Raffaele Prodomo, Introduzione alla Bioetica, La Città del sole 2002 pp.61
Questo agile volumetto raccoglie gli atti di un Seminario della Scuola Estiva di Alta Formazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici tenuto dall’A., ma, pur nella forma colloquiale, non si limita a una presentazione “scolastica”, per così dire, di alcuni del temi principali della bioetica, bensì ne offre una interpretazione filosoficamente convincente. L’origine della bioetica è infatti posta nell’”incontro tra medicina e libertà individuali”, ossia in quella evoluzione che l’etica medica ha vissuto, o forse meglio sarebbe dire “subito”, dall’atteggiamento paternalistico, secondo il quale il terapeuta aveva pieno diritto a decidere in vece del paziente e scarso obbligo di informazione, al rispetto dell’autonomia del malato, che, a ben vedere, rappresenta nulla più che il recepimento di diritti già da tempo sanciti nelle sera politica. Tale passaggio è stato determinato, per l’appunto, dal diffuso riconoscimento di uno dei principi-cardine della bioetica, quello di autonomia, che va ad affiancarsi, in qualche modo ridimensionandolo, a quello tradizionale della “beneficità” (fare il bene del paziente). Ciascuno vede come tra questi due principi possa non di rado prodursi conflitto; analizzare questo genere di conflitti è uno dei compiti della bioetica: spesso il perseguimento del bene del paziente non coincide con la tutela della sua volontà; ma il rispetto dei diritti del malato è un criterio ormai inderogabile, tanto che, sottolinea l’A., di quello si parla oggi talvolta in termini di “esigente”, piuttosto che di “paziente”. Attraverso esempi tratti da un ambito letterario-televisivo, di facile lettura anche per il non addetto ai lavori, l’A. evidenzia non solo la trasformazione della relazione medico-paziente, ma l’evoluzione del dettato ippocratico in direzione dell’attenzione per le richieste di un paziente che sempre più si vede riconosciuto il diritto di intervenire nelle decisioni che lo riguardano.
Al di là delle inevitabili degenerazioni che tale ampliamento di prospettiva ha pure prodotto, in termini di una critica talvolta preconcetta all’operato dei sanitari, è pur vero che l’evoluzione medesima della scienza biomedica ha prodotto un allargamento delle possibilità di scelta impensabile soltanto alcuni decenni fa; ora, dove si offre una scelta, si pongono questioni etiche che chiamano in causa principi e criteri di valutazione che raramente appaiono univoci e variano invece da individuo a individuo. L’evoluzione delle tecniche ha ampliato, ad esempio, la possibilità di mantenere in vita individui in condizioni di salute disperate, al punto che andrebbe ripensato, sostiene l’A., anche il dovere “assoluto” del medico di tenere in vita il paziente, come dimostrano le crescenti critiche al cosiddetto “accanimento terapeutico”.
La difficoltà concettuale a definire in maniera univoca valori (e di conseguenza condotte) è analoga a quella di dare una definizione di “vita” che aiuti a dirimere le controversie riguardanti le questioni di inizio vita (fecondazione assistita, statuto dell’embrione) e fine vita (eutanasia). L’A. riprende la distinzione tra vita biologica e vita biografica offrendo con ciò uno strumento concettuale utile a orientarsi in un ambito che resta difficile, e offre una disamina chiara delle difficili problematiche etiche connesse alla definizione concettuale dell’embrione e della morte. Il suggerimento teorico è di rinunciare a posizioni essenzialistiche o comunque dicotomiche, che non solo contribuiscono all’irrigidimento inconciliabile delle posizioni ideologicamente connotate, ma risultano anche poco utili all’applicazione che è pur sempre l’obiettivo della riflessione sulle controversie morali connesse ai temi della salute.
Accanto a questo implicito invito a una bioetica ragionevole, pluralista e non dogmatica, l’altro merito del volume è di riuscire a fare chiarezza con linguaggio non angustamente specialistico su talune spinose questioni che sconcertano l’opinione pubblica.
Al di là delle inevitabili degenerazioni che tale ampliamento di prospettiva ha pure prodotto, in termini di una critica talvolta preconcetta all’operato dei sanitari, è pur vero che l’evoluzione medesima della scienza biomedica ha prodotto un allargamento delle possibilità di scelta impensabile soltanto alcuni decenni fa; ora, dove si offre una scelta, si pongono questioni etiche che chiamano in causa principi e criteri di valutazione che raramente appaiono univoci e variano invece da individuo a individuo. L’evoluzione delle tecniche ha ampliato, ad esempio, la possibilità di mantenere in vita individui in condizioni di salute disperate, al punto che andrebbe ripensato, sostiene l’A., anche il dovere “assoluto” del medico di tenere in vita il paziente, come dimostrano le crescenti critiche al cosiddetto “accanimento terapeutico”.
La difficoltà concettuale a definire in maniera univoca valori (e di conseguenza condotte) è analoga a quella di dare una definizione di “vita” che aiuti a dirimere le controversie riguardanti le questioni di inizio vita (fecondazione assistita, statuto dell’embrione) e fine vita (eutanasia). L’A. riprende la distinzione tra vita biologica e vita biografica offrendo con ciò uno strumento concettuale utile a orientarsi in un ambito che resta difficile, e offre una disamina chiara delle difficili problematiche etiche connesse alla definizione concettuale dell’embrione e della morte. Il suggerimento teorico è di rinunciare a posizioni essenzialistiche o comunque dicotomiche, che non solo contribuiscono all’irrigidimento inconciliabile delle posizioni ideologicamente connotate, ma risultano anche poco utili all’applicazione che è pur sempre l’obiettivo della riflessione sulle controversie morali connesse ai temi della salute.
Accanto a questo implicito invito a una bioetica ragionevole, pluralista e non dogmatica, l’altro merito del volume è di riuscire a fare chiarezza con linguaggio non angustamente specialistico su talune spinose questioni che sconcertano l’opinione pubblica.
Maria Antonietta La Torre