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Omicidi, stupri, sopraffazioni, suicidi: troppi giovani entrano nel mondo della volenza come vittime o come carnefici, incapaci spesso di comprendere appieno le conseguenze a volte irreparabili dei propri atti. Dinanzi agli episodi quotidiani di una violenza sempre più folle, legata alla crescita sconvolgente di quel nichilismo di cui Nietzsche è stato annunciatore, dovremmo forse chiederci perché restiamo inerti, incapaci di immaginare qualche risposta. Oggi si parla a ragione di educazione all’affettività ma, dovremmo forse anche riflettere sull’educazione alla cittadinanza. Come intenderla? Che contenuti darle? Ma, soprattutto, come costruire una comunità intessuta di affetti e non solo di interessi’, per riprendere le parole di Mazzini?
Penso ad esempio ad un progetto più volte avanzato - e sostenuto tra l'altro con ottimi argomenti da persone così diverse tra loro come Michele Serra e Ferruccio De Bortoli - quello, intendo, del potenziamento e della valorizzazione del servizio civile universale. Si tratta in effetti di una possibilità seria e concreta, forse l’unica che ci resta al momento attuale, di promuovere un'educazione alla cittadinanza che aiuti i giovani di entrambi i sessi a scoprire la propria vocazione impegnandosi nei più diversi ambiti lavorativi – assistenza, protezione civile, tutela del territorio, del patrimonio storico, artistico, culturale, cooperazione allo sviluppo, promozione dei diritti umani etc,-- ma soprattutto a ritrovare i legami essenziali di solidarietà che dovrebbero renderci una società degna di questo nome.
Dovremmo forse ricordare che il contesto familiare e scolastico è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale nell’aiutare i giovani a costruire la propria identità. Abdicare a questo ruolo appare molto grave in termini di etica della responsabilità nella consapevolezza che la considerazione dei soli diritti non basta a fondare un’etica pubblica . I doveri – scriveva Mazzini – danno contenuto alla cittadinanza “quale conquista quotidiana che richiede un dare e un avere” e sono destinati a evitare che ognuno diventi “quasi estraneo al destino di tutti gli altri”. A sua volta, dopo aver celebrato ‘l’età dei diritti’, Bobbio si rammaricava di non avere abbastanza anni di vita per scrivere ‘l’età dei doveri’. Ma il dovere sembra oggi parola desueta. E tuttavia dinanzi all'emergenza che stiamo vivendo, credo ci voglia il coraggio di dichiarare che se le libertà e le creatività degli individui vanno senz’altro coltivate,i doverirestano una dimensione fondamentale della vita cui non ci può sottrarre. Una lezione dura per tutti noi, specie per i giovani, ma inevitabile.

Articolo di Luisella Battaglia pubblicato il 21 novembre 2024 sul Secolo XIX

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