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La “querelle” tra il Ministro Bersani e la FRER Ordini: inceneritori, tutela della salute e Ordini dei medici

Giuseppe Miserotti

Dopo tutto ciò che stampa e televisioni locali e nazionali hanno reso pubblico circa la presa di posizione da parte della Federazione regionale emiliano-romagnola degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri sugli inceneritori, ritengo utile portare a conoscenza dei colleghi i termini della recente “querelle” nei confronti del ministro dello sviluppo economico Pierluigi Bersani. La Regione Emilia-Romagna ha ritenuto di dover finanziare uno studio apposito sull’impatto ambientale che gli inceneritori hanno sul territorio anche alla luce del fatto che - nella nostra Regione - sono ben nove gli impianti di incenerimento dei rifiuti solidi urbani. Lo studio Moniter è già stato finanziato con due milioni e mezzo di euro e durerà tre anni. Nell’ambito della commissione per lo studio l’Assessore alla Sanita ha ritenuto che dovesse figurare anche una figura medica nella persona del Presidente della FRER-Ordini dottor Giancarlo Pizza. Sulla base della forte preoccupazione insorta a proposito dell’impatto negativo sulla salute delle popolazioni residenti nelle zone vicino agli inceneritori - visto l’inoltro da parte dell’Ordine dei Medici di Modena di un esposto alla locale Procura della Repubblica relativo al raddoppio dell’inceneritore della stessa città e di analoghe iniziative da parte di altri gruppi di medici della Regione, il 10 settembre u.s. il Presidente dottor Pizza - su mandato unanime degli Ordini della Regione - ha scritto una lettera ai Presidenti di Provincia dell‘Emilia-Romagna, ai Sindaci e agli assessori alla Sanità e all’ambiente delle città capoluogo “chiedendo di non procedere alla concessione di nulla-osta alla costruzione di nuovi inceneritori”. Si chiedeva, quindi, una moratoria visto che era in corso uno studio di impatto ambientale ed epidemiologico che avrebbe dovuto fare maggiore chiarezza sui problemi di salute della popolazione. Il 4 ottobre da Roma il ministro Bersani ha affermato che “ la lettera esorbiterebbe totalmente dalle attribuzioni degli Ordini professionali di cui la federazione regionale è espressione … la medesima richiesta appare suscettibile di grave allarme nella popolazione interessata”. Il ministro ha scritto espressamente al ministro della Salute Livia Turco e a quello della Giustizia Clemente Mastella “chiedendo un’indagine sulla federazione regionale degli Ordini dei medici chirurghi e odontoiatri in quanto la loro iniziativa potrebbe costituire un inammissibile sviamento dalle finalità istituzionali e, comunque dagli ambiti di attività consentiti dalla legge ai fini dell’eventuale adozione di tutte le misure ritenute necessarie, anche non solo disciplinari, nei confronti dei responsabili”... “La nota non riporta nessuna motivazione sostanziale e non appare suffragata da alcun fondamento tecnico-scientifico riconosciuto, atteso che la realizzazione degli impianti in esame e il loro funzionamento sono disciplinati dalla norme comunitarie e nazionali di tutela della salute e dell’ambiente”.
La prima considerazione è di merito. Gli Ordini dei medici con la loro presa di posizione sono veramente usciti dal seminato? Non mi pare proprio. Il rapporto che lega il medico alla salvaguardia della salute e dell’ambiente trova previsione in numerose leggi. La 833/1978 (art. 2 comma 5) attribuisce al SSN “ la promozione e la salvaguardia della salubrità e dell’igiene dell’ambiente naturale di vita e di lavoro”. Il decreto 502/1992 in materia sanitaria (art. 7-quinquies, comma 2) prevede “ l’integrazione fra politiche sanitarie e politiche ambientali e l’esercizio da parte dei medici della sorveglianza epidemiologica e della comunicazione del rischio per la partecipazione delle comunità alla tutela della salute e dell’ambiente”. Infine il recente art. 5 del nuovo Codice Deontologico dei medici che così recita: “il medico è tenuto a considerare l’ambiente nel quale l’uomo vive e lavora quale fondamentale determinante della salute dei cittadini. Il medico favorisce e partecipa alle iniziative di prevenzione e di tutela della salute nei luoghi di lavoro e di promozione della salute individuale e collettiva”.
Una successiva lettera inviata all’attenzione della FRER Ordini a firma degli assessori Bissoni e Zanichelli, rispettivamente assessori alla sanità e all’ambiente della nostra Regione, fa riferimento - tra l’altro - ad una “astratta applicazione del principio di precauzione” che - secondo gli estensori - era contenuto nella lettera inviata dalla Federazione Regionale degli Ordini nella quale si chiedeva la moratoria per la costruzione di nuovi inceneritori o l’ampliamento di quelli esistenti. La FRER Ordini ha poi risposto agli Assessori nonché a tutti i soggetti ai quali era stata inviata la prima lettera (con richiesta di moratoria) specificando molto bene che cosa intendano i medici per “principio di precauzione”. Ci siamo pertanto permessi di richiamare agli Assessori e ai destinatari tutti , quanto ben definito dalla Dichiarazione di Rio (Earth summit del 1992) all.art. 15 e dalla comunicazione della CEE COM 2000 (2 febbraio 2000) laddove si esplicita che “il ricorso al principio di precauzione trova applicazione qualora i dati scientifici siano insufficienti, inconcludenti o incerti e la valutazione scientifica indichi che possibili effetti possono essere inaccettabili e incoerenti con l’elevato livello di protezione prescelto dall’Unione Europea”.
Anche il testo della Costituzione Europea all’art. III- 233 richiama nuovamente il principio di precauzione chiarendone il campo di applicazione che comprende “tutte le situazioni in cui si identifichi un rischio ma non vi siano prove scientifiche sufficienti a dimostrarne la presenza o l’assenza, o a determinare adeguati livelli di protezione”.
Il principio di precauzione non si basa sulla disponibilità di dati che provino la presenza di un rischio, ma sull’assenza di dati che assicurino il contrario. Carl Sagan, il più grande astronomo del XX° secolo, astrofisico, astrochimico, grande divulgatore, scrittore e brillante conferenziere è stato un geniale antesignano di questo concetto quando affermava che “l’assenza di prove non è prova di assenza”. Da medici ,vista l’importanza della posta in gioco – la salute dei cittadini – non possiamo che intendere il principio di precauzione nell’accezione sopra riportata e spingere chi di dovere ad escludere ogni ragionevole dubbio sui rischi connessi agli inceneritori.
Un’altra delle motivazioni che hanno spinto la FRER Ordini ad una presa di posizione sugli inceneritori è in relazione allo studio “Enhance health” del marzo scorso. Lo studio finanziato dalla UE aveva, tra gli altri, lo scopo di dare una visione il più possibile “globale” del possibile impatto sulla salute in aree dove sono ubicati gli inceneritori. Per l’Italia lo studio è stato condotto a Coriano nel Comune di Forlì dove sono ubicati due inceneritori, uno per i rifiuti ospedalieri ed uno per i rifiuti solidi urbani. L’indagine condotta con sistema Informativo-Geografico (GIS) ha riguardato l’esposizione a metalli pesanti, stimata con modello matematico, della popolazione residente per almeno 5 anni in un’area di raggio di 3,5 Km. dagli impianti. Eccessi statisticamente significativi sono emersi per il sesso femminile: in particolare si è registrato un aumento del rischio di morte per tutte le cause correlato all’esposizione a metalli pesanti tra il +7% e il +17%. La mortalità per tutti i tumori aumenta nella medesima popolazione in modo coerente con l’aumento dell’esposizione dal + 17% al + 54%. In particolare per il cancro del colon-retto il rischio è compreso tra il + 32% e il 147%, per lo stomaco tra il + 75% e il 188%, per il cancro della mammella tra il + 10% ed il + 116%. Per i sarcomi, considerando insieme i due sessi, il rischio aumenta di oltre il 900%. Questi risultati sono del tutto coerenti con numerose altre segnalazioni della letteratura a riguardo.
Ricordo che esiste una differente suscettibilità biologica fra i sessi che era già emersa nell’infelice pagina dell’incidente della “nube tossica”di Seveso (1976) con emissione di diossina. Una monografia della IARC , International Agency for research on Cancer (Agenzia OMS di ricerca sul cancro con sede a Lione) aveva rilevato come le donne a parità di esposizione nelle tre aree di rilevazione, avessero quantità di diossina nel sangue più elevate rispetto agli uomini. Come noto , le diossine sono emesse in misura assai significativa dagli inceneritori. Il problema delle diossine non è rappresentato solo dalla loro quantità nell’aria che respiriamo ma da quanto ce n’è nel terreno nel quale si accumulano passando nella catena alimentare. Anche i contadini e gli allevatori delle zone limitrofe agli impianti di incenerimento dovrebbero preoccuparsene, soprattutto là dove si producono prodotti a denominazione tipica. Lo stesso passaggio nella catena alimentare subiscono altre sostanze come i policlorobifenili (PCB), alcuni metalli pesanti come il cadmio, mercurio ed altri ancora che sono ugualmente eliminati dai fumi degli inceneritori. Le diossine e i PCB sono inseriti nella più ampia categoria dei POPs (persistent organic pollutants), cioè sostanze che persistono a lungo nell’organismo (parecchi anni) dove esercitano la loro funzione di distruttori endocrini per la loro capacità di interferire fino ad annullare la normale attività dei sistemi endocrini ed enzimatici del corpo umano. Il fatto che gli inceneritori della recente generazione emettano meno di queste sostanze assai pericolose non è comunque tranquillizzante proprio a motivo della loro sommazione e persistenza nell’organismo. Esistono dati epidemiologici e ricerche che evidenziano relazioni tra nanopolveri - che sfuggono a qualsiasi sistema di filtro degli inceneritori - e patologie cardiovascolari acute (infarto e ictus) , neurologiche (morbo di Alzheimer e malattia di Parkinson), la perdita di memoria, la sindrome da iperattività in età pediatrica , la stanchezza cronica , le malattie della sfera sessuale come la “burning semen disease”, le malformazioni fetali (in aumento) i disturbi del sistema immunitario e molte endocrinopatie. La continua immissione nell’ambiente di sostanze estratte in quantità industriali dai loro naturali serbatoi sono in grado di interferire con i delicati equilibri dell’atmosfera e degli esseri viventi. L’impatto di molte sostanze è imprevedibile e non sempre valutabile. Le catastrofi ecologiche e gli incidenti climatici sempre più numerosi hanno creato un’attenzione ed un livello di preoccupazione in alcuni ricercatori e scienziati di tutto il mondo (perlomeno in quelli più sensibili e responsabili non afflitti da sindrome d’onnipotenza ) da far ritenere che il modello di sviluppo vada rivisto al più presto perchè il nostro pianeta ha la “febbre alta” e non consente ulteriori tentennamenti. Il prof. Walter Ganapini (Presidente di Greenpeace Italia) nel corso di una recente serata rotariana nella nostra Città, ha disegnato con la forza convincente e incontestabile dei numeri e dei dati, un panorama a tinte fosche sul destino della nostra valle Padana, uno dei quattro-cinque territori più inquinati del mondo! Anche per lui, padano di Reggio Emilia ogni misura volta a contenere questa folle corsa al suicidio di massa è utile e auspicabile.
Si è chiesto da più parti a quale letteratura i medici emiliano romagnoli e in primis i loro Presidenti, si siano ispirati per sostenere la necessità di una moratoria sugli inceneritori. Ebbene, non esito ad affermare che vi è una letteratura scientifica imponente che ha ormai ampiamente dimostrato come il cervello infantile e il sistema nervoso in via di sviluppo rappresentino veri tessuti-bersaglio per le centinaia di molecole tossiche che da molto tempo infestano l’aria, le acque e la terra.
LANCET ha pubblicato un anno fa uno studio condotto dai ricercatori della Harvard School of Public Health che cosi titolava: “LA PANDEMIA SILENZIOSA” per denunciare l’incombente minaccia di un dramma socio-sanitario globale, che si diffonde in modo subdolo e incontrollabile, perché gli effetti di un’esposizione cronica e collettiva sfuggono alle abituali modalità di ricerca e d’indagine… e per notificare le prime, probabili cifre di una tragedia lungamente annunciata, eppure evitabile, secondo cui nel mondo: un bambino su sei presenterebbe danni documentabili al sistema nervoso e problemi funzionali e comportamentali, che vanno dal deficit intellettivo, alla sindrome da iperattività, all’autismo (con costi enormi - detto per inciso – anche sul piano economico: si calcola che negli Stati Uniti i costi per danni neurologici da piombo nei bambini ammonterebbero a circa 43 miliardi di dollari e quelli da mercurio a 8,7 miliardi).
I medici per l’ambiente (ISDE Italia) - cui mi onoro di appartenere - hanno da tempo denunciato in modo chiaro ed inequivocabile come la medicina occidentale tenda a privilegiare una strategia di lotta contro le malattie troppo ripiegata su diagnosi e terapia dimenticandosi della prevenzione. Si sono così creati e perpetuati modelli di vita stressanti, consumistici ed inquinanti da parte dei cittadini. La classe politica, gli economisti, anche alcune frange sedicenti ecologiste e i cosiddetti esperti hanno parlato di sviluppo sostenibile, di prevenzione, di promozione della salute, salvo poi varare o legittimare norme e leggi – uniche al mondo – che non tengono in nessun conto la tutela dell’ambiente e la salute dei cittadini. Cito fra le numerose incoerenze (verosimilmente non casuali per difesa di precisi interessi economici) la normativa del tutto illegittima – già sanzionata dall’UE – per cui in Italia tutti i rifiuti sono equiparati a “fonti rinnovabili di energia” . Il fatto fa sì che oltre l’ 80% delle risorse (pagate dagli utenti con il 7% delle bollette ENEL) che dovrebbero destinarsi alle vere fonti rinnovabili di energia , vadano a chi costruisce impianti a biomasse e inceneritori. Nel 2006 - ad esempio – tali impianti hanno assorbito ben 1.135.911.334 Euro su un totale di 1.758.131.281 dei fondi stanziati. (Assoambiente prot. n. P 59930). In questo modo non si favorisce certamente una sana ed auspicabile imprenditoria che vada ad investire in fonti di energia veramente rinnovabili. Ma vi è di più. Nel nostro Paese si consente che materiali tossici e nocivi (Legge delega n. 152 del 3/4/2006) utilizzati come combustibili accedano a tali finanziamenti per cui - sempre nel 2006 - ben 2.179.884.346 Euro sono stati ad essi destinati ( Assoambiente prot. n. P 59930).
La storia della medicina è lastricata di episodi di dolore e di sofferenza prodotti - a volte- in attesa di “prove ufficiali” che rendessero ragione del rapporto di causalità tra sostanza tossica e specifica patologia. Così nel nostro Paese , terra di lente riflessioni e di ancor più lente contromisure da adottare, si è consentito che l’amianto - inizialmente considerato patogeno responsabile di asbestosi - si scoprisse - negli anni ’60 – agente causale di uno dei tumori più dolorosi per l’uomo, il mesotelioma. Ma solo nel 1992 ci si è decisi a renderlo fuorilegge e a renderne obbligatoria la bonifica negli ambienti che lo contenevano.
E come non ricordare il caso dell’IPCA di Cirié, nel Canavese, dove 168 operai a distanza variabile di anni (fino ad oltre venti) dall’abbandono del lavoro, morirono di cancro della vescica in relazione con i coloranti all’anilina che vi si producevano. A parte qualche lodevole eccezione (che pure vi fu) sorge spontanea la domanda : dove erano i medici? Da allora sono passati molti anni e la gravità di alcune situazioni attuali non può più essere taciuta. E’ tempo che i medici tutti si facciano interpreti delle istanze di salute dei cittadini direttamente o indirettamente correlate all’ambiente. Ciò vale, in particolare, per i medici pediatri poiché proprio i bambini sono i primi a fare le spese dell’ostilità di un ambiente che è loro sempre più nemico. I medici di famiglia che sono - di fatto - i primi epidemiologi del territorio devono avere coscienza della necessità della salvaguardia dell’ambiente come fattore determinante la salute dei propri assistiti. Tutto ciò richiede studio, applicazione, aggiornamento e necessità di confronto con tutto quanto prodotto e consolidato in letteratura. Ma si richiede anche autentica passione civile. Su un argomento di così vitale importanza per la salute nostra e - soprattutto delle generazioni future - mi aspetto un sussulto di orgoglio da parte dei colleghi tutti. Vorrei che - per un attimo- tutti noi riflettessimo sulla drammaticità dei molteplici segnali che con sempre maggiore frequenza accompagnano la nostra attività professionale. In un mondo dove la solidarietà civile, gli ideali e l’etica sono sistematicamente sacrificati nei confronti di un mercato folle e perverso , deve alzarsi alta la voce dei medici per la tutela di una ambiente salubre . Dobbiamo affrancarci da tutto ciò che in qualsiasi modo ci condiziona per poter rivendicare quell’autonomia professionale che rimane la sola autentica garanzia per la salute dei cittadini.
Scontiamo ritardi storici non più tollerabili da parte del mondo universitario medico che prepara specialisti bene orientati in senso diagnostico e terapeutico ma poco o nulla preparati in senso preventivo. Che dire poi delle interpretazioni di alcuni studi di prevalenza o di caso-controllo riguardanti il rapporto tra ambiente e malattia dove si palesa assai pesantemente il sospetto di conflitti di interesse da parte di colleghi - a volte assai illustri - disposti a “letture ” piuttosto disinvolte di studi epidemiologici che - se giudicati come si dovrebbe con la semplice interpretazione dei numeri e della statistica - danno risultati allarmanti per la salute pubblica? E’ giunto il tempo - da parte dei colleghi chiamati ad interpretare tali studi - di dichiarare preventivamente se hanno personali conflitti di interesse. In tale modo chi legge lo studio pubblicato potrà preventivamente valutarne valore e attendibilità di giudizio. Ciò - del resto - è quanto accade da tempo nel mondo anglosassone. Il Codice Deontologico contiene un allegato che disciplina questa delicata problematica e gli Ordini dei Medici dovranno avere la massima considerazione per un problema etico così delicato e cruciale per l’immagine della professione.
Solo un malinteso senso dello sviluppo economico può far ritenere che la politica dei rifiuti debba essere risolta con l’incenerimento. Esistono dati precisi in proposito, che dimostrano come in molti paesi d’Europa e del mondo tale metodica di trattamento sia in progressivo abbandono. In questi paesi si va in altra direzione sia per motivi economici che per motivi sanitario ambientali. L’Italia, come al solito, in ritardo su tutto, intraprende in modo pericolosamente insistente la via disastrosa dell’incenerimento globale. La via maestra (che stanno intraprendendo in molti paesi) è quella di ridurre i rifiuti globalmente intesi, per poi praticare una raccolta differenziata porta a porta (non quella del grande cassonetto - di fatto - onnicomprensivo) in cui il cittadino sia chiamato ad una precisa responsabilità nel ben separare i rifiuti prodotti. I rifiuti così differenziati vengono poi raccolti e stoccati. Sorgono - anche da noi - aziende attrezzate che ricevono le frazioni secche riciclabili dei rifiuti urbani e assimilati , che selezionano i materiali in base alla composizione merceologica, ne riducono il volume e gestiscono una destinazione di uscita della singole tipologie di materiali che vengono consegnate secondo un possibile riutilizzo a impianti di seconda lavorazione o di riciclo. In molte realtà sia americane che europee ( anche in Italia ) esiste una nuova imprenditoria che attorno al ciclo dei rifiuti ha trovato forme di lavoro e di business di grande interesse. Il residuo non riciclabile può essere trattato con metodi definiti meccanico –biologici che hanno un minore impatto ambientale. Il nostro Paese è all’avanguardia nella produzione diretta di queste tecnologie innovative. A tal proposito lo studio CEWEP - Confederation of European Waste-to-energy Plants – (confederazione europea degli impianti dai rifiuti all’energia) trae le seguenti conclusioni: “il riciclaggio dei materiali raccolti con una buona differenziazione, provoca un minor impatto ambientale rispetto alla termovalorizzazione”. Il costo del riciclo dei rifiuti con queste metodiche è inferiore rispetto all’incenerimento. L’Italia ha i più bassi tassi di riciclaggio di in Europa (circa il 20%), destinati a rimanere bassi, grazie all’invenzione tutta italiana di far diventare, per legge, l’incenerimento una forma di riciclo. Insomma a mio parere (e di studiosi molto più illustri del sottoscritto), inceneritori, gassificatori specie quando proposti dalle Aziende ex- municipalizzate, sembrano più uno strumento economico che un impianto per la gestione sostenibile dei rifiuti. Grazie agli enormi profitti realizzati anche con “l’escamotage” dei già citati certificati CIP 6 etc. (sottraendo così risorse all’imprenditoria che si occupa di vere fonti energetiche rinnovabili), si potranno utilizzare una parte di questi fondi per appianare i bilanci sempre più asfittici dei Comuni , ma con quale impatto ambientale e sanitario? E i cittadini ne sono compiutamente informati? E se informati si tiene conto della loro volontà? In questa logica quale interesse ci potrà essere verso forme di riciclaggio alternativo e con minor impatto ambientale? Queste risposte toccano evidenti ed ineludibili responsabilità da parte della politica.
A noi medici rimane - fino in fondo- la responsabilità di quantificare l’impatto sanitario prodotto da questa metodica. Lo facciamo oggi, lo faremo nei prossimi giorni inviando materiale scientifico al Ministro Livia Turco che ce ne ha fatto richiesta. Ma lo faremo se necessario domani e ogni volta che la nostra coscienza professionale ci dirà che c’è una minaccia incombente nei confronti della salute dei cittadini. Termino questo scritto citando in modo letterale parte delle bellissime parole scritte da una collega oncoematologa per ricordare un grande, indimenticato, medico: il professor Lorenzo Tomatis, oncologo e ricercatore di fama mondiale, unanimemente riconosciuto come colui che ha posto le basi scientifiche e metodologiche della cancerogenesi, identificando e classificando gli agenti inquinanti e le loro conseguenze sulla salute umana. Il professor Tomatis è recentemente scomparso a 78 anni. Le parole della collega sono una grande testimonianza di affetto, di stima e di rimpianto per un uomo che non ha mai accettato compromessi e la cui etica professionale è stata un esempio per tutti: “Purtroppo Lorenzo non è stato ascoltato; certamente oggi, anche per questo, il mondo è più iniquo, sofferente, avvelenato. Tutto sembra ormai ineluttabile, così Lorenzo chiamava quella sorta di oblio, quella rassegnazione, quello stringersi nelle spalle che sembra avere contagiato tutti, che ci porta ad accettare ogni compromesso, ogni sopruso, che ci porta a pensare che niente e nessuno possa ormai arrestare la deriva del nostro mondo, come se non fossimo più esseri capaci di progettare il nostro destino, di pensare, di sognare, di ricercare equità e pace. In questo mondo malato Lorenzo vedeva una medicina parimenti malata, sempre più tecnologica ed orientata esclusivamente alla cura, ma sempre più lontana dalla ricerca delle vere cause delle malattie. La chiamava “la Grande distrazione” … una follia riduzionista sembrava essersi impossessata della mente di gran parte dei ricercatori”…. ogni laboratorio doveva scegliersi … il suo gene”. Il ricercatore andava a caccia della proteina alterata, senza più domandarsi il perché di quel danno.
Nel corso del suo lavoro Tomatis ha dovuto assistere all’acquiescenza di ricercatori e scienziati che, condizionati sempre più dagli interessi economici delle grandi “corporation” , producono risultati ambigui e confondenti in modo da rimandare ogni misura di prevenzione, molto più attenti a non ridurre i profitti di chi comanda piuttosto che a proteggere la salute pubblica. “ Quando mi sono lasciato comprare? Quando ho capito che la ricerca è al servizio del potere e che il ricercatore è un’oca che produce uova d’oro e che quell’oro andava tutto sulla tavola di chi comanda”: queste sono le parole di un suo collega riportate nell’ultimo libro autobiografico di Lorenzo Tomatis, il Fuoriuscito, in cui - già il titolo - bene esprime la sua volontà di porsi fuori da questo sistema malato, un sistema in cui non è stato più possibile riconoscersi”.
Queste sono le motivazioni profonde e non frutto di estemporanea emotività che hanno suggerito a me e a tutti i Presidenti degli Ordini dei medici emiliano romagnoli di richiedere attenzione, prudenza e precauzione alla nostra Regione e a tutti coloro che hanno precise responsabilità nella valutazione sanitaria dell’impatto degli inceneritori. Non vogliamo un futuro nel quale qualcuno possa dire “se i medici sapevano perché hanno taciuto”.

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