione delle cure di escluderne quella variabilità che aumenta i costi>>. Se è vero che i conflitti d’interessi con l’industria sono prevalentemente “per favoreggiamento” ed ampliando la disponibilità dei mezzi aumentano la spesa , quelli aziendali, in tempi di limiti delle risorse, minacciano d’essere “omissivi” cioè limitativi della spesa [15].
Questo interesse delle aziende sanitarie al risparmio preme sicuramente sui medici, ma si configura come pericolo reale?
Per quanto ci riguarda, c’è un pericolo maggiore. Al di là della riconoscenza che l’umanità lacrimante deve alla Medicina, è nato il problema di indirizzare se non contenere il suo potere politico e sociale. Il potere di questa Scienza non sarebbe diventato così ampio ed incondizionato se i mercanti, cavalcando spregiudicatamente paura, speranza e salvezza non avessero da tempo scoperto che la medicina può garantire profitti enormi e sempre crescenti a dispetto delle crisi che periodicamente affliggono il mercato “normale”.
Alle origini c’è la posizione del medico che nel mercato sanitario svolge un ruolo che non ha equivalenti in quello normale. Il dottore, in quanto conosce il mezzo necessario per conseguire il “bene” del paziente, nel momento in cui prescrive un farmaco od un esame, compra per il suo paziente e vende per l’industria coprendo contemporaneamente le parti dell’acquirente e del venditore. Perché il “vero bene” del paziente sia conseguito, è necessario dunque che il medico anteponga l’interesse del paziente al suo, e che il farmaco che prescrive sia “vero bene”. Coerentemente, l’ art. 12 del codice deontologico obbliga il medico ad adeguare le sue decisioni ai dati scientifici accreditati ed alle evidenze metodologicamente fondate , vietando nel contempo farmaci e presidi diagnostici non supportati da adeguata sperimentazione o documentazione.
Esattamente come il malato non è nelle condizioni di veri-ficare l’efficacia del farmaco prescritto, così il medico nei riguardi dello scienziato non è nelle condizioni di veri-ficare l’efficacia del farmaco che la letteratura scientifica gli dimostra efficace.
Obbligo dello scienziato dovrebbe essere quello di produrre conoscenza disinteressata, anteponendo gli interessi della società a quelli suoi particolari. Bisogna poi tenere ben presente il fatto che i ricercatori delle università sono inseriti a vario titolo e su molti livelli nei meccanismi informativi che promuovono l’avanzamento della conoscenza, lo sviluppo tecnico e la sua diffusione nei confronti dei medici e del pubblico profano. Nel momento in cui i produttori di conoscenza si fanno banditori di nuove tecnologie “rischiano” di anteporre i propri ed altrui interessi a quelli della collettività.
Aldo Pagni, si è soffermato sulle conseguenze di un certa tipologia d’ informazione scientifica rivolta al pubblico. Tipologia che si potrebbe definire quasi nazi-scientista tesa com’è a conformare ed ad uniformare i comportamenti collettivi.
La “Giornata Mondiale dell’Osteoporosi” è stata una avvenimento scientifico durante il quale si offrivano alle passanti formaggi, formaggini, ricottine, scamorze e mozzarelle, tazze di latte sgrassato e pantagrueliche libagioni di acque minerali ricche di calcio. Come se non bastasse alle giornaliste, alle dottoresse ed alle professoresse venivano offerte gratuitamente mineralometrie ossee computerizzate. La manifestazione sponsorizzata da una Società Scientifica di cui Pagni non fa il nome, ha trovato: <<puntuale riscontro su alcuni organi di stampa nei quali un illustre clinico incoraggiava l’uso dell’alendronato nella prevenzione dell’osteoporosi>>, anche se a tutt’oggi manca un’evidenza scientifica in tal senso.
<<La manifestazione va ad aggiungersi ad altre che si propongono di “colorare la menopausa” con sostegno di testimonials famose e di istituire in ogni città un centro della menopausa od all’iniziative di uno screening del polmone mediante RX torace, assolutamente inutile se indiscriminato, promosso da una clinica universitaria in una città del Nord Ovest….Un markentig sempre più aggressivo, insidioso ed incontrollato, sta facendo il suo ingresso in sanità indicendo falsi bisogni nei cittadini ed iperconsumi di falsa salute come se fosse una merce. Attraverso il meccanismo della pressione; quando si vuole che un messaggio produca un comportamento atteso in un ricevente subalterno; o quello del condizionamento, nel quale l’ambiguità dei messaggio faciliti l’adesione del ricevente alla tesi alla quale si voleva che aderisse.
Quei medici che si fanno sponsorizzare per iniziative tese a “medicalizzare” ogni aspetto della vita, non si rendono conto di essere i responsabili e le vittime dell’ipocondria dilagante per il quale il cittadino si sente malato tre volte di più di quanto non fosse qualche decennio prima.... Non sono consapevoli questi medici che le loro azioni contribuisco a creare conflitti tra i medici ed i pazienti, tra i medici ed i medici e che ci sono medici onesti che non intendono “truffare” la collettività con farmaci ed indagini di dubbia o nessuna efficacia da ripetere continuamente? [16] >>.
Purtroppo bisogna ammettere che <<I leaders della professione sembrano solo minimamente preoccupati da tutto ciò, allora, se il sistema è incapace di ritrovare senso ed incoraggia questa ricerca, allora è il sistema che va cambiato [17]>>. Come?
<<Il conflitto d’interesse in medicina>> scrive Alessandro Liberati << è una realtà che non può né deve essere ignorata>> sintetizzando l’acceso dibattito che da poco meno di venti anni si sta apertamente svolgendo nel mondo medico anglosassone. Nel nostro paese la voce di Liberati e di pochi altri è talmente isolata da non risultare nemmeno fuori dal coro benpensante dei rappresentanti ufficiali della medicina. L’ italico coro, infatti, pensa bene di non pensare affatto. Solo nel maggio nel 2002 patrocinato dall’Istituto Superiore di Sanità si è tenuto il primo convegno nazionale dedicato a conflitto d’interesse organizzato dal Coordinamento per l’Indipendenza e la Qualità della Ricerca Biomedica (CIRB). Organizzazione di cui fanno parte la Associazione Italiana di Epidemiologia Clinica, quella di Oncologia medica, il Centro Cochrane, le edizioni Zadig, la Federazione di Italiana di Cardiologia, la Società Italiana di Ematologia e a Società Italiana di Medicina Interna[18].
Da questo striminzito elenco emerge il motivo che contribuisce a rendere il conflitto d’interesse in medicina un irrisolvibile nodo gordiano: l’indifferenza dei medici e delle istituzioni mediche.
Questa indifferenza non è solo italiana.
Il conflitto d’interesse è “scandalo chiuso”, vale a dire scandalo del quale l’intera opinione pubblica non ha nemmeno sentore. Anzi la macchina dell’ informazione lavora alacremente per confermare tra la gente l’ immagine positiva delle istituzioni medico-scientifiche.
Mentre in Italia sembra prendere stentatamente forma l’ipotesi di un intervento pubblico capace miracolosamente di regolamentare tutta la materia[19], nei paesi anglosassoni lo scandalo chiuso al pubblico è aperto ai medici ed ha assunto il carattere della controversia interna, della “bega” che vedendo coinvolti i medici va discussa e risolta nel chiuso della professione.
Tuttavia, a riprova della sostanziale indifferenza del mondo medico sarà interessante notare come le spinte ad affrontare il nodo con atti concreti abbiano avuto origine dai filosofi morali, dai bioeticisti e dai direttori di importanti riviste scientifiche come “Nature” e “Science”. Riviste che non si collocano nell’area medica.
In un articolo del 1999, Pellegrino e Relman[20] hanno scritto l’ennesima forte requisitoria contro la commercializzazione della medicina e la subalternità economica delle società scientifiche, per ribadire la missione morale della pratica medica. Al giorno d’oggi, argomentano gli autori, visto che sta crescendo la pressione economica sui medici e sui gruppi professionali sulle società scientifica e sulle istituzioni della ricerca e sta aumentando il contrasto tra il conseguimento dei propri ed altrui interessi ed i fini della professione, pertanto è necessario che i medici si diano linee-guida per resistere alle pressioni commerciali: veri e propri Standards for Scientific Behaviour and Research Integrity [21]
A rendere più incandescente il clima contribuì il direttore di Science che dichiarò seraficamente che era ormai impossibile trovare medici, opinion leaders, rappresentanti di società scientifiche ed editorialisti che non avessero ricevuto compensi dall’industria farmaceutica . Il 23 agosto 2001 Nature richiese ai ricercatori che intendessero pubblicare i risultati della loro ricerche, una dichiarazione sulla presenza o meno di conflitto d’interesse. Il direttore della rivista si premurò d’avvertire i ricercatori che la rivista avrebbe informato i lettori nel caso che gli autori non avessero accettato la clausola.[22]
Come presi di contropiede, il direttore del New England Journal of Medicine insieme a 12 direttori di riviste di medicina clinica prendeva posizione. Rispolverando un antico orgoglio dichiaravano che: <essere autori significa avere responsabilità ed indipendenza. Un articolo inviato per la pubblicazione è proprietà intellettuale dei suoi autori e non di chi ha finanziato la ricerca. Noi non prenderemo in esame né pubblicheremo articoli derivanti da studi condotti in condizioni tali da consentire allo sponsor il controllo dei dati e la facoltà di proibire la pubblicazione>>. Di conseguenza fermamente invitavano: <<tutti coloro che prendono parte al processo di stesura, valutazione, selezione e pubblicazione degli articoli a dichiarare l’esistenza o meno di qualsiasi rapporto che possa configurarsi come causa di conflitto d’interesse>>.
Per il peso sociale della medicina , l’espressione “conflitto d’interesse ”, in un certo senso, non signi-fica più nulla. Molteplici situazioni sono cause di conflitto e tutte confluiscono come corde per attorcigliarsi in un solo caotico enorme nodo.
I decisionisti ad ogni costo avvertono che questo nodo è inestricabile, come quello famoso di Gordio che legava il timone del carro al giogo; pertanto- aggiungono- va tagliato non sciolto. Altri a questo punto ricordano che Alessandro non tagliò il fatale nodo. Piuttosto, poco gloriosamente produsse lo stesso effetto, perché furbescamente “tolse la caviglia del timone e così tirò via il giogo”. L’atto che pienamente legittima l’esser Magno d’Alessandro non è riposto nella furba trovata, ma nel lampo del suo vero genio.
Alessandro diffuse la notizia che il nodo che fu solo evitato, fosse stato sciolto con un energico colpo di spadone. Non importa che il nodo senza senso, fine e capo fosse rimasto intatto; importa che la gente vedesse il timone del carro staccato dal giogo come se il nodo fosse stato tagliato. Alessandro tutto contento partì alla conquista dell’Asia, avendo dalla sua la forza del vaticinio che designava padrone del mondo colui che avesse sciolto il nodo che non si scioglie.

[1] Boyd K.M. et al. The New Dictionary of Medical Ethics. B.M.J. Publishing group. London 1997;53.
[2] Horrobin D.F. La Medicina Scientifica. Successo o Fallimento. Trattato “Oxford” di Medicina Interna SEU. Roma 1996
[3] Grimes D.A. Tecnology Follies: The Uncritical Acceptance of Medical Innovation. J.A.M.A. 1993,269:3030-3033.
[4]Blumenthal D. Academic-Industry Relationship in the Life Sciences. Extent, Consequences and Management. J.A.M.A. 1992:268:3344-3349.
[5]Pitt M.,Gostin L.L. Conflict of Interest in Biomedical Research. J.A.M.A. 1994,271:547-551.
[6]Mistry P.K. In Defence of FDA. The Lancet, 1995; 346:981.
[7] Carnall D. Tobacco Funding for Academics. Br.Med.J.1996, 312:721-722.
[8] Roberts J.,Smith R. Publishing Reasearch Supported by the Tobacco Industry. Br.Med.J. 1996,312:133-134
[9] Chern M.M. and Landefeld C.S. Physicians Behaviour and their Interactions with Drug Companies. A Controlled Study. J.A.M.A. 1994, 271:684-689.
[10] Positivamente negativo. Quando gli studi clinici danno luogo a risultati negativi. Articolo non firmato. BIF luglio-ottobre 2001: 188
[11] Dickersin K., Min Y., Meinert C.L.: Factors Influencing Publication of Research Results. J.A.M.A. 1992,267:374-378
[12] Data la vastità della letteratura medica sull’ argomento non è possibile fornire un elenco completo degli articoli. L’autore si trova come costretto ad invitare i “profani” interessati ad approfondire i singoli aspetti di una questione così complessa a visitare quanto meno il sito del British Medical Journal: www bmj.com; e del Coordinamento per l’Integrità della Ricerca Biomedica (CIRB): www.cirb.it. Per quanto riguarda i medici giova ricordare che il Bollettino d’ Informazione sul Farmaco (BIF), che il Ministero della Salute si premura di inviare ai medici italiani, ha dato tardivo ma puntuale resoconto della vicenda nei numeri: gennaio-febbraio 2000, maggio-giugno 2001, luglio-ottobre 2001 e novembre-dicembre 2001.
[13] Weatherall D. Academia and Industry. Increasing uneasy bedfellows. The Lancet 2000;355:1574.
[14] Davidoff F.Sponsorship, Authorship and Accountability. N.Engl.J.Med 2001;345:825.
[15] Panti A. Oltre Buridano, il medico e il Conflitto dì’Interesse. Professione, cultura e pratica del medico d’oggi. 2002, 10:4.
[16] Pagni A., Per una Verifica di Programma un Anno Dopo” Congresso Nazionale FNOMCEO, luglio 97. http://www.fnomceo.it/RelazioneCN97
[17] Altman D.G.; The Scandal of Poor medical Research. Br-Med.J. 1994; 308:283-284.
[18] CIRB, Appello per la trasparenza e l’indipendenza scientifica della ricerca clinica e di sanità pubblica. http://www.cirb.it
[19] Gambarelli L., Il Mistero della Bozza Fantasma. http://zadig.it/news2002/sci/.
[20] Pellegrino ED, Relman AS; Professional Medical Associations. Ethical ans Practical Giudelines. JAMA 1999;282:984.
[21]Jung BC, Standards for Scientificc Behaviour and Research Integrity.,JAMA 1998; 279:1067
[22] Nadis S. Med Scholl to Relax Rules on Bussines Links? Nature 2000;403:818.

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